sabato 22 settembre 2012

Personaggi - Salman Rushdie racconta la sua storia

22 settembre 2012 - sabato      22nd September / Saturday        visione post - 18

L'ultima opera-libro di Salman Rushdie è "Joseph Anton",
uscita il 18 settembre '12 per Mondadori.  In essa l'autore
rievoca in terza persona la giornata in cui, il 14 febbraio 1989,
apprese della fatwa emessa nei suoi confronti.
Il brano che segue è un estratto dal libro di Rushdie.

Pseudonimo - Joseph Alton è la falsa identità adottata da Rushdie
negli anni della vita clandestina.  E' ricavata dai nomi di Conrad e
Cechov.

"Condannato a morte":
così una fatwa ha cambiato la mia vita 

(da 'la Repubblica' - martedì 18 settembre 2012)
di Salman Rushdie
Tempo dopo, quando ormai il mondo gli stava esplodendo attorno e i  corvi assassini
si ammassavano  sulle sbarre del castello nei giardinetti della scuola, se la prese con
se stesso per essersi dimenticato il nome di quella giornalista della Bbc che gli aveva
annunciato la fine della sua vecchia vita e l'inizio di una nuova oscura esistenza. 
Lo aveva chiamato direttamente a casa, senza spiegare   come avesse avuto  il nume-
ro. "Come ci si sente" gli aveva chiesto "a sapere di essere appena stati condannati
a morte dall'ayatollah Khomeini?".  Era un bel mattino di sole, quel giorno a Londra,
ma la domanda fece di colpo calare il buio. "Per niente bene", aveva risposto, senza
rendersi perfettamente conto di cosa stesse dicendo. Gli passò pr la testa un pensie-
ro: "Son un uomo morto".   Si chiese quanti giorni  gli restassero da vivere, e pensò
che probabilmente li avrebbe potuti contare sulle dita di una mano. Riattaccò, si pre-
cipitò fuori dal suo studio in cima alla stretta casetta a schiera nel borgo di Islington
dove abitava, e corse giù per le scale. Con un gesto assurdo, bloccò le imposte delle
finestre del soggiorno, poi chiuse a chiave l'ingresso.



Era San Valentino, ma anche quel giorno non erano mancati gli screzi con sua
moglie, la scrittrice americana Marianne Wiggins. Sei giorni prima  gli aveva
comunicato quanto il loro matrimonio la rendesse infelice, dicendo  che " non 
si sentiva più bene al suo fianco", benchè fossero sposati da appena un anno,
e anche lui ormai sapeva che era stato un errore.   -  Adesso era lì, a fissarlo, 
mentre lui si aggirava nervosamente per casa, tirava le tende e controllava i
fermi delle finestre, il corpo elettrizzato dalla notizia come se avesse preso la
scossa. Dovette spiegarle cosa stava succedendo. Lei reagì bene, e cominciò
a riflettere sul da farsi. Usò il termine "noi". Un atto di coraggio.
Un'auto inviata dalla Cbs giunse davanti a casa. Lui aveva un appuntamento
alla Bowater House di Knightsbridge , la sede londinese dell'emittente ameri-
cana., per partecipare in diretta alla trasmissione del mattino, in collegamen-
to via satellite. "E' meglio che vada " disse.   "E' in diretta, non è che posso
semplicemente non farmi vivo". Più tardi nella mattinata si sarebbe celebra-
to il servizio funebre del suo amico Bruce Chatwin nella chiesa ortodossa di
Moscow Road, a Bayswater. Non erano passati nemmeno 2 anni da quando
avevano festeggiato insieme i suoi 40 anni a Homer End, la casa che Bruce
aveva nell'Oxfordshire. Ora Bruce era morto di Aids, , e la morte stava bus-
sando anche alla sua porta. "E il funerale?" chiese sua moglie.  Non seppe
cosa risponderle. Riaprì la porta d'ingresso, uscì, salì in macchina e si allon-
tanò. Lasciò l'abitazione dove aveva vissuto nei 5 anni precedenti senza che
quel  congedo  fosse carico  di alcun significato particolare; non sapeva che
non vi sarebbe  più tornato per 3 anni, e che  a quel punto  non sarebbe più 
stata casa sua.
Agli uffici della Cbs si accorse di essere diventato la notizia del giorno. In
redazione e sui vari monitor  tutti stavano già pronunciando  la parola che
presto gli sarebbe stata incatenata al piede come una palla di ferro. la uti-
lizzavano come un sinonimo  di  'pena di morte'  e lui, pignolo, voleva pun-
tualizzare che in realtà voleva dire ben altro. Ma a partire da quel giorno
il suo significato sarebbe stato quello  per la maggior parte delle persone
in tutto il mondo. E anche per lui.   
 "FATWA".
 "Informo il fiero popolo musulmano del mondo che nei confronti dell'autore
dei Versi satanici, che è contro l'Islam, il Profeta e il Corano, e nei confronti
di tutte le persone coinvolte nella pubblicazione del libro che ne conoscevano
il contenuto è proclamata la condanna a morte. Chiedo a tutti i musulmani di
giustiziarli ovunque si trovino". Mentre lo scortavano verso lo studio televi-
sivo per l'intervista, qualcuno gli diede una stampata del testo. Il suo vecchio
sè provò l'impulso di puntualizzare ancora, in questo caso a proposito del ter-
mine "condanna". Era una sentenza pronunciata da una corte che non ricono-
sceva, e che non aveva nessuna giurisdizione su di lui. Si trattava dell'editto
di un uomo in là con gli anni, crudele e morente. Ma sapeva anche che le abi-
tudini di quel suo vecchio sè erano ormai inutili. Ora aveva un nuovo sè. Era
l'uomo nell'occhio del , non più il "Salman" che i suoi amici conoscevano, ma
il " Rushdie", autore dei Versi satanici, un titolo sottilmente distorto  dall'o-
missione dell'articolo iniziale. I versi satanici era un romanzo, Versi satanici,
invece, dei versi che  erano satanici, e lui ne era  il satanico autore, "Satan
Rushdie"  la creatura cornuta sui cartelli dei manifesti innalzati lungo le stra-
de di una città lontana, l'uomo impiccato  con la rosss  lingua  sporgente che
compariva nei loro rudimentali disegni. "Impiccate Satan Rushdy". Con che
facilità si cancellava  il passato di un uomo e se ne costruiva una nuova, tra-
volgente versione contro cui sembrava impossibile lottare. Re Carlo I aveva
negato la legittimità della condanna che pendeva sul suo capo.  Ciò non ave-
va impedito a Cromwell di decapitarlo. E lui non era un re.  Era l'autore di
un libro.
Osservò un giornalista che lo stava fissando  e si chiese se fosse quello il
modo in cui la gente guardava chi  viene portato alla forca, alla sedia elet-
trica, alla ghigliottina. -   Un corrispondente straniero si avvicinò con fare
amichevole. Lui gli chiese cosa pensasse di ciò che aveva detto Khomeini.
Avrebbe dovuto prendere la cosa sul serio?  Riteneva si trattasse più che
altro di una provocazione plateale e retorica o di qualcosa di realmente pe-
ricoloso?  -  "Oh, non si preoccupi troppo" rispose il giornalista, "Khomei-
ni condanna a morte il presidente degli Stati Uniti ogni venerdì pomeriggio".
In diretta, quando gli fu chiesto di replicare a quella minaccia, disse: "Vor-
rei aver scritto un libro più critico". Fu orgoglioso di quell'affermazione, lo
fu allora e lo restò sempre.  Era la verità. Non credeva che il suo romanzo
fosse  particolarmente  critico nei confronti dell'islam, ma, come disse alla
televisione americana quella mattina, qualche critica  non poteva che fare
bene a una religione i cui capi si comportavano in quella maniera.
Terminata l'intervista, gli comunicarono che sua moglie aveva chiamato.
Telefonò a casa. "Non tornare qui", disse lei. "Ci sono duecento giorna-
listi sul marciapiede che ti aspettano". "Allora andrò in agenzia", rispose.
"Fai una valigia e raggiungimi lì". La Wylie, Aitken & Stone, la sua agenzia letteraria, aveva gli uffici in un
palazzo con decorazioni di stucco bianco sulla Fernshaw Road, a Chelsea.
Davanti all'ingresso non si era accampato nessun giornalista . evidente-
mente la stampa mondiale aveva ritenuto inverosimile che andasse a tro-
vare il suo agente in un giorno come quello - ma quando entrò tutti i tele-
foni dell'edificio stavano squillando contemporaneamente, e ogni chiamata
riguardava lui.  Gillon Aitken, il suo agente letterario per l'Inghilterra, lo
guardò sbigottito. Era al telefono con Keith Vaz, il parlamentare anglo-in-
diano rappresentante della circoscrizione di Leicester East. Coprì la cor-
netta con la mano e sussurrò: "Ci vuoi parlare?".  Al telefono Vaz disse
che quanto era successo era "esecrabile, assolutamente esecrabile", e gli
promise il suo "totale appoggio". Poche settimane dopo, quello stesso par-
lamentare sarebbe stato tra i principali oratori in una manifestazione con-
tro  "I versi satanici", a cui parteciparono  più  di  tremila  musulmani,  e
avrebbe definito quella protesta "un grande giorno per la storia dell'Islam
e della Gran Bretagna".
Lui si accorse di non essere in grado di pensare al futuro, di non avere nes-
suna idea di quale forma avrebbe preso la sua vita, assolutamente incapace
di fare progetti.
(Traduzione di Lorenzo Flabbi)  

                         

  Lucianone

Politica/economia - Stati Uniti >> le tasse, Mitt Romney e altro ancora

22 settembre 2012 - sabato    22nd September / Saturday         visioni post  -  15

In vista delle elezioni di novembre, il 6 per l'esattezza, che si
terranno negli Usa per eleggere il Presidente americano che
si insedierà alla Casa Bianca, nella capitale Washington DC,
raccoglierò del materiale che riverserò in parte sul mio blog, 
per capire un pò meglio l'evoluzione di questa America ancora
in crisi e che tenterà, con il nuovo Presidente, di uscirne alme-
no in parte.
Inizio con un articolo del famoso economista Stiglitz.
- Lucianone -
 
"L' occasione mancata di Romney"

(da 'la Repubblica'  - giovedì 6 settembre 2012)
di  Joseph E. Stiglitz
Nella  campagna elettorale  per  la presidenza americana, le tasse  sul reddito di
Mitt Romney sono diventate una questione di grande rilevanza.  Si tratta di una
delle meschinità della politica o di qualcosa di veramente importante? In realtà,
la faccenda è molto importante, e non soltanto per gli americani.

Tra i temi al centro del dibattito politico in corso negli Stati Uniti ci sono il ruolo
dello Stato  l'esigenza di un'azione collettiva. In un'economia moderna il settore
privato, ancorchè indispensabile, da solo non può garantirne il successo. La crisi
finanziaria iniziata nel 2008, per esempio, ha dimostrato quanto sia indispensabi-
le una regolamentazione adeguata.  Oltre che su una regolamentazione efficiente
(che miri tra le altre cose a garantire un'equa compagine per la concorrenza) , le
economie si basano sull'innovazione tecnologica, che a sua volta presuppone una
ricerca di base finanziata dal governo. Ecco: questo è un esempio di bene pubblico,
ciò di cui tutti noi beneficiamo, ma che si rivelerebbe inadeguato (o verrebbe meno
del tutto) qualora dovessimo dipendere dal settore privato.
I politici conservatori statunitensi sottovalutano l'importanza di un'istruzione pub-
blica, fornita dallo stato, come pure della tecnologia e di infrastrutture pubbliche.
Le economie nelle quali è il governo  ad assicurare questi beni pubblici hanno un 
trend di gran lunga migliore di quelle dove ciò non accade. - I beni pubblici, però,
implicano una spesa d è imperativo che ciascuno paghi la propria giusta parte. Se
anche esistono divergenze in merito a ciò che comporta pagare la propria parte, è
fuor di dubbio che, se coloro che si trovano al vertice della piramide contributiva
versnao il 15 per cento del loro reddito dichiarato (è difficile che i capitali ammas-
sati in paradisi fiscali come le isole Cayman siano notificati alle autorità statuni-
tensi), di fatto non stanno pagando la loro giusta parte.
Secondo un antico detto, , il pesce puzza sempre dalla testa. Se i presidenti e la
cerchia dei loro intimi  non pagano  la loro giusta parte  di tasse, come si  può 
pensare che lo facciano tutti?  E nel caso in cui non lo facesse nessuno, come
si può sperare di finanziare i beni pubblici dei quali abbiamo bisogno?
Nel pagamento delle tasse, le democrazie fanno affidamento  sulla fiducia e
sullo spirito di collaborazione. Se ogni singolo individuo dedicasse la stessa
energia e le stesse risorse dei più abbienti  a cercare di evitare il pagamento
della propria giusta parte di tasse, il sistema fiscale  crollerebbe o dovrebbe
essere rimpiazzato  da uno schema di contribuzione  molto più invadente e
coercitivo. Entrambe queste alternative sono però spiacevoli.
Più in generale, un'economia di mercato  non potrebbe  funzionare  se ogni
convenzione dovesse essere fatta rispettare con un'azione legale.  La fiducia
e lo spirito di collaborazione, invece, sono in grado di sopravvivere soltanto
a patto che prevalga il concetto che tale sistema è equo. Una ricerca di recen-
te ha indicato che credere che il sistema economico sia iniquo nuoce sia alla
collaborazione sia ai sacrifici.    Malgrado ciò, sempre più americani stanno
giungendo alla conclusione che il loro sistema economico sia davvero iniquo;
e il sistema fiscale è emblematico di questa crescente percezione di ingiustizia.
L'investitore miliardario Warren Buffett sostiene  di dover pagare soltanto le
tasse dovute, ma afferma che  c'è qualcosa  di essenzialmente sbagliato in un
sistema che tassa il suo reddito con un'aliquota inferiore rispetto a quella che
la sua stessa segretaria è tenuta a pagare. E ha ragione.
Romney potrebbe essere perdonato, qualora sposasse questa stessa opinione.
Anzi, la situazione potrebbe addirittura ribaltarsi e trasformarsi in una sor-
ta di svolta  "Nixon-in-Cina": un agiato politico  ai vertici del potere  che
caldeggia un maggiore prelievo fiscale per i più ricchi potrebbe anche cam-
biare il corso della storia. - Ma Romney ha scelto di non comportarsi così.
Evidentemente, Romney non riconosce che un sistema che tassa più il la-
voro della speculazione possa distorcere l'economia. In realtà, una buona
parte dei soldi che affluiscono nelle casse dei cittadini più facoltosi è co-
stituita da quelle che gli economisti chiamano rendite, che non derivano
dall'aver ampliato le dimensioni della "torta economica", bensì dalla ca-
pacità di arraffare la fetta più grossa della torta che già c'è.
Tra coloro che sono al top oggi c'è un numero abnorme di monopolisti che
accrescono il proprio reddito riducendo la produzione e dedicandosi a pra-
tiche anticompetitive; amministratori delegati che approfittano delle lacu-
ne normative previste per la 'governance' aziendale  per appropriarsi della
maggior parte degli utili aziendali, lasciandone ai lavoratori soltanto una
minima parte; e banchieri che si sono impegnati nel prestito predatorio  e
in pratiche sleali conle carte di credito, prendendo spesso di mira i nuclei
familiari indigenti o del ceto medio. -  Non è un caso, forse, se la frenesia
per le rendite e l'ineguaglianza sono aumentate nel momento stesso in cui
le aliquote  più alte  dei  prelievi  fiscali  scendevano, le normative  erano
svuotate di contenuto e le regole esistenti  erano applicate con minore de-
terminazione: sono aumentati l'opportunità e gli introiti derivanti dalla
ricerca di rendita.

Oggi quasi tutti i Paesi avanzati sono afflitti dalla carenza di domanda
aggregata, che innesca  una disoccupazione maggiore, salati più bassi,
più gravi ineguaglianze e, a chiusura del circolo vizioso, una contrazio-
ne dei consumi.    -    Ormai, si ammette comunemente l'esistenza di un
rapporto tra ineguaglianza da un lato e instabilità e debolezza dell'eco-
nomia dall'altro.
Esiste però anche un altro circolo vizioso: l'ineguaglianza economica si
traduce in ineguaglianza politica, che a sua volta va a rafforzare la prima,
anche grazie a un sistema fiscale che consente a individui come Romney -
che sostiene di essere stato soggetto negli ultimi 10 anni a un'aliquota di
prelievo fiscale di "almeno" il 13 per cento - di non pagare la loro giusta
parte. L'ineguaglianza economica che ne deriva - frutto tanto della politi-
ca quanto delle forze di mercato - contribyuisce all'odierna debolezza eco-
nomica complessiva.
Può anche darsi che Romney non sia un evasore fiscale: soltanto un'appro-
fondita inchiesta del fisco degli Stati Uniti ( US Internal Revenue Service)
potrebbe accertarlo.    Tenendo conto però che negli Usa l'aliquota fiscale
marginale sul reddito è del 35 per cento, Romney di sicuro è un elusore fi-
scale su grande scala. E, naturalmente il problema non è solo Romney: è
chiaro che il livello col quale egli elude le tasse rende difficile finanziare
quei beni pubblici senza i quali un'economia moderna non può prospera-
re.  -  Ancora più cruciale, però, è che un'elusione fiscale della portata di
quella di Romney mina la fiducia nella indispensabile equità del sistema.
E di conseguenza indebolisce i legami che mantengono coesa una società. 
(traduzione di Anna Bissanti - Project Syndicate, 2012)


Lucianone