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(da la Repubblica - 5 dicembre '19 - Cultura/L'intervista - di Francesco Manacorda, Roma)
"Ma che risate le bugie sulla Shoah"
La mattina dell'appuntamento con Alberto Caviglia, una normale mattina italiana, sui giornali ci
sono le foto di "Miss Hitler" con la sua svasticona tatuata sulla schiena, le dichiarazioni di un'al-
tra autoproclamata meonazista secondo la quale ad Auschwitz "c'erano piscina, teatro, cinema",
la storia di un consigliere comunale di Schio, che non vuole le pietre d'inciampo perchè "rischia-
no di alimentare di nuovo odio e divisioni".
Caviglia, per molti anni assistente alla regia di Ferzan Ozpetek e poi regista di Pecore in erba,
un "mockumentary" sull'antisemitismo, esce adesso con Olocaustico, il suo primo romanzo.
La storia è quella di David Piperno, giovane ebreo romano archetipico fin dal nome. E' in Israele,
dove sogna di girare il suo grande film di fantascienza, ma intanto si arrangia facendo videointer-
viste ai sopravvissuti della Shoah per lo Yad Vashem, il museo della memoria che è pietra fondan-
te dell'identità nazionale. Quando anche l'ultimo sopravvissuto muore il suo incarico è finito. Ma
David ha un asso nella manica: inventarsi un sopravvissuto e intervistarlo. Incredibile successo
dell'inganno e poi invece scoperta, scandalo e conseguente negazione planetaria della Shoah Il
finale di redenzione (o quasi) prevede che la verità storica torni ad affermarsi anche grazie ad al-
leati improbabili come un preistorico lucertolone e tramite l'ubriacatura globale per le "fake news".
Intervista (F. Manacorda)
- O gli dei del marketing hanno deciso di darle una mano, oppure lei è stato davvero poco fantasio-
so. Oggi il suo romanzo dell'assurdo rischia di diventare narrazione della realtà...
"Ho cominciato a scriverlo due anni fa proprio sull'onda di alcuni episodi come quelli che oggi
sono sempre più frequenti; in particolare la legge approvata in Polonia che proibiva di parlare di
responsabilità polacca nella Shoah perchè sosteneva che tutte le responsabilità per i campi di ster- minio erano tedesche. Una cosa incredibile. Ma ormai con il mio editore, Shulim Vogelmann di
Giuntina, abbiamo una chat apposita in cui ci scambiamo solo articoli su queste notizie".
- Il suo approccio alla Shoa è - diciamo - non ortodosso. Ma si può fare ironia su questo tema
quando per l'appunto la realtà supera l'immaginazione ed Ezio Greggio rischia di passare da
Striscia la Notizia al Giardino dei Giusti?
"Il mio libro non fa umorismo fine a se stesso sulla Shoah, ma semmai guarda in modo umoristi-
co a come è trattata la Shoah".
- E come è trattata?
"Partiamo da una premessa. Io appartengo all'ultima generazione che ha ascoltato i racconti dei
testimoni reali, le vittime della Shoah. Lo considero un grande privilegio che ai miei figli, se ne
avrò, non sarà dato. Così cerco di accorciare la distanza che separa i più giovani da quanto è ac-
caduto. Oggi infatti i ragazzi vanno ad Auschwitz e si fanno i selfie. Ecco, non vorrei che Aus-
schwitz fosse vissuto come un Jurassic Park, una storia di dinosauri passata e non legata all'Eu-
ropa di oggi; ma vorrei che anche i più giovani sentissero quanto è accaduto come cosa viva e
presente, come un rischio oggettivo di fronte alle tante manifestazioni che vediamo oggi e che
mi spaventano".
- Non pensa che l'identità ebraica - con la necessaria genericità che questo termine porta in sè -
rischi di cristallizzarsi sulla Shoah e di identificarsi esclusivamente con questo enorme trauma?
"Prima del libro ho fatto un film sull'antisemitismo che non parlava di Shoah. E' stato difficile
farlo, ma non volevo che le due cose si sovrapponessero. E allo stesso modo penso che ebraismo
e Shoah non si debbano sovrapporre. Ma vedo anche che oggi c'è sempre più insofferenza per co-
me è raccontata la Shoah. Non ci si può rassegnare a non raccontarla perchè le persone sono in-
sofferenti a questa narrazione. Ma bisogna assolutamente uscire dalla retorica con cui oggi viene
raccontata la Shoah, trovare nuovi modi per narrarla. Dobbiamo far capire che è una storia che
non è lontana da noi ma abbiamo anche la responsabilità di custodirla e tramandarla. E' quello
che accade al mio protagonista e provo a fare anche nel mio libro".
- "Olocaustico" è un titolo forte, anche perchè, al di là del gioco di parole, ricorre talvolta nei
siti negazionisti, con un chiaro intento dispregiativo.
"E' un titolo provocatorio. Ma questo è un libro per negare i negazionismi e prova a farlo entran-
do nello stesso terreno di gioco dei negazionisti - quello delle realtà negate e delle storie incredi-
bili fatte passare per verità - per far vedere la natura criminale dei loro atti. Per questo esaspero
nel libro quello che vorrebbero fare, ossia cancellare la Shoah".
- Nel libro proprio le "fake news" sconfiggono i negazionisti sul loro terreno e ristabiliscono
l'esistenza - sebbene riveduta e corretta - della Shoah. E' una soluzione?
"Ovviamente non ho soluzioni e non penso che quel che accade nel libro debba accadere nella
realtà. ma sono tutt'altro che ottimista: penso che siamo in un momento di caos che è destinato
a peggiorare perchè stanno aumentando gli strumenti con cui si possono proporre dubbi e ne-
gazioni di fatti storicamente avvenuti. Stiamo perdendo la guerra tra "fake news" e realtà sto-
rica. E se crollasse la memoria della Shoah si porterebbe dietro anche tutte le altre certezze su
cui basiamo la nostra civiltà".
- Il senso di colpa è ingrediente essenziale dell'identità ebraica. Si sente anche un pò in colpa
per aver scritto "Olocaustico"? Teme reazioni, magari dalla stessa comunità ebraica?
"Ho qualche preoccupazione, ma quando penso alla storia che ho scritto e a come possa esse-
re interpretata - perche' alla fine i rischi nascono da quello - non c'è nulla che mi porti al rimor-
so. Credo in questa operazione e a quella che per me è un'assunzione di responsabilità, nono-
stante io navighi nel senso di colpa in qualsiasi altro campo".
Lucianone
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