La città e il centenario / La Grande Guerra 1914 - 1918
Verona, il conflitto e le storie
RICERCHE STORICHE - Uno storico militare, Giacomo Vaccarezza, in un testo
elaborato dallo Stato maggiore dell'Esercito del 1996, descrive le terribili condizioni
dei soldati al fronte della Prima Guerra Mondiale
In trincea, tra il fango e l'odore della morte
L' avvento di armi innovative e micidiali, come la mitragliatrice,
obbligò i militari a ripararsi in lunghi corridoi scavati nel terreno.
( da "L'Arena" - 5 aprile 2015 - di Elena Cardinali )
"Ficcato nelle buche e nel fango... il popolo dei soldati, dei buoni e degli ignari si trovò di fronte
a una cosa imprevista, terribile e inafferrabile, a una macchina fatta di formule, di filo di ferro e di
canne rigate, di calcoli e di scienza, invisibili e onnipresenti, contro cui nulla poteva la sua povera
massa urlante, bestemmiante e piangente, fatta solo d'ossa, di carne e di qualità umane...". Così
Curzio Malaparte tratteggia la devastante realtà della vita dei militari, compresi moltissimi
veronesi, nelle trincee durante la prima guerra mondiale. La citazione si trova nel volume
di studi militari realizzato nel 1996 dall'Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito con
il contributo di diversi autori. - Uno di loro è Giacomo Vaccarezza, storico militare, che ha
dedicato un dettagliato capitolo allavita di trincea con spunti da numerose fonti.
Spiega Vaccarezza che nel 1914, dopo un mese di guerra sul fronte occidentale, una serie
di imprevisti, connessi all'innovativo utilizzo di armi mai comparse prima, come la micidiale mitragliatrice, rese necessario il ricorso al trinceramento delle truppe, procedimento che
consentiva di limitare la perdita di vite umane, "rivelatasi subito di una consistenza inaudi-
ta", e che costituiva anche un ostacolo alla progressione nemica. Inoltre la trincea permet-
teva d'avere basi di partenza per le offensive il più vicino possibile alle linee avversarie.
L'IMPIEGO generalizzato del trinceramento , continua Vaccarezza, "scompaginò d'un tratto
concetti tattici secolari e impose una nuova fisionomia al combattimento terrestre: la guer-
ra di trincea". E annota che la mitragliatrice fu l'arma che caratterizzè il primo conflitto
mondiale: il suo fuoco consentiva a pochi pezzi ben dislocati di annientare schiere di assa-
litori. Benito Mussolini la definì "motocicletta della morte". Per proteggersi il più possi-
bile dalla nuova devastante arma, e dallo scoppio di granate e altri ordigni, fu necessario
scavare fossati di circa due metri di profondità, di varia larghezza, camuffando l'orlo di
questi "corridoi" con vari materiali, in modo da renderli insospettabili all'avvicinarsi del
nemico., consentendo così azioni a sorpresa, ma anche per adattarli al controllo del terre-
no circostante senza far esporre i militari.
RETICOLATI di filo spinato venivano stesi nella parte anteriore e sui fianchi delle trincee,
a costituire una sorta di muro di difesa contro eventuali assalitori. Scrive Vaccarezza
che "ben presto i grovigli di reticolati costituirono un elemento preponderante del pa-
norama di trincea". All'interno dei fossati venivano ricavati ricoveri e nicchie dove i
soldati trovavano rifugio. La trincea diventava così una serie di ambienti di varie di-
mensioni con coperture di fortuna, costituite da travi di legno e ferro e strati di terra
compressa per renderli resistenti alle deflagrazioni. Strati di tela catramata o gomma-
ta servivano a riparare dalle infiltrazioni d'acqua. Successivamente queste costruzioni
si trasformeranno in molti tratti in campi trincerati con costruzioni in cemento armato,
postazioni per mitragliatrici, pozzi, posti di osservazione avanzati, ricoveri blindati in
caverna. "E tutt'intorno un reticolato di filo spinato, steso a siepe, a tappeto, in avval-
lamenti del terreno, su cavalli di frisia, a matasse lente e, quando possibile, percorso
da corrente ad alta tensione".
Il TERRENO dei combattimenti presentava enormi difficoltà materiali che faceva
del nostro fronte il più aspro in Europa, fa presente Vaccarezza. L'ascia, il piccone
e il badile diventano attrezzi indispensabili per il combattente. La lunga linea trince-
rata andava dallo Stelvio al mare, descrivendo due grandi anse, più o meno corri-
spondenti al confine politico, a sud del trentino e a nord della Carnia. Durante le
stagioni piovose, ricorda lo storico, il fondo della trincea si trasformava in una poz-
zanghera melmosa. I tavolati che venivano sistemati sul pavimento erano quasi
inutili perchè l'acqua scorreva da cento rigagnoli sulle pareti, invadeva continua-
mente la trincea e il drenaggio si rivelava impossibile. Molte trincee si trasforma-
rono presto in luoghi mefitici che, nonostante le continue disinfezioni, costituirono
l'ambiente ideale per l'insorgere e il diffondersi di gravi malattie infettive".
La VITA in trincea scorreva in modo monotono, tra due muraglie, mentre all'e-
sterno c'era quasi sempre una distesa brulla, punteggiata di cadaveri insepolti e
di detriti di ogni genere. "L'ozio forzato, la ripetitività delle incombenze quotidia-
ne, la tensione per gli attacchi improvvisi del nemico, erano tutte cause di una
generale depressione, che provocava tra i soldati una sorta di apatia collettiva",
annota Vaccarezza, "che rendeva tollerabile vivere in mezzo ai cadaveri e alla
sporcizia. L'incombenza più frequente era la riparazione delle trincee dopo gli
assalti che spesso distruggevano tutto". Tutto questo tra un bombardamento
nemico e un assalto. A confortre un pò gli animi era il cameratismo che permet-
teva ai soldati di condividere paure e speranze, e lo scambio di lettere con le
famiglie, che manteneva saldo il rapporto con la realtà degli affetti e della vita
"normale". A mitigare il senso di vuoto c'erano anche i giornali di trincea, con
le loro vignette satiriche che per qualche istante regalavano pillole di buonumo-
re. Un dono raro in un ambiente dominato dalla sofferenza e dalla paura.
LA MORTE era una compagna abituale dei soldati. Al termine delle azioni belliche,
i militari facevano il conto dei commilitoni rimasti uccisi e di quelli finiti all'ospedale
da campo. "I più vicini il soldato li aveva visti cadere, ne aveva visto le ferite, sen-
tito le grida, li aveva visti giacere immobili", annota lo storico. "Di notte li aveva
calpestati, correndo all'impazzata. Degli altri se ne parlava nel reparto, a livello di
cifre. Molti dei caduti non potevano essere rimossi dalla "terra di nessuno", lo
spazio che si trovava tra opposte trincee. I cadaveri restavano lì a disfarsi, inizial-
mente come un macabro monito, poi quasi privi di significato negativo, quasi parte
integrante del panorama di guerra, con i sassi, le bombe inesplose ed il groviglio
di reticolati dove a volte restavano impigliati i corpi. E intorno un tanfo pestilenzia-
le che si attaccava ai vestiti". Cimiteri improvvisati con centinaia di croci bianche
si formavano ovunque mentre lo spettro delle ferite e dei cadaveri creava assue-
fazione anche ai peggiori spettacoli.
Continua... to be continued...
...