29 agosto '15 - sabato 29th August / Saturday visione post - 10
(da il venerdì di Repubblica - 31 luglio '15 / Miti d'oggi - Marino Niola)
Benvenuti nell'era fertile dell'umanità post agricola
Siamo entrati nell'era del post-agricolo. fasse suprema del post-moderno. E nuova
frontiera della sperimentazione sociale. A dirlo è Vincenzo Padiglione, antropologo
della Sapienza e direttore della rivista Antropologis museale, il cui ultimo numero è
dedicato appunto alle trasformazioni culturali, etiche ed economiche che stanno ri-
voluzionando l'idea stessa di agricoltura. Riportando il paesaggio agrario al centro
di nuove dinamiche, locali e globali. Una sfida per gli antropologi, abituati da sempre
a studiare il mondo contadino e a custodirne la memoria. e che ora provano invece a
interpretare in tempo reale l'esperienza della green humanity, che ha deciso di torna-
re a lavorare la campagna con atteggiamenti, strumenti e filosofie inedite.
I più noti antropologi italiani - da Pietro Clemente a Berardino Palumbo, da Cristina
Papa a Pier Paolo Viazzo, da Cristina Bindi ad Adriano Favole - hanno raccolto il
guanto e si sono messi a pensare nuove categorie per raccontare e spiegare questo
modo di abitare sostenibilmente la terra. Lontano anni luce dalla tradizionale imma-
gine della condizione campesina come scia ritardataria di una storia postuma. Ma,
al contrario, terreno sociale dove si sperimentano nuove ricette di cittadinanza atti-
va. Ne è nato un prezioso glossario, fatto di sessantadue voci d'autore. Da agrituri-
smo a transfrontaliero, da condivisione a dieta mediterranea, da vignaiole a campa-
gne digitali. E' il ritratto dell'umanità post-agricola come macchina economico-pro-
duttiva. Ma soprattutto come fabbrica di valori, come laboratorio politico. Area di
connessione tra un passato da ricordare e un futuro da costruire.
Lucianone
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sabato 29 agosto 2015
Sport / Atletica - Il nostro SuperBolt, infinito giamaicano d'oro
29 agosto '15 - sabato 29th August / Saturday visione post - 4
Usain Bolt: volata da mago sui 100 e brucia l'americano Gatlin
Lo strabiliante giamaicano ribalta il pronostico, e in finale è perfetto sin dalla partenza
spiazzando il rivale, che sul traguardo si scompone. E' l'oro del cuore e dell'orgoglio.
Usain è musica,
Justin non ha orecchio
La musica ha fatto la differenza. In tribuna i giamaicani avevano intonato "One Love"
di Bob Marley prima della partenza dei 100. Tutti ordinati con la maglia della nazionale:
""Let's get together and feel all right". La corsa di Bolt è musica, è vita. A sorpresa,
mentre gli atleti erano già schierati, c'è stato un attimo imprevisto di pausa. In campo
è entrato Lang Lang, pianista di rango, icona cinese, che ha suonato un accordo sulla
pianola come introduzione al dramma veloce. Quelle note elettriche hanno risvegliato
l'orgoglio di Usain. Aveva nascosto gliocchi con le mani, poi le aveva aperte per mo-
strarli brillanti, decisi, ma con un'ombra di dubbio. Sapeva di avere una cartuccia da
sparare e la musica aveva riacceso il suo motore, che in semifinale aveva conosciuto
uno strano singulto. O era stata una commedia perfetta? No, solo la messa a punto
dello spartito per l'ultima esecuzione, quella che ha intontito Gatlin, strafavorito, ma
che è sordo agli accordi musicali. Anche noi siamo stati presi in contropiede dalla bel-
lezza e grandezza della risposta umana. Lo sport non è fatto solo di cifre, ma anche di
musica, basta avere l'orecchio.
(da "La Gazzetta dello Sport" - 24 agosto '15 / La Puntura, di Gianni Merlo)
Continua... to be continued...
Usain Bolt: volata da mago sui 100 e brucia l'americano Gatlin
Lo strabiliante giamaicano ribalta il pronostico, e in finale è perfetto sin dalla partenza
spiazzando il rivale, che sul traguardo si scompone. E' l'oro del cuore e dell'orgoglio.
Usain è musica,
Justin non ha orecchio
La musica ha fatto la differenza. In tribuna i giamaicani avevano intonato "One Love"
di Bob Marley prima della partenza dei 100. Tutti ordinati con la maglia della nazionale:
""Let's get together and feel all right". La corsa di Bolt è musica, è vita. A sorpresa,
mentre gli atleti erano già schierati, c'è stato un attimo imprevisto di pausa. In campo
è entrato Lang Lang, pianista di rango, icona cinese, che ha suonato un accordo sulla
pianola come introduzione al dramma veloce. Quelle note elettriche hanno risvegliato
l'orgoglio di Usain. Aveva nascosto gliocchi con le mani, poi le aveva aperte per mo-
strarli brillanti, decisi, ma con un'ombra di dubbio. Sapeva di avere una cartuccia da
sparare e la musica aveva riacceso il suo motore, che in semifinale aveva conosciuto
uno strano singulto. O era stata una commedia perfetta? No, solo la messa a punto
dello spartito per l'ultima esecuzione, quella che ha intontito Gatlin, strafavorito, ma
che è sordo agli accordi musicali. Anche noi siamo stati presi in contropiede dalla bel-
lezza e grandezza della risposta umana. Lo sport non è fatto solo di cifre, ma anche di
musica, basta avere l'orecchio.
(da "La Gazzetta dello Sport" - 24 agosto '15 / La Puntura, di Gianni Merlo)
Continua... to be continued...
Riflessioni - Il caporalato e gli sfruttati stagionali / Sul crollo delle Borse
29 agosto '15 - sabato 29th August / Saturday visione post - 7
LA MORTE (per fatica e per caldo) di qualcuno di loro ci porta, occasionalmente, a
"scoprire" che in Italia lavorano nei campi, per un salario offensivo, circa 400 mila
stagionali, in buona parte stranieri, reclutati e taglieggiati dai cosiddetti caporali.
definirla economia sommersa è abbastanza ipocrita, poichè emerge con la prepo-
tenza delle abitudini consolidate e del malaffare incallito.
Facile, in materia, fare del moralismo, più difficile intervenire data l'entità del feno-
meno, la disperazione (degli sfruttati) e la tracotante impunità (degli sfruttatori).
Ma vale la pena considerare con quale facilità e frequenza scenari ottocenteschi, di
sfruttamento disumano, trovino ampio spazio in un'epoca che ama dedicare quasi ogni
sforzo di analisi alla società immateriale, alle nuove tecnologie, all'economia in rete, e
si imbambola al computer convinta che il lavoro materiale non sia più necessario, non
più strutturale; ma può farlo solamente perchè la povera gente ancora crepa nei campi
con la schiena piegata, e spesso anche nelle fabbriche, Il lavoro materiale è quello che
ci dà da mangiare, da abitare, da viaggiare. Avere smesso di considerarlo centrale è
stato un errore politico e un abbaglio culturale. Noi fighetti che passiamo la giornata al
computer siamo sfamati, letteralmente, dai braccianti dei quali ci occupiamo solo quan-
do schiattano sotto il sole.
(da la Repubblica - 23 agosto '15 - L'AMACA / Michele Serra)
A ogni crollo delle Borse, per capire un poco meglio quello che accade in quell'universo
sospeso tra economia e alchimia bisognerebbe domandarsi quanto le Borse avevano
guadagnato prima, giorno dopo giorno. La differenza è che il "meno" è traumatico,
veloce e viene urlato nei titoli di giornale: bruciati migliaia di miliardi. Il "più", invece,
era stato progressivo e silenzioso. Sempre migliaia di miliardi, però annunciati da nes-
suna fanfara.
Provate anche voi a fare qualche conto della serva. Cercate su internet un grafico di
lungo periodo el Down Jones (indice di Wall Street), ce ne sono tanti. Cinque anni fa
il Down Jones viaggiava intorno ai diecimila punti, riemergendo dal tonfo del 2008
che lo aveva portato sotto quella quota simbolica. Pochi giorni fa era arrivato alla
vetta stratosferica dei diciottomila punti, al termine di una delle stagioni più lunghe
e costanti di crescita mondiale del mercato azionario. Oggi, dopo il colpo cinese, è
sceso quasi a sedicimila punti, con un bel tonfo. Ma la quota rimane comunque altis-
sima, come ben sanno i gestori di fondi e i singoli risparmiatori che nell'ultimo paio
d'anni hanno guadagnato in Borsa, una montagna di quattrini. Un altro suggerimento:
se la Borsa va male, abbiate o non abbiate azioni, andate nell'orto e consolatevi con-
tando le patate e i pomodori. Se non avete un orto, chiedete a un amico se vi fa vede-
re il suo.
(da la Repubblica - 25 agosto '15 - L'AMACA - Michele Serra)
Lucianone.
LA MORTE (per fatica e per caldo) di qualcuno di loro ci porta, occasionalmente, a
"scoprire" che in Italia lavorano nei campi, per un salario offensivo, circa 400 mila
stagionali, in buona parte stranieri, reclutati e taglieggiati dai cosiddetti caporali.
definirla economia sommersa è abbastanza ipocrita, poichè emerge con la prepo-
tenza delle abitudini consolidate e del malaffare incallito.
Facile, in materia, fare del moralismo, più difficile intervenire data l'entità del feno-
meno, la disperazione (degli sfruttati) e la tracotante impunità (degli sfruttatori).
Ma vale la pena considerare con quale facilità e frequenza scenari ottocenteschi, di
sfruttamento disumano, trovino ampio spazio in un'epoca che ama dedicare quasi ogni
sforzo di analisi alla società immateriale, alle nuove tecnologie, all'economia in rete, e
si imbambola al computer convinta che il lavoro materiale non sia più necessario, non
più strutturale; ma può farlo solamente perchè la povera gente ancora crepa nei campi
con la schiena piegata, e spesso anche nelle fabbriche, Il lavoro materiale è quello che
ci dà da mangiare, da abitare, da viaggiare. Avere smesso di considerarlo centrale è
stato un errore politico e un abbaglio culturale. Noi fighetti che passiamo la giornata al
computer siamo sfamati, letteralmente, dai braccianti dei quali ci occupiamo solo quan-
do schiattano sotto il sole.
(da la Repubblica - 23 agosto '15 - L'AMACA / Michele Serra)
A ogni crollo delle Borse, per capire un poco meglio quello che accade in quell'universo
sospeso tra economia e alchimia bisognerebbe domandarsi quanto le Borse avevano
guadagnato prima, giorno dopo giorno. La differenza è che il "meno" è traumatico,
veloce e viene urlato nei titoli di giornale: bruciati migliaia di miliardi. Il "più", invece,
era stato progressivo e silenzioso. Sempre migliaia di miliardi, però annunciati da nes-
suna fanfara.
Provate anche voi a fare qualche conto della serva. Cercate su internet un grafico di
lungo periodo el Down Jones (indice di Wall Street), ce ne sono tanti. Cinque anni fa
il Down Jones viaggiava intorno ai diecimila punti, riemergendo dal tonfo del 2008
che lo aveva portato sotto quella quota simbolica. Pochi giorni fa era arrivato alla
vetta stratosferica dei diciottomila punti, al termine di una delle stagioni più lunghe
e costanti di crescita mondiale del mercato azionario. Oggi, dopo il colpo cinese, è
sceso quasi a sedicimila punti, con un bel tonfo. Ma la quota rimane comunque altis-
sima, come ben sanno i gestori di fondi e i singoli risparmiatori che nell'ultimo paio
d'anni hanno guadagnato in Borsa, una montagna di quattrini. Un altro suggerimento:
se la Borsa va male, abbiate o non abbiate azioni, andate nell'orto e consolatevi con-
tando le patate e i pomodori. Se non avete un orto, chiedete a un amico se vi fa vede-
re il suo.
(da la Repubblica - 25 agosto '15 - L'AMACA - Michele Serra)
Lucianone.
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