3 novembre '20 - martedì 3rd November / Tuesday visione post - 33
(da la Repubblica - 31 ottobre '20 - di Massimo Recalcati)
Se cresce la paura del futuro
La prima ondata è stata un pugno in faccia. A fatica abbiamo sopportato e superato la sua violenza.
La prima ondata è stata un pugno in faccia. A fatica abbiamo sopportato e superato la sua violenza.
L'estate è stata vissuta come l'annuncio della fine di un incubo. Per questa ragione la seconda onda-
ta era inattesa tanto quanto la prima. Nessuno se l'aspettava così. Solo qualche Cassandra insisteva
nell'ammonirci. Ma l'aria che abbiamo respirato era indubitabilmente quella di un ritorno alla vita.
La privazione della libertà si è capovolta nella sua più ottusa riaffermazione senza considerare la
presenza, sebbene apparentemente silente, del virus ancora tra noi. Ha prevalso la rimozione del
male. Non solo nei negazionisti, ma, in fondo, in tutti noi. La parentesi del terrore si stava chiu-
dendo. Ne eravamo convinti. La seconda ondata era scritta nei libri di storia della medicina e del-
le epidemie ma non sarebbe mai capitata a noi. Con questo esorcismo inconscio abbiamo voluto
dimenticare il prima possibile l'orrore che abbiamo vissuto. La seconda ondata appare in questo
ancora più tremenda della prima perchè implica il lutto della guarigione. E' il carattere traumatico
che accompagna ogni recidiva. L'impreparazione inevitabile che ha caratterizzato la prima onda-
ta si rivela, dunque, anche nella seconda ma, questa volta, con l'aggravante della colpa: lo sape-
vamo ma abbiamo voluto ignorare quello che sapevamo. Siamo stati di nuovo colti di sorpresa
sebbene la seconda ondata era già tutta scritta nella prima. L'ottusità della vita che vuole vivere
al di là della sua protezione è una forma di quella che Freud definiva pulsione di morte.
La rinuncia alla prudenza che ha caratterizzato la nostra estate mostra l'anima-cicala dell'umano
che il nostro tempo ha scelto di sponsorizzare a senso unico. Ogni timido richiamo alla cautela
è stato vissuto come un abuso di potere, espressione di una dittatura sanitaria dai tratti sadici.
Ma la riaffermazione di una libertà senza limiti ci ha fatti ripiombare nel dramma. Potremmo
imparare qualcosa da questa lezione? Nell'ascolto dei miei pazienti nel corso della prima on-
data il sentimento prevalente era quello dello smarrimento di fronte all'inaudito. Il sintomo più
diffuso era quello della fuga fobica e del ritiro sociale di fronte all'avanzata dell'epidemia. E
questo sintomo coincideva con le misure sanitarie resesi necessarie a rallentare la corsa mali-
gna del virus (distanziamento, confinamento, quarantena, tracciamento). Di fronte all'incom-
benza e all'indeterminatezza del pericolo ritrovare dei confini sicuri ha avuto per molti di loro
un effetto de-angosciante. Nella seconda ondata il quadro clinico appare profondamente muta-
to. Il panico che aveva caratterizzato le prime manifestazioni sintomatiche individuali e collet-
tive - l'assalto ai treni e ai supermercati - sembra assumere tinte più fosche. Non è più solo la
risposta al sentirsi intrappolati e senza vie di fuga (prima ondata), ma è il sentimento di essere
lasciati cadere senza alcuna rete protettiva, abbandonati a se stessi, senza più avvenire. E' un
panico intrecciato a un vissuto profondamente depressivo.
La seconda ondata mostra che il vero trauma non è al passato ma al futuro, Distruggendo l'il-
lusione della ripresa della vita alla quale tutti abbiamo creduto, essa ha dilatato l'orizzonte del-
l'incubo. Il secondo tempo del trauma è più traumatico del primo perchè mostra che il male
non si è esaurito ma è ancora vivo tra noi. le speranze alimentate dall'estate si sono infrante.
Questa delusione è il sentimento oggi prevalente. E' sempre più difficile rialzarsi dalla secon-
da caduta che dalla prima. E' una lezione clinica: il ritorno del trauma - la sua recidiva - può
essere più traumatico della sua prima volta. Il panico della seconda ondata porta con sè il sen-
timento di non poter più ritornare alla vita. Per questa ragione, credo, molti dei miei pazienti
depressi chiedono espressamente di potere fare le sedute in presenza e non da remoto come
accadeva abitualmente durante la prima ondata. Hanno necessità di ridurre la distanza, di non
sentirsi cadere nel vuoto dello schermo. E' la condizione nella quale si trovano tutte le sogget-
tività più fragili e più duramente provate dalla crisi economica. Hanno la necessità di una pre-
senza tangibile che dia loro un sostegno immediato, una cura senza differimenti.
Lucianone