1 novembre '19 - venerdì 1st November / Friday
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(da LA LETTURA / Corriere della Sera - 20 ottobre '19 - di Giuseppe Antonelli)
COSI' LA PROPAGANDA SI PRENDE GIOCO DI NOI
La lingua batte dove chi mente vuole. Due bei libri usciti da poco - La razza e la lingua di Andrea
Moro (La nave di Teseo) e La Lingua disonesta di Edoardo Lombardi Vallauri (il Mulino) - torna-
no a soffermarsi sul nesso tra lingua e propaganda. Sulle diverse strategie grazie alle quali la lin-
gua (o la linguistica) può diventare strumento di persuasione. Le strategie più efficaci, ci spiegano
questi due libri, non sono mai quelle dirette e frontali. Sono quelle più insinuanti e insidiose che
poggiano su una serie di non detti e presupposti, coincidenti spesso con altrettanti pregiudizi. E
riescono a mettere in moto riflessi linguistici condizionati: risposte quasi inconsapevoli dal nostro
cervello. Anche se non è più di moda parlare di demistificazione, è ancora - oggi più che mai - de-
cisivo riconoscere queste strategie per non ritrovarsi a subirle passivamente.
Attenzione: contenuti impliciti
"Tornare ancora servi? Diciamogli di no! Basta con le solite chiacchiere: ora è il momento di fare".
Frasi simili ci sembra di averle già lette e sentite mille volte. Nei tweet di un politico, in un dibat-
tito televisivo, sui manifesti di una campagna elettorale. Magari accompagnate da qualche imma-
gine ad effetto: perchè quando parliamo di strategie della persuasione, il contenuto verbale conta
molto meno di quello che passa attraverso i sensi. Sono frasi buione per ogni occasione, eppure
ùsempre efficaci: soprattutto se -in una congiuntura economicamente difficile - fanno leva su um
generale malcontento , sulla voglia di rivalsa di chi si sente penalizzato. Sono efficaci soprattutto
perchè veicolano una serie di messaggi impliciti, veementi ma vaghi: perfetti per suscitare in noi
una reazione istintiva, senza passare per il vaglio delle razionalità- Capita spesso, ultimamente,
di leggere nelle piattaforme che distribuiscono musica l'avviso che certi testi hann o "contenuti
espliciti" (in inglese
Warning: explicit lyrics). In realtà, i contenuti più pericolosi sono proprio
quelli impliciti. Mentre un giudizio, un ordine, un invito esplicito attivano forme quasi automa-
tiche di difesa /"Perchè dovrei credere a quello che mi si dice? Perchè dovrei fare quello che mi
si chiede?"), le strategie linguistiche basate sull'implicito riescono ad aggirare quella diffidenza
e "a convincere eludendo la vigilanza critica del destinatario" Infatti, come Lombardi Vallauri
dimostra con grande ricchezza di esempi, (quelle strategie) sono le più usate nella propaganda
politica e pubblicitaria degli ultimi anni
Il presupposto universale
La forza delle presupposizioni nasce dal fatto che distolgono l'attenzione da certe informazioni,
riuscendo a darle per scontate. In una frase come "Tornare ancora servi?" il verbo presuppone
l'idea di qualcosa che già c'è stato: un governo precedente, ad esempio. Una parola sgradevole
come
servi collega a quella fase una sensazione di disagio e oppressione. Ma non viene detto
servi di chi: "Un'altra condizione che lascia in parte impliciti i contenuti trasmessi dai linguaggi
linguistici ì ricorda Lombardi Vallauri - è la
vaghezza". Molto meglio riferirsi a un astratto
loro:
quelli che - lascia intravedere il messaggio - comandano e decidono che cosa si farà a loro pia-
cimento. Quelli che sono contro di
noi, secondo la contrapposizione evocata immediatamente
dopo dalla prima persona plurale di d
iciamogli: a lui, a lei, ma anche - con un uso comunissi-
nell'italiano di tutti i giorni - a loro. "C'è chi dice no", urlava Vasco Rossi pensando di cantare
fuori dal coro. In realtà, è molto più facile far dire a qualcuno "no", piuttosto che fargli dire "sì"
(ne sanno qualcosa i sostenitori dell'ultima campagna referendaria). E' sempre più facile mette-
re d'accordo le persone su una critica d
estruens che su una proposta
construens.
Allo stesso modo - infatti - in "Basta alle solite chiacchiere" c'è quel
basta che è un'altra manie-
ra di dire no, e quel
solite che attribuisce le
chiacchiere (per definizione inutili e inconcluden-
ti) ai soliti
loro del solito - implicito - passato. La presunta inversione di rotta passa per quel-
lìora che al passato contrappone un diverso presente, facendo balenare un futuro del fare. Ma
fare cosa? Tutto si regge sul vuoto stereotipo del fatti non parole"; quando, invece, tutto sta
proprio nelle parole. Tanto che sarebbe il caso di recuperare la paradossale provocazione fat-
ta da Roberto Benigni tanti anni fa, inaugurando un corso di istruzione per adulti: "Tutti vi di-
cono: fatti, non parole. E io vi dico invece: prima di tutto parole, parole, parole".
Che razza di lingua
Stereotipi e pregiudizi agiscono anche nella nostra più generale concezione della lingua. E, ci
avverte Andrea Moro, rischiano di alimentare forme di razzismo basate non sui tratti somatici
ma su quelli linguistici. Sull'idea, potenzialmente pericolosa, che esistano lingue migliori di al-
tre e dunque che i parlanti di quelle lingue siano intellettualmente superiori. La prima volta che
viene usato l'aggettivo ariano è in un saggio di linguistica del 1864, per definire le lingue indo-
europee considerate più complete e funzionali delle altre. Anche se non era nelle intenzioni dei
glottologi, la strumentalizzazione propagandistica arriva poco dopo e - nel nome di una "razza
ariana" - salda la presunta superiorità linguistica a quella fisica, psicologica e sociale. Gli esiti
saranno quelli devastanti del nazismo. Ecco perchè è bene avere sempre presente che "non esi-
stono lingue pià semplici o più complesse", non esistono "lingue più evolute o lingue primitive"
e neanche "lingue geniali e lingue banali".
Come radicale soluzione ai rischi che queste gerarchie possono creare, Moro indica la teoria del
linguista americano Noam Chomsky, convinto da tempo "che tutti gli esseri umani nascano esat-
tamente con le stesse istruzioni geneticamente determinate per arrivare a costruire e interpretare
tutte le lingue possibili".
E pensare che c'era il pensiero
La sfida è oggi - per le teorie linguistiche di Chomsky, ma anche per le strategie della persuasio-
ne - trovare conferma in evidenze sperimentali di tipo neurologico. "I dati neurobiologici sulla
sintassi - scrive Moro - corroborano l'ipotesi che per lingue diverse si attivi essenzialmente la
stessa rete neuronale". E Lombardi Vallauri dedica un intero capitolo alla verifica dell'ipotesi
per cui "il cervello processa diversamente ciò che il linguaggio presenta diversamente". Gli
esperimenti comportamentali confermano che le informazioni "contrabbandate" in modo im-
plicito tendono a essere accettate con maggiore passività; gli esperti neurofisiologici sembra-
no dare risultati diversi, forse perchè "i correlati cerebrali della vigilanza epistemica restano
da scoprire". Ma è proprio su quella vigilanza che bisogna lavorare: sulla consapevolezza
che chi vuole convincerci di qualcosa, ci presenta quella cosa come meno importante.
Come l'illusionista che svia il nostro sguardo dal trucco o come quel contrabbandiere di bi-
ciclette che, per ingannare i doganieri, portava sempre pacchi ingombranti sul manubrio.
Sta a noi mantenere alta la soglia d'attenzione: evitare di pensare con la pancia e cercare
di pensare col pensiero. Perchè la lingua batta dove la mente vuole.
Lucianone