sabato 14 dicembre 2019

Ambiente / l'emergenza ambientale - Le parole giuste

14 dicembre '19 - sabato                        14th December / Saturday                 visione post - 3

(da la Repubblica - 24 novembre '19 - di Stefano Mancuso)
Le parole giuste per il clima folle
Alla fine di ottobre del 2018, la tempesta Vaia colpiva con violenza inaspettata il Nord Est italiano
procurando l'abbattimento di intere foreste e la morte di un numero imprecisato di alberi.  In cerca
di una stima, quanto più possibile realistica, del numero di alberi schiantati, chiamai in quei giorni
chiunque conoscessi nelle zone colpite dal disastro per avere informazioni più dettagliate.
Alla domanda "quanti alberi sono caduti?", la risposta era immutabilmente "molti milioni di metri cubi di legname". L'unica variabile ammessa era il numero di metri cubi:  da sette a nove. Nessuno
che parlasse del numero di alberi caduti; solo metri cubi di legname. Ora, le parole che adoperiamo
raccontano molto di cosa siamo; parlare di metri cubi  di legname o  di  bestiame  o  di pescato, ad
esempio, illustra con chiarezza il nostro rapporto predatorio con gli altri esseri viventi del  Pianeta.
Una percezione della natura come materia prima che, a prescindere  da qualunque  considerazione
etica, è una delle cause fondamentali della drammatica emergenza ambientale che stiamo vivendo.
La scelta di un vocabolo o di un altro, se da un lato svela cosa siamo, dall'altro ha la possibilità di
modificare la nostra comprensione della realtà. Prendiamo il caso del "cambiamento climatico".
Il primo ad aver utilizzato questa espressione sembra essere stato Wallace Broecker, ricercatore
presso la Columbia University, in un articolo pubblicato su Science il 9 agosto del 1975. Da quel
momento "cambiamento limatico"  e  "riscaldamento globale" hanno iniziato  a essere utilizzati 
come sinonimi , nonostante le due locuzioni definiscano fenomeni molto diversi: "riscaldamento
globale" riguarda, infatti, l'aumento della temperatura media della superficie terrestre dovuta al-
l'aumento delle concentrazioni di gas serra, mentre "cambiamento climatico" interessa la modi-
fica a lungo termine del clima della Terra.  Quello che accade  al nostro pianeta  è, senza alcun
dubbio, un "riscaldamento globale", eppure si continua a parlare di "cambiamento climatico". 
Perchè? La risposta è semplice e la racconta qualche mese fa sul Washington Post, Frank Luntz,
un consulente dei repubblicani americani: "Nel 2001 scrissi un promemoria per i politici repub-
blicani consigliando loro di cancellare dal loro vocabolario il "riscaldamento globale", perchè
aveva connotazioni catastrofiche, e utilizzare al suo posto  "cambiamento climatico" che sug-
geriva, al contrario, una sfida più controllabile e meno emotiva".
Utilizzare le espressioni giuste fa una differenza enorme. E' per questo  che r ecentemente il 
Guardian ha stilato un breve glossario dei termini e delle espressioni che devono essere  uti-
lizzate dai suoi giornalisti quando scrivono sull'ambiente. Leggerlo è istruttivo. Fra le racco-
mandazioni troviamo che "crisi climatica" o "emergenza climatica"  devono  essere preferiti 
a "cambiamento climatico"  e che coloro che negano  lo stato delle cose non devono  essere 
descritti come "scettici" ma come "negazionisti". 
Sono molti i giornali nel mondo che tentano una revisione linguistica sui temi dell'ambiente
e credo facciano bene. Sia chiaro, non sono soltanto alcuni politici o alcuni giornalisti a con-
fondere le acque, anche gli scienziati, con il loro esagerato timore  di esprimere  con sempli-
cità cosa sta realmente accadendo nonostante le miriadi di prove irrefutabili a sostegno, con-
tribuiscono alla confusione. Un esempio classico è un brano del recente report sul riscalda-
mento globale del gruppo intergovernativo  sul cambiamento climatico (Ipcc): "Limitare il
riscaldamento globale a 1,5°C richiederebbe cambiamenti rapidi, di vasta portata  e  senza 
precedenti in tutti gli aspetti della società". "Rapidi, di vasta portata e senza precedenti  in
tutti gli aspetti della società", non stiamo forse parlando di cambiare tutto e subito? E allo-
ra perchè non scrivere chiaramente come faceva Margaret  Atwood, in un suo saggio del
2015 che ciò che sta accadendo al nostro pianeta più che un "cambiamento climatico"  è
un "cambiamento di tutto"?

Stefano Mancuso, scienziato, è direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia
vegetale (Linv). Ha scritto "La nazione delle piante" (Laterza, 2019).

Lucianone