venerdì 6 novembre 2015

Spettacoli / cinema - Il profugo "Dheepan"

6 novembre '15 - venerdì               6th November / Friday                visione post - 12

Da un bel pò di tempo  mi mancava  un post riguardante  una critica/commento  su un 
film. Ecco ora l'occasione con il film che ha vinto quest'anno la Palma d'oro al Festival
di Cannes . E' oltretutto una pellicola d'attualità, in quanto affronta l'argomento profu-
ghi ma in modo del tutto particolare in cui realismo, lirismo e sogno onirico sono fusi
sviluppati in uno stile molto preciso. E poi comunque c'è dentro il sogno del protago-
nista, profugo, di cambiare vita, inclusa la parabola finale di redenzione.
 (Lucianone)

(da la Repubblica - 22/10/'15 - Al cinema / Roberto Nepoti)
Così Dheepan profugo dello Sri Lanka
inventa la sua nuova vita
ORA che il film vincitore della 58^ edizione di Cannes arriva nelle nostre sale, anche lo
spettatore italiano potrà dire la sua sulle polemiche che accompagnarono la Palma d'oro
assegnatagli dalla giuria dei fratelli Coen. A legittimarle fu almeno in apparenza il sogget-
to, che secondo alcuni rimanda ai film di giustizia privata in voga negli anni 70, con rela-
tivo sottofondo reazionario  declinato  in cinema  di genere  (la serie del Giustiziere della
notte, per intendersi).  Il protagonista si chiama Dheepan ed è un profugo dello Sri Lanka,
dove è stato soldato nelle tigri Tamil durante la guerra civile. Per poter espatriare l'uomo
simula di costituire una famiglia con la giovane Yalini, che è più una rifugiata economica,
e l'orfana di nove anni Illayaal.  Dopo l'arrivo in Francia Dheepan fa il venditore ambulan-
te di gadget miserandi, poi ottiene un posto di guardiano in un complesso di condomini del-
la periferia di Parigi, dove si trasferisce con la finta famiglia. Luogo e mestiere umili che
però gli sembrano un angolo di paradiso. E invece la banlieue da gang di spacciatori vio-
lenti in lotta tra loro, che ne fanno una diversa ma assai pericolosa zona di guerra.
Tra Dheepan e Yalini sboccia un'inattesa storia d'amore, mentre la bambina "adottata"
per interesse somiglia sempre più a una figlia. Per difendere quel che ha conquistato, l'uo-
mo tenta prima di recintare uno spazio protetto; ma inutilmente. Allora in lui si risveglia
l'antico soldato, che impugna le armi, per difendere sè e le persone amate. socio
Ora, se si crede che un film coincida semplicemente col suo soggetto, i detrattori di quello
di Jacques Audiard, ossessionati  dall'ideologia  del politically correct, potrebbero anche
avere ragione. Non è così, naturalmente. Il regista francese non mette affatto in scena un 
dramma sociale per poi appiccicargli un finale da cinema di genere alla Golan&Globus:
porta invece la storia alle sue estreme conseguenze, evitando sia le ovvietà socio-demogra-
fiche dei film "sociaòlmente impegnati", sia la tirata reazionaria sui pregi della violenza
autogestita. I tipi come lui si contano sulla punta delle dita: quelli capaci di sposare cine-
ma d'autore (con un punto di vista e uno stile precisi) e spettacolo popolare, rivolgendosi
al pubblico nella sua totalità senza prendere lo spettatore per un idiota beato  o  volergli 
imporre una lezione di sociologia per principianti.
Certo, Dheepan è un film costruito in maniera insolita,articolando un finale violento in-
torno  a una bella storia d'amore   e  alternando  brani di realismo  con altri  di lirismo  
struggente (che ricorda un altro bel titolo controverso di Audiard, Un sapore di ruggine
e ossa).  Non mancano  neppure  le scene oniriche, nel sogno ricorrente  dell'ex-soldato 
che allude alle sue origini: un elefante, simbolo di saggezza cui l'uomo si appella incon-
sciamente. Soprattutto, però, Dheepan è un film raccontato benissimo; una parabola di
redenzione il cui protagonista reagisce a un'aggressione che è sì fisica, ma che minaccia
soprattutto il suo sogno di una vita diversa. E c'è una bella differenza tra la storia di un
vigilante urbano e quella di una famiglia finta che vuol diventare vera. Vedere per giu-
dicare.

Dheepan
Regia di Jacques Audiard
Con Vincent Rottiers, Marc Zinga, Jesuthasan Antonythasan, Kalieaswari Srinivasan



Lucianone

Istruzione / scuola - Il recupero lento della Geografia

6 novembre '15 - venerdì              6th November / Friday                         visione post - 8          

(da Corriere della Sera - 20/09/'15 - La Lettura / di Franco Farinelli)
Rimonta di una disciplina esiliata che Giulio Cesare capì benissimoo
Esiliata persino dagli Istituti tecnici nautici dal ministro Gelmini, a fatica la geografia
inizia ora a riguadagnare un pò di posto  all'interno  dell'ordinamento scolastico italiano,
dove i laureati in Scienze geografiche recuperano a stento il riconoscimento delle loro spe-
cifiche competenze didattiche. A fatica e a stento, il che risulta per molti aspetti paradossa-
le: da anni ion tutta Europa, e specie nel mondo anglosassone, le scienze sociali hanno regi-
strato un notevole risveglio proprio in virtù di quella che viene chiamata la "svolta spazia-
le", vale a dire la più o meno consapevole assunzione di temi  e  modelli analitici di marca
geografica.
Spazio è termine molto specifico, anche se da Kant (che era un geografo) in poi vale special-
mente come potentissima metafora:  spazio deriva da stadio, la misura metrica lineare  con
cui gli antichi greci calcolavano le distanze, addomesticavano la faccia della Terra altrimen-
ti sfuggente.  La più precisa  e  fulminea illustrazione della natura di tale modello  si deve a 
Giulio Cesare, che dopo una grande vittoria sul re del Ponto, in Asia minore, si vuole abbia
pronunciato la frase che fin da piccoli una volta s'apprendeva: Veni, Vidi, Vici. Per compren-
dere bisogna invertire l'ordine delle azioni: ho vinto perchè ho ridotto la conoscenza alla vi-
sione, ma - prima ancora - perchè ho fatto in fretta. Operativamente lo spazio significa infat-
ti la riduzione del mondo a velocità, a tempo di percorrenza, modalità con cui gli antichi Ro-
mani si limitavano in sostanza a fare la guerra e a organizzare la circolazione delle informa-
zioni necessarie al governo del territorio. A esso si oppone la logica dei luoghi, per cui ogni
brano del volto della Terra mantiene la propria specificità, la propria irriducibilità nei con-
fronti degli altri, insomma le proprie qualità. Al contrario, la logica dello spazio, che è quan-
titativa, è quella dell'equivalenza generale delle parti, della loro reciproca interscambiabilità
e fungibilità: è insomma la stessa del mercato, che infatti non esisterebbe nella forma che og-
gi conosciamo senza la moderna riduzione del mondo in termini spaziali, senza la colonizza-
zione spaziale di tutti gli ambiti della riproduzione della vita sociale. Senza insomma la tra-
sformazione di quel che nel Seicento s'inizia a chiamare globo terracqueo in un'unica gigan-
tesca mappa. Ciò è vero fuor di metafora, e proprio al servizio di tale trasformazione nasce
la figura del geografo moderno, che appare  nel Quattrocento come cosmografo, diventa di
fatto cartografo nei due secoli successivi e soltanto tra Otto e Novecento si deposita nella at-
tuale forma accademica, compiuta l'opera della costruzione dello Stato nazionale centraliz-
zato il cui modello è, appunto, una carta geografica.- Basti al riguardo far caso al fatto che
il moderno territorio statale deve necessariamente obbedire, idealmente, alle tre caratteri-
stiche che nella geometria classica distinguono la natura geometrica dell'estensione: la con-
tinuità (esso deve essere tutto di un pezzo), l'omogeneità (deve essere popolato da persone
che condividono la stessa cultura e la stessa religione), l'isotropismo (tutte le sue parti deb-
bono essere funzionalmente orientate nella stessa direzione, quella segnata dalla capitale).
Fin dall'inizio della modernità, insomma, il compito della geografia è rimasto lo stesso,
quello di rendere conto della relazione tra luoghi e spazio, della ragione  e  della natura 
delle connessioni tra il globale e il locale.

Continua... to be continued...