4 marzo '20 - mercoledì 4th March / Wednesday visione post - 6
(da la Repubblica - 28 febbraio '20 - Primo piano / di Michele Serra)
Quanto è piccolo il mondo del virus
- Nel pianeta brulicante l'isolamento perde di colpo la sua consistenza.
E il contagio serve a farci sentire, nel vivo della nostra paura, che
dal Po a Wuhan i passi sono pochi -
Si sa che il virus viaggia a bordo degli esseri umani, e dunque là dove gli umani si diradano ci
si sente, istintivamente, meno esposti al contagio. Nelle vallate appenniniche svuotate dall'indu-
strializzazione, l'isolamento - secolare svantaggio - diventa un beffardo sollievo. Le misure di
sicurezza, come tante altre cose, sono a misura di città, dell'Italia inurbata, aggregata, densa,
laddove respirarsi addosso è la regola. Mantenersi a due metri di distanza dalle altre persone,
evitare i luoghi affollati, considerare ogni promiscuità come un potenziale pericolo: in luoghi
dove ci sono più lupi e cinghiali che uomini, non sono avvertenze che possono lasciare il se-
gno. Perchè la mascherina, se a fiatarti addosso non sono gli uomini, è la montagna?
La zona rossa del Lodigiano è solo a mezz'ora di macchina ma a Sud del Po, quando la terra
si inarca e diventa Appennino, puoi camminare nei boschi o lavorare nei campi giornate inte-
re senza incontrare anima viva. A sera, nei bar e nelle trattorie, i telegiornali fanno l'effetto del
rapporto da un fronte lontano. Musei, cinema, teatri: chi li ha visti? Qualche cinema ancora c'e-
ra, fino a trent'anni fa, nelle cittadine di fondovalle. Adesso niente, nemmeno una sala parroc-
chiale Si conservano, in qualche antro buoi e deserto, mai più visitato se non dai proprietari,
i vecchi proiettori. Con ragnatele o senza a seconda della cura postuma. venne Pupi Avati, un
paio di estati fa, grazie al benemerito interesse della Cineteca di Bologna, a rendere omaggio
a quei cimeli, e a parlare in piazza, applauditissimo.
E dunque se l'isolamento deve essere la regola, in queste valli svuotate, così lontane da Roma
e non abbastanza vicine a Bologna, la tentazione di farne ragione di rivincita fa capolino, nei
primi giorni,nelle chiacchere serali. "Ci hanno lasciati soli? Meglio per noi". Ma dura poco.
Dura il tempo - due giorni? tre giorni? - di accorgersi che anche l'agricoltore, la parrucchiera,
il pensionato, lo studente, sono andati e tornati. Per luoghi, e da luoghi, che sono ben oltre il
Po e sovente anche oltre l'Italia. Che i pendolari sono tanti, lungo le strade di fondovalle, scen-
dono e risalgono, salgono e ridiscendono. Che i ragazzi vanno a studiare lontano. Che i charter
sono pieni di gente che non ha più il cinems in paese, eppure va in Paesi lontanissimi, per lavo-
ro o per svago. Che ormai un quarto dell'umanità (un quarto!) prende l'aereo, cambia latitudine
e longitudine, sovverte il fuso orario. - Un quarto dell'umanità, circa due miliardi di persone,
cioè quante ne bastano per rendere promiscuo oltre l'immaginabile un pianeta che ancora si af-
fida (disperatamente?) alla divisione di Nazione, Regione, Provincia, nella speranza di mettere
ordine in un caos brulicante di spostamenti, rapporti, scambi, conflitti, migrazioni. Adesso che
perfino il Continente - se non come unità amministrativa, come entità geografica - oramai ri-
sulta inadeguato, superato dagli eventi...
Arrivano quassù, le prime notizie di contagi della porta accanto, contratti a valle. Il medico
che lavora in ospedale. La famiglia che è andata a cena dai parenti a X, e come poteva sape-
re? Addirittura il sindaco del paese accanto. Le persone che per lavoro incontrano altre per-
sone, nelle infinite assemblee, piccole e grandi, dove l'umanità amministra se stessa. Nessu-
no è davvero immune. Nessuno. - Ed ecco che l'isolamento perde di colpo la sua consisten-
za, diciamo la sua scorza. Ci si rende conto, nel bene e nel male, di essere meno soli di
quanto si pensava. Si cammina nel bosco con diverso spirito,, in fondo al bosco c'è la stra-
da, in fondo alla strada il paese, oltre il paese il fondovalle, l'autostrada, il mondo. La pos-
sibilità di contagio (di TUTTI i contagi) è proporzionale all'energia del mondo, il brulican-
te mondo degli umani in movimento. Il contagio è morte (in minuscola percentuale) ma è
anche vita, l'inevitabile cozzo delle traiettorie, dei viaggi, dei corpi in movimento. Ti sen-
ti meno lontano, anzi molto più vicino al medico di Codogno, e al remoto pensionato di
Vò Euganeo (che viene dal latino vadum, guado, passaggio).
Per mille volte camminare nel bosco, da solo, ti ha fatto pensare, anzi ti ha fatto sentire,
che la sola lettura possibile del mondo è olistica, complessiva, tutto è in relazione con tut-
to. E appunto: sicome tutto è in relazione con tutto, è normale, anzi è giusto che il primo
brivido di sollievo (qui siamo in pochi! Qui siamo in salvo!) sia stato presto corretto dal-
la percezione che no, nessun uomo è un'isola. Almeno a questo serve il contagio. Farci
sentire, nel vivo della nostra carne, e della nostra paura, e del nostro sacrosanto rifiuto
della paura, che di qui al Po, e alla Cina, e all'Iran, i passi sono pochi.
Lucianone
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