sabato 19 settembre 2015

SOCIETA' / Italia - Lo spirito di MAFIA...

19 settembre '15 - sabato              19th September / Saturday              visione post - 11

Beni e mali comuni - 
Il problema è di tutti i cittadini italiani e non solo delle istituzioni.
In troppi considerano un segno di debolezza ricorrere alle giustizia.
Così il "quieto vivere" diventa facilmente "codardia morale".  

(da 'Corriere della Sera' - 23 / 09 /'15  -  Goffredo Buccini)
Lo  spirito di mafia rischia di indebolire lo spirito pubblico
Qualcuno pagherà, certo. Cadrà qualche testa, oltre a quella del pilota dell'elicottero che -
fuori rotta - dispensava petali di rosa sul corteo funebre del capoclan. Ma, alla fine, il pa-
sticciaccio mondiale generato dalle esequie di "zio" Vittorio Casamonic nella periferia
romana del quartiere Don Bosco racconta su di noi, forse su molti di noi, qualcosa di ben
più antico e radicato d'una catena di omissioni e colpe.  E ci rivela, nella salsa all'amatri-
ciana di quella cerimonia megalomane, l'eterna dialettica che ha azzoppato la nostra sto-
ria: quella tra spirito pubblico e spirito di mafia. 
Già, perchè a rendere possibile un corteo di tre pariglie di cavalli con tanto di carro funebre
d'epoca rispolverato (forse, addirittura) dalle nobili esequie di Antonio de Curtis (per tutti
noi Totò), con scorta di dodici (!) autopattuglie di vigili urbani a bloccare il traffico attorno
e di squadre di motociclisti del clan  (senza casco in omaggio al defunto, sotto gli occhi dei
vigili medesimi), con banda di ottoni a intonare il Padrino e poster con "zio Vittorio" vesti-
to da  Ponteficebaffisso alle colonne della chiesa sotto il naso  del parroco, il tutto condito
dall'assenza di comuni, cazioni tra gli uffici e i comandi di zona fino alle stanze del prefetto
di Roma Gabrielli, beh, a rendere possibile tutto questo senza - si badi - raffiche di telefo-
nate indignate degli abitanti del quartiere al 112 o al 113 (l'indignazione sui social network
è successiva, come sempre), beh, ci vuol altro che qualche omissione. La faccenda interpel.
la il nostro modo di essere come romani e come cittadini italiani.
"Lo spirito pubblico in Italia è tale, che, salvo il prescritto dalle leggi e ordinanze de' prin-
cipi, lascia a ciascuno quasi intera la libertà di condursi in tutto il resto come gli aggrada",
il nostro disgraziatissimo Paese alle nazioni europee più evolute, nel suo Discorso sopra lo 
stato presente dei costumi degli italiani: "Senza che il pubblico s'impacci (...) nè s'impacci 
mai in modo da dar molta briga", aggiungeva. Ovvero, tutti zitti, chè passa "zio" Vittorio,
volgarizzeremmo oggi, senza voler così mancare di rispetto al Giovane Favoloso.  Questa
storia di italiani che si girano dall'altra parte badando al proprio "particulare" deve ave-
re tormentato parecchio  anche  Antonio Gramsci  che considerava  lo spirito pubblico il
tratto distintivo di una nazione e l'assenza di esso dalle nostre parti anche come frutto di
 quella "rivoluzione passiva" che forse fu il nostro Risorgimento.
La sceneggiata funebre al Don Bosco ci restituisce soprattutto questo: il senso sconfortante
che nulla muti mai, se non per qualche eroe, che, essendo dotato di sufficiente spirito pub-
blico da badare al bene comune prima che al proprio, finisce per pagare in solitudine la
propria a)nomala normalità, salvo consacrazione postuma. come Ambrosoli o Borsellino.
E' il trionfo dello spirito di mafia, negazione del bene comune: "Reputare segno di debo-corrisponde da sempre
lezza o di vigliaccheria ricorrere alla giustizia ufficiale", lo descriveva Gaetano Mosca
nel suo  straordinario  Che cos'è la mafia, che, pubblicato nel 1900, pare  (purtroppo)
scritto ieri, e non riguarda certo solo la Sicilia (Manzoni racconta in Renzo "una certa
aria di braveria comune allora anche agli uomini più quieti").
Al quartiere Don Bosco, giovedì mattina, non s'è scritta  solo  una indegna pagina nella
recente cronaca romana; non soltanto una nuova appendice nella crisi politica e morale
che sembra travolgere ormai la Capitale d'Italia senza alcun rimedio se non un dramma-
tico "tutti a casa": s'è recitata per l'ennesima volta una collaudata pièce nazionale. Nella
quale alla protervia degli uni corrisponde da sempre il "quieto vivere" degli altri, quel
morbo contagioso di "codardia morale" che Mosca pensava debellabile 115 anni fa, cer-
to della reazione all'omicidio Notarbartolo, primo delitto siciliano eccellente. Non andò
così. Non siamo cambiati. Dunque ora possiamo anche fingere stupore, cercare qualche
capro espiatorio, ma la campana funebre di "zio" Vittorio suona per tutte le nostre coscienze.

Lucianone