4 aprile '18 - mercoledì 4th April / Wednesday visione post - 24
(da Corriere della Sera - 7 marzo '18 - di Luigi Ippolito / Cambridge)
Il DNA dei colori
Questo è il racconto di una bambina ribelle le cui storie della buonanotte eranio i libri di
Stephen Hawking. E che per seguire la sua passione è andata a Cambridge a decifrare la
struttura nascosta dei colori. Il laboratorio del dipartimento di chimica dell'ateneo ingle-
se è come uno se lo immagina: vetrate dietro cui si allineano provette, storie e alambicchi.
In un angolo, un gruppetto di ragazzi e ragazze (tutti italiani) è impegnato a pulire lenti
di microscopi dietro una pila di scatolette variopinte. Li guida Silvia Vignolini, 37 anni,
da Firenze: la ricercatrice che ha svelato il codice genetico dei colori strutturali.come la
"Qui analizziamo come gli organismnon sono frutto di un pigmento ma della particolare
disposizione di microscopiche strutture che riflettono la luce. La ricercatrice apre il com-
puter e mostra delle meravigliose farfalle, il cui blu acceso è dato dal modo in cui sono
fatte le ali. E lo stesso vale per le piume dei pavoni. "Noi cerchiamo di capire come la na-
tura "ingegnerizza" il materiale e proviamo a riprodurlo. E' un procedimento che chia-
miamo bio-mimetica. Studiamo come manipolare queste strutture".
Un ulteriore approccio è dato dall'analisi delle colonie di batteri che producono colori.
"Abbiamo provato a cambiare i geni di questi batteri e quindi a cambiarne il colore. In
questo modo possiamo utilizzarli come colori viventi". Le applicazioni sono infinite e
tutte affascinanti: si possono ottenere vernici viventi" per auto e pareti, biodegradabili
e atossiche, che potrebbero agire come sensori cambiando colore in risposta a stimoli e-
sterni. E il team della Vignolini ha attirato anche l'attenzione delle aziende cosmetiche:
i grandi gruppi si sono fatti avanti e alla fine i ricercatori di Cambridge hanno deciso
di collaborare con uno dei colossi del settore. Un team di ricerca internazionale a Cam-
bridge, a guida italiana, porta inevitabilmente il discorso sull'esodo dei nostri talenti.
"Dopo aver finito il dottorato a Firenze ho capito che dovevo andar via - racconta Sil-
via -. Nel nostro settore la mobilità è importante. All'inizio pensavo che sarei rientra-
ta dopo un paio d'anni, ma poi sono rimasta. Per portare avanti progetti di questo ti-
po occorre del tempo". E la studiosa ammette con amarezza che "in Italia sarebbe
difficile realizzare una ricerca come la nostra. La situazione non è stabile, è arduo
trovare delle posizioni a lungo termine". E soprattutto, sottolinea, occorre quella mas-
sa critica di studiosi e quella disponibilità di risorse per progetti interdisciplinari che
solo un posto come Cambridge può garantire. E non si può non notare come quello
della Vignolini sia un successo femminile che viene da un Paese che spesso ha difficol-
tà a incoraggiare le donne a studiare materie scientifiche. "Il fatto che le ragazze non
scelgano certe materie è solo il corollario di una percezione sbagliata delle donne - so-
stiene Silvia -. Bei nostri confronti ci sono attese stereotipate da parte della società.
Puoi anche essere brava a scuola, ma non ti danno mai pienamente credito. Perfino
mio padre dice che, rispetto a mia sorella, io sembro un pò un uomo! Qui in Inghil-
terra è diverso, fanno vedere le donne in posizioni forti, le incoraggiano a farsi avan-
ti". La soddisfazione è però ricevere una lettera dall'Italia di una ragazza che vuole
studiare chimica e che le scrive: "Se ce l'hai fatta tu, ce la posso fare anch'io!".
Lucianone
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