lunedì 27 febbraio 2012

Società - estero / Siria: la morte dei due reporter

SIRIA  -  Bombe sui ribelli e muoiono due reporter
              L'ira di Usa e Francia: ora basta.        


Era questa la notizia con l'articolo relativo di Bernardo Valli
che veniva riportata sulla prima pagina di 'la Repubblica',
giovedì 23 febbario scorso. Poi veniva trattato l'argomento
che riguarda i giornalisti corrispondenti di guerre od eventi
sociali-politici rilevanti come in Siria (Afghanistan ecc,), cioè
i cosiddetti reporter di cui non si parla abbastanza, di cui ci
si accorge spesso solo nei fatti tragici riportati dai mass media. 
  Marie Colin, corrispondente di guerra, in Siria (uccisa nel conflitto)

Articolo molto interessante da leggere ed esaminare e, soprattutto
direi, per riflettere sulla realtà in continuo cambiamento.
Il sottotitolo vero dell'articolo di B. Valli è:

 'I corsari della notizia':
E' evidente. Ovvio, Il cronista non è un artista e  ancor meno uno
scienziato. Il suo mestiere è vicino a quello dell'artigiano. Ha una
utilità diretta. Assicura un servizio pubblico indispensabile. a una
società democratica:  informare.  Informare cercando di sfuggire
a mille icolonsidie, e tra queste la fiction, l'immaginazione,  riservata
all'artista. Informare accettando la verità del momento, destinata
a cambiare, ad evolvere.   Una verità esposta alle emozioni e alle
insidiose idee preconcette. Questa attività approssimativa, sempre
soggetta a correzioni, ad aggiornamenti per avvicinarsi a un'inarri=
vabile esattezza , è vulnerabile a tanti virus. Virus politici, morali, 
economici, creati dall'ambizione e dalle intime, soggettive convinzioni.
Il mestiere rivela tutta la sua nobiltà quando per raccontare la verità
del momento, effimera ma preziosa, il cronista mette a repentaglio la 
vita. Allora l'artigiano riscuote il rispetto che gli è dovuto.
 Scrivo pensando naturalmente agli ultimi due cronisti uccisi a Homs, 
in Siria, -  Il fotoreporter francese, Rémi Ochlik, aveva 28 anni e una
faccia da ragazzino.  Era già ricco di esperienze Libia, Congo, Haiti.
Mi ricorda tanti altri suoi giovani colleghi per i quali ho provato una
simpatia  e  un'ammirazione  immediate  perchè   per  imprigionare
frammenti  di realtà  correvano  molti più rischi  di noi cronisti della
parola scritta, e perchè   quei loro frammenti di realtà  riuscivano a
riassumere  in  un'immagine, spesso in una sola immagine, un con=
flitto in corso  da decenni  o  un evento politico  al quale  sarebbero 
stati riservati capitoli di storia.
Nella civiltà delle immagini, priva di sfumature,
generosa sui teleschermi di verità approssimative e affrettate, 
capita che il fotoreporter coraggioso e geniale sappia cogliere
momenti rivelatori, inafferrabili per le telecamere e anche per
il cronista armato di penna e computer. C'è una bella fotografia
di Rémi Ochlik,scattata sul litorale libico. Vale un documentario.
In quel caso l'artigianato diventa arte e può entrare in un museo.
 Così come l'ultimo articolo di Marie Colvin, apparso sul Sunday 
Times, in  cui  racconta  il  suo  arrivo  a  Homs, dopo   una notte 
passata  sulle piste  libanesi e siriane  dei  contrabbandieri, è un
prodotto artigianale che può entrare in un'antologia letteraria.
La reporter americana aveva il piglio di un corsaro, con la benda
nera che nascondeva la mancanza dell'occhio sinistro, perduto in
un'imboscata nello Sri Lanka, dove seguiva il dramma dei Tamil.                         
  Aveva  un  piglio  da  corsaro, con l'annessa audacia, ma anche 
una precisa coscienza di quel che è il mestiere del reporter. "Un
mestiere il cui compito è di raccontare gli orrori della guerra con
precisione e senza pregiudizi".  Così ha detto   un paio d' anni fà 
Marie Colvin in una chiesa londinese dove si ricordavano i cronisti
e i loro ausiliari morti o feriti in conflitti armati.  
 Il corrispondente di guerra può essere un 
punto di riferimento perchè testimone diretto.
Non penso che quello del corrispondente di guerra sia una precisa
specialità del giornalismo.      E' un'attività che svolgono reporter
spesso impegnati in altri campi. Da quello politico a quello cultu=
rale.  Non  pochi  celebri  scritori  hanno f requentato  i  campi di
battaglia, o hanno bazzicato nelle vicinanze e li hanno descritti.
Poi sono ritornati ai loro romanzi. Quel che distingue chi svole
sul serio, sia pur temporaneamente, il lavoro di reporter di guerra
è la necessità, anche morale, di "andare sul posto". Come Rémi
Ochlik e Marie Colvin.
In questo senso il corrispondente di guerra può servire come punto
di riferimento. Il reporter, nel rischio o nella normalità, deve cercare
di essere un testimone diretto, non deve dipendere, nei limiti del pos-
sibile, nei numerosi e comodi filtri offerti dalla tecnica.     
 La civiltà delle immagini e dell'informatica
spinge a raccontare sui giornali la meschina, centellinata realtà che
appare sul video, o che viene offerta da Internet.  Così capita che lo
stesso giorno un corrispondente possa scrivere articoli da posti diver-
si fingendo di esserci, o possa esibirsi su due o tre argomenti che non
hanno nulla in comune.
Rémi Ochlik e Marie Colvin hanno pagato con la vita il nobile vizio
"di andare sul posto", di raccontare la realtà nella sua cruda versione.
Il primo con la macchina fotografica, La seconda con la biro e il taccui-
no hanno voluto scavalcare tutti gli ostacoli che si frappongono tra i
cronisti e la verità vera, sia pure la verità del momento.


(Da   Il Messaggero.it   -  mercoledì 22 febbraio 2012)  

RITRATTO1/Marie Colvin, una vita 

in prima linea

 LONDRA - Due fili di perle al collo e, sull'occhio, una benda da pirata. La sua ultima testimonianza, proprio ieri su Bbc, era stata sui «nauseanti» bombardamenti a Homs in cui ha dato la vita. Marie Colvin, americana del Sunday Times, è morta raccontando la guerra dalla parte delle vittime come aveva fatto da 25 anni a questa parte dai luoghi più pericolosi del pianeta. L'occhio l'aveva perso nel 2001 a Sri Lanka (ma aveva lo stesso mandato al giornale un pezzo di 3.000 parole dalla zona Tamil), la collana la metteva quando tornava a Londra: un lusso non concesso ai protagonisti dei suoi appassionati reportage, l'ultimo domenica scorsa dalla «cantina delle vedove», il sotterraneo di una falegnameria dove, con 300 donne e bambini terrorizzati, «viviamo nella paura di un massacro». 

I primi passi a New York. Sempre in prima persona plurale, dalla Siria come da Cecenia, Balcani, Sierra Leone, Eritrea, Libia, tra i Talebani in Afghanistan. La newyorchese Marie aveva optato per lo stile di giornalismo britannico che rende testimonianza («I was there»), sdegnato dal rigore dei connazionali che non arrivano al cuore. Lei viveva con i suoi soggetti: «Se mangi con loro, bevi quel che bevono e dormi dove dormono, c'è meno separazione». Laureata a Yale, i primi passi come 'crime reporter' nella Grande Mela, Marie aveva un modello dichiarato: Martha Gellhorn. Dalla guerra di Spagna alle giungle del Vietnam, l'intrepida moglie di Ernest Hemingway aveva cambiato il mestiere del corrispondente di guerra.  

Le lettureMarie, che le assomigliava fisicamente, aveva trovato la sua strada dopo aver letto 'Faces of War'. Gellhorn era arrivata in Normandia 24 ore dopo il D-Day nascosta su una nave ospedale, Colin era entrata in Cecenia lungo i sentieri dei contrabbandieri. A rischio della vita, 24 ore su 24, sacrificando amore e famiglia: Marie, come Martha aveva collezionato matrimoni falliti ma non figli. «La nostra missione è raccontare gli orrori della guerra con accuratezza e senza pregiudizio. Dobbiamo sempre chiederci se la storia vale il rischio. Cos'è coraggio e cos'è bravata», aveva detto nel 2010 commemorando colleghi morti in conflitti armati nella chiesa di St. Bride a Londra. La chiesa dei giornalisti, dove oggi la sua foto è esposta assieme a quella del fotografo francese Remi Olchnik, morto con lei sotto i razzi di Homs. Altri omaggi hanno seguito l'annuncio, dal premier David Cameron durante il Question Time al ministro degli esteri William Hague: «È morta aiutando i siriani a far sentire la loro voce». Amnesty International e Rupert Murdoch, il proprietario del Sunday Times si sono uniti agli amici: secondo Helen Fielding, la scrittrice di Bridget Jones, Marie era «la migliore. Speriamo che questo dramma serva a por fine alle atrocita».



Lucianone                   visione pubblico:   10


                        

Sport - calcio - Serie B / 26^ giornata: recupero e aggiornamento

Il recupero della 26^giornata.  Brescia  -  Torino                 visioni totali  8.405
                                                          1               0
Il Brescia vola, Torino beffato.
Il portiere del Brescia è imbattuto da 810': record europeo.
Un'autorete di Darmian condanna i granata.


Sintesi cronaca  
Non poteva andar peggio   la trasferta  del Torino al
Rigamonti di Brescia, In linea con le ultime trasferte:
gara dominata, tante occasioni sprecate, fino alla
beffa finale, con l'autore del gol che ti accorgi essere
un tuo giocatore: Darmian. 
Al Torino, fuori dall'Olimpico, non ne va bene una e
di  sicuro  il  Brescia  è  la squadra che non gli porta
proprio bene: bocciato ai playoff nel 2010 e neppure
a Ventura, con l'addio alla panchina del Bari dopo il
2-0 al Rigamonti.