sabato 19 settembre 2020

Cultura - Colonialismi: l'eredità inquieta della negritudine

 19 settembre '20 - sabato                         19th September / Saturday                    visione post - 4

(da il manifesto - 8 luglio '20 - culture / di Paolo Vittoria)

Dopo il caso Floyd ci si deve augurare che crescano non solo le
mobilitazioni, ma anche lo studio epistemologico, cercando nella
conoscenza e nella cultura gli strumenti di lotta

Mentre Donald Trump si arrocca dietro all'ennesimo muro costruito  a protezione della sua
incapacità politica, la brutale violenza razzista negli Usa continua a lasciar segni indelebili
nei settori più emarginati. Le discriminazioni razziali trovano parte del proprio consenso in
un'epistemologia di carattere eurocentrico e coloniale.  In molti  saranno stati obbligati  ad 
imparare a scuola i nomi delle caravelle e  la biografia di Cristoforo Colombo, senza capir
nulla del genocidio  e dello sfruttamento sistematico che ha dato vita alla società moderna,
da cui prende piede lo squilibrio sociale che ancora viviamo e soffriamo.
E anche nei libri scolastici  di alcuni Paesi dell'America Latina, si trasmette la conoscenza
in forma eurocentrica, narrata mediante la falsa voce dei colonizzatori: una giustificazione 
silenziosa del razzismo, un consenso occulto alla sua ideologia. Non è un caso  che  tra le
statue a cadere nelle proteste degli stati Uniti ci sia stata proprio quella di Colombo.
Felix Valdés Garcia, attivista e studioso dei movimenti antirazzisti nei Caraibi, ricercatore
dell'Instituto de Filosofia dell'Avana, invita a riflettere sugli elementi cruciali di un'episte-
mologia coloniale, eurocentrica che, negando o distorcendo le identità culturali delle popo-
lazioni emarginate banalizza secoli di sfruttamento, schiavitù e violenza finendo col giusti-
ficare culturalmente il razzismo .  "Nelle isole dei Caraibi - spiega lo studioso - a soli tren-
t'anni dallo sbarco (di Colombo), si è verificata una catastrofe demografica che ha stermi-
nato la popolazione Arahuacan a causa del vaiolo, delle malattie veneree, dello sfruttamen-
to del lavoro, dell'abbandono forzato  delle precedenti condizioni  di vita comunitaria, ma 
anche per i numerosi casi di suicidio e in conseguenza della violenta reazione della cimar-
ronaje, la resistenza al sistema coloniale. A causa di tutto ciò, perì tra l'80 o il 90 per cen-
to dei nativi". -  Eppure in alcuni libri di storia si leggono ancora descrizioni folkloristiche
e caricaturali dei colonizzati e addirittura esaltate agiografie dei colonizzatori.   La pagina
drammatica del genocidio di popolazioni inermi viene "digerita" con la definizione di "Con-
quista delle Americhe".  Al riguardo, ricorda Valdés Garcia, "non so quanto  sia conosciuto
qui a Cuba l'atto di disobbedienza civile compiuto da Bartolomé Las Casas.  Il suo fu un ge-
sto di insubordinazione, di critica radicale all'impostazione coloniale e razzista della conqui-
sta contro il massacro dei popoli Taino delle isole di Hispaniola e Cuba. Rinunciando pubbli-
camente al suo dipartimento di "indios" - in base al sistema dell'encomienda la popolazione
nativa di uno o più villaggi era affidata a un colono spagnolo, ndr - mise fine alla complicità 
con la conquista, riconoscendo di aver assistito  ad atti di estrema violenza, incendi, assassi-
nii.  Il suo gesto ci dice che il potere e l'interesse dominano mediante la falsa idea di "razza"
che è il più efficace strumento  di violenza e classificazione sociale  inventato  negli ultimi
500 anni".  "Ma - aggiunge Valdés Garcia - c'è una storia dietro questa classificaziobne, ed
è che una volta giunti i colonizzatori, le popolazioni locali hanno smesso di essere se stesse
per diventare 'indios'. Una volta saliti sulla nave, uomini e donne  hanno smesso  di essere
qualcuno per diventare 'negri', Non provenivano più da un luogo, da una comunità, da una
cultura, ma erano ridotti a un'astrazione che sussiste fino ad oggi".
Questo vuol dire che lo stereotipo in sè è utile al processo di assoggettamento e sfruttamento
economico e del lavoro, ed andrebbe compreso il nesso tra il sistema di produzione e le rela-
zioni sociali e culturali.  In Europa  si utilizza difficilmente  l'espressione "negro", a riprova
di una nebbia fitta di ipocrisia che offusca un processo storico, un'epistemologia - quella del-
la "negritudine" - caratterizzata da colonizzazione, schiavitù ma anche emancipazione cultu-
rale. Un modo per occultare i meccanismi politici e culturali dei conflitti sociali. "Diversi in-
tellettuali e attivisti - sottolinea il ricercatore cubano - ci hanno permesso di conoscere e com-
prendere il concetto di negritudine, come quelli di indigenismo, transculturazione, alienazione
per il colore della pelle, mimesi del colonizzato, creolizzazione, razzismo epistemico. Pensia-
mo a Fernando Ortiz, Nicolàs Guillén, C.I.R. James, Aimé Césaire, Frantz Fanon, Walter Rod-
ney, Sylvia Winter, Michel Rolph-Trouillot.  Oltre a rendere visibile l'invisibile, il concetto di
negritudine distingue un'altra realtà, quella che viene lasciata ai margini, non vista dalle verit-
tà e dagli assiomi imposti dal dominio egemonico. La questione  è scomoda  perchè  porta  a 
rotture epistemiche che  dalla denuncia del fatto in sè (come il caso di George Floyd), passa-
no alla teoria politica, alla filosofia, alla riscrittura della storia in senso critico. Un intellettua-
le haitiano, Antenor Firmin, afferma che non dovrebbero esserci disuguaglianze tra le razze
umane, semplicemente perchè esse non esistono. Anche José Martì affermava che non ci so-
no razze. che si tratta di un'invenzione funzionale all'assoggettamento.
Proprio il grande pensatore e rivoluzionario cubano in Nuestra America si batteva per una 
società aperta, accogliente, indipendente, multiculturale mediante un'educazione popolare
che includesse tutte le classi sociali e costruisse la sua epistemologia a partire di più emar-
ginati, i colonizzati. "José Martì - aggiunge Valdés Garcìa - conosceva bene l'orrore della
schiavitù a Cuba". Da bambino tremava davanti a uno schiavo morto, appeso a un albero 
tra le montagne, e giurò di lavare questo crimine con la sua vita. Gli era chiaro che sareb-
be stata l'indipendenza dell'isola a portare gli schiavi fuori dall'invisibilità. Poi la Rivolu-
zione del '59, erede del suo pensiero, ha concesso a tutti legalmente le stesse condizioni
e opportunità. Anche se bisogna stare attenti perchè le idee e i giudizi razzisti posssono
essere latenti nelle società che provengono dalla schiavitù: Martì stesso riconosceva che
ciò che viene risolto dalle leggi può restare nelle coscienze. 
Ancora una volta emerge la questione culturale: l'educazione, la scuola, l'università so-
no strumenti indispensabili perchè raggiungono le coscienze, senza cui le leggi stesse
non hanno senso.  "Proprio per questo  il Che nel 1960, dopo  aver ricevuto  l'honoris 
causa dalla Facoltà di Pedagogia dell'Ateneo Central del las Villas di Santa Clara, di-
fendeva l'idea di un'università che si dipingesse di nero, mulatto, che fosse popolata
da operai e contadini". Un annuncio che non è chiaro se si sia tradotto o meno in real-
tà, se Cuba sia effettivamente libera dal razzismo.  "In parte. - replica Felix Valdès Garcìa -
Ci sono ancora forme velate di razzismo dovute a secoli di schiavismo ed esclusione, all'e-
redità di un processo di destrutturazione, di possesso materiale.   Molti  discendenti  degli 
schiavi continuano  a vivere nelle periferie  e  a fare i lavori più umili. Devo  dire  che  si
menziona poco il successo paradigmatico della rivoluzione haitiana e l'azione e il pensie-
ro di Tussaint de Louverture, che hanno posto fine al regime di schiavitù negra e al siste-
ma coloniale francese , costituendo la  prima Repubblica indipendente dell'America Lati-
na. La costituzione che fu promulgata nel 1801 è stato il primo grande testo anticoloniale,
antischiavista e amancipatore scritto da soggetti fino a quel momento soggiogati e ridotti
in schiavitù. Eppure si tratta di una vicenda che nella storia ufficiale è spesso ignorata".
 Anche i casi di violenza razzista a cui stiamo assistendo negli Usa ci dicono che c'è an-
ra molto cammino da fare e non solo a livello politico. Come suggerisce Valdés Garcìa.
"George Floyd è stato soffocato perchè era negro. Una banconota da 20 dollari, che si
sospettava falsa, è stato il pretesto per la sua morte. Come ha detto suo fratello, la vita
di un negro vale meno di tale somma irrisoria. E' orribile che sia accaduto nel XXI se-
colo e in un Paese leader per lo sviluppo economico e tecnologico  ma così povero se 
si guarda a quante coscienze sono sono preda di convinzioni inammissibili. Non ci si
deve augurare soltanto che la denuncia  e  le mobilitazioni contro i crimini razziali si
estendano e trovino ancora maggiore sostegno, ma che si approfondisca lo studio e si
moltiplichino i dibattiti sul tema dal punto di vista epistemologico, cercando nella co-
noscenza e nella cultura  gli strumenti politici  di lotta al razzismo  che vadano  oltre 
ogni forma di banalizzazione e silenziamento, spesso perpetuati in base a una conce-
zione coloniale della storia e del pensiero. 

Lucianone