3 maggio '14 - martedì 3rd May / Tuesday visione post - 7 Daverio, il critico d'arte che parla anche di musica Philippe Daverio è uno dei pochissimi critici d'arte a parlare sempre anche di musica, dimostrando di comprendere come un discorso sul- l'arte non possa evitare di occuparsi di musica. Come nel primo dei cinque incontri organizzati da Idem, in cui il tema era "L'arte visiona- ria nei primi decenni del Novecento: quando con la provocazione surrealista "l'immaginario invade l'immagine". E invade anche la musica. Daverio racconta divertito di quando a Milano come assessore alla cultura fe- ce eseguire Vexation di Satie, trentacinque battute di musica senza melodia, senza conclusione armonica, ripetute 840 volte per una durata totale di circa venti ore, come un mantra dissonante che realizza un perpetuum mobile. "La grande truffa dell'arte del Novecento è che per capirla si deve far parte del gioco", afferma Daverio. E ancora: "Quello che produce non ha un valo- re formale, ha valore solo in quanto provoca". - Ma il discorso meriterebbe di tornarci su. Daverio accenna alla nascita di lì a poco della nuova disciplina della linguistica e allora tutto diviene chiaro: il voluto corto circuito semantico dell'arte del primo Novecento è meno semplicistico di come sembra. Tutte le arti sferrano un preciso attacco contro quella facoltà antropologica primaria che è il narrare. Raccontare è mettere ordine, individuare nessi, ma la vita, nella realtà, è assai più simile a come la racconta Joyce in Ulisses. Un coacer- vo di percezioni che si affacciano di continuo nella nostra mente, un gioco inaf- ferrabile di associazioni impreviste e immotivate. Il mondo onirico è la vera, vertiginosa, scoperta della modernità.
3 maggio '14 - martedì 3rd May / Tuesday visione post - 12 "500 dollari al giorno per la guerra a Kiev" Nel quartier generale di Sloviansk tra i miliziani filo-russi dell'Est. Mimetica e volto coperto, la città è nelle loro mani. Sono reduci della grande Urss e finanziati dagli oligarchi. (da 'la Repubblica' - 28 aprile 2014 - Renato Caprile, Sloviansk) Abiti civili, in apparenti buone condizioni fisiche, gli otto osservatori dell'Osce (i 4 tedeschi, il danese, il polacco, lo svedese e il ceco) da venerdì nelle mani dei ribelli filorussi di Sloviansk, insieme a quattro ufficiali ucraini di cui però si sono perse le tracce, sono stati ieri esibiti alla stampa internazionale con una specie di colpo di teatro. Manco a dirlo con la sapiente regia di Vlaceslav Ponomariov, il leader dei separatisti, l'uomo forte dei filo Putin oltre che il sindaco autopro- clamatosi di questa cittadina di centonila abitanti dell'est Ucraina che ha dichia- rato guerra al potere di Kiev. "Come potete vedere - ha affermato con sarcasmo Ponomariov - non li abbiamo torturati, sono vivi e in buona salute, sono prigionie- ri di guerra però e non possono quindi essere liberati se non in cambio di nostri uomini attualmente detenuti nelle carceri ucraine". Messaggio chiarissimo. Il portavoce del gruppo degli otto, il colonnello tedesco, Axel Schneider, visibilmente non a proprio agio, lo contraddice solo in parte, de- finendosi un ospite e non un prigioniero anche se, deve ammettere, impossibilita- to come tutti gli altri a tornarsene liberamente a casa. Teatro di questa pièce a uso dei media internazionali il palazzo del Municipio, un anonimo parallelepipedo di cemento con i cecchini sul tetto e i sacchetti di sabbia all'ingresso come in ogni zona di "guerra" che si rispetti. Anche se nella brutta piazza su cui guarda il palaz- zo, piazza della Rivoluzione d'Ottobre con tanto di statua di Lenin, il clima è deci- samente quello di una domenica di pace, con coppie che passeggiano e i ragazzi al bar a parlare di calcio. Sarà che oggi è festa, ma questa "rivoluzione" non sembra coinvolgere più di tanto le masse. E' roba per pochi, un migliaio, al massimo duemi- la persone. Ex militari, reduci della guerra in Afghanistan per lo più, nostalgici del- ia grande Urss, ingaggiati a 500 dollari al giorno, i capi, per girare in mimetica, ar- mati di fucile e col volto coperto. "Ma quali soldi, io combatto per un'idea, contro i fascisti, contro Kievskayakunta (il governo illegake di Kiev, ndr)", si inalbera Konstantin che certo non può ammettere ciò che ormai non è più un segreto: il ta- riffario della "rivolta", 500 dollari per gli ufficiali, per gli uomini in verse, 200 per i "soldati", 40, 50 per tutti gli altri, quelli che stanno ai posti di blocco armati solo di mazze. La regia, quella vera, è affidata a un pugno di russi che se ne stanno in disparte e che sono le vere menti dell'Operazione Secessione. Chi paga'. Yanuko- vic, l'ex presidente, e soprattutto Renat Ahmetov, un patrimonio di 20 miliardi di dollari, il padrone di mezzo paese e di gran parte della regione di Donetsk, minie- re, acciaierie, alberghi, squadre di calcio, amico personale di Putin oltre che gran- de elettore di Yanukovic. "Filo russo il grande Ahmetov? Direi più che altro filo se stesso - spiega Boris, giornalista d'assalto - è uno abituato a prendersi quello che vuole, che non paga le tasse, non tutte almeno, e che vuole continuare a fare il bello e il cattivo tempo. I numeri non mentono, il Donetsk versa solo 6 miliardi di dollari all'erario, mentre ne riceve più del doppio. Se la regione si sgancia da Kiev, nessuno gli presenterà mai il conto". Terra di miliardari il Donetsk, se Ahmetov si dice finanzi i filo russi, Igor Kolomoyskiy, governatore di Dnipropetrovsk, sembra opporvisi. E promette diecimila dollari a chiun- que consegni, arresti, blocchi un russo con un fucile. E solo 1000 a chi metta le manette a un ucraino armato di kalashnikov. - "Ahmetov e Kolomoyskiy sono due facce della stessa medaglia - continua Boris - l'intramontabile gioco delle parti. Renat finanzia i fi- lorussi, Igor scuce quattrini per dimostrare che qui non ci sono russi come dice Putin. Nella peggiore delle ipotesi gli costerà qualcosa ma si sarà comunque ingraziato il futu- ro presidente per poter continuare a fare business senza troppe regole anche quando yuyyo questo sarà finito". - Il Comune, sede della Cbu, i servizi di sicurezza ucraini, le stazioni di polizia, tutto sembra essere sotto il controllo dei ribelli nell'apparente in- differenza dei più. Che forse non applaudono, ma certo non sono contrari. Sulla carta un blitz per liberare Sloviansk potrebbe essere un gioco da ragazzi, ma quel che è cer- to è che politicamente sarebbe un disastro. Ecco perchè le forze di sicurezza ucraine che si dice assedino la città ribelle, se ne stanno invece a debita distanza, a una cin- quantina di chilometri almeno tra Sloviansk e Artemivsk. Con l'obiettivo, si dice, quantomeno di impedire che arrivino nuove armi ai ribelli. 7 aprile 2014