clama, 8 gennaio '23 - domenica 8th January / Sunday visione post - 4
( da la Repubblica - 7 gennaio '23 / di Gabriele Romagnoli )
ADDIO CAMPIONE
L'abbaraccio con Mancini,
la precisione del destino nell'approdo alla felicità
la precisione del destino nell'approdo alla felicità
Qual è il senso di una fine? Che cosa definisce una vita? La quantità del tempo che accumula, la
qualità dell'operato, la forza del ricordo che lascia? Che cosa può fare un uomo quando gli restano
da scrivere le ultime pagine e il libro della sua esistenza è quasi compiuto? Nelle sale cinematogra-
fiche si proietta un commovente film il cui titolo è Living. E' il remake molto inglese di una pellicola
del regista giapponese Akira Kurosawa. Un perfetto Bill Nighy interpreta la parte di un funzionario e
gentiluomo, composto e inossidabile, con gessato e bombetta. Finchè gli viene annunciato che gli
restano da vivere sei, al massimo nove mesi. ha un cancro, "qui" dirà, indicando un punto indefinito
nel proprio ventre. Che fare, ancora? Quest'uomo racconta di aver osservato spesso i bambini gio-
care nei cortili e di essere rimasto colpito dalle diverse reazioni quando le madri li chiamano per
rientrare a casa. Qualcuno si muove immediatamente, come non avesse aspettato altro. Qualcun
altro reclama, chiede un tempo supplemenare. - Lui si è sentito sempre un uomo della prima specie, ma l'annuncio della morte imminente lo induce a voler diventare, riuscendoci, uno della seconda.
Non solo per esorcizzare la fine, ma per dare un senso a quel che rimane, fare ancora qualcosa: che resti, che serva, che insegni. Gianluca Vialli è stato un uomo così: un vincitore alla fine dell'ultimo
supplementare.
Tutte le nostre esistenze sono brevi eccezioni. Nell'indifferenza del cosmo la regola è il nulla. il
silenzio, non essendoci vita non si contempla la morte nè come inevitabile conseguenza nè come
dramma. La specie umana ha costruito l'arco narrativo, che per una convenzione da combattere,
inizia nella gioia e termina nel dolore. Sulla strada, anche e soprattutto quando il passo affronta
l'ombra, ha seminato possibilità di riscatto, individuali e collettive. C'è stato anche per Gianluca
Vialli il giorno dell'annuncio, la rivelazione della presenza di un male con cui da lì in poi convi-
vere, fin quando fosse stato possibile. A quel punto un uomo apre il guardaroba delle ultime cose,
prende un cappello e copre la procurata calvizie, prende la dignità e copre la debolezza (non la
fragilità, quella va anzi esposta perchè è un marchio della specie), prende il coraggio e copre la
paura. Poi cerca la chiave più importante, quella che entra nella serratura del cassetto segreto.
E' lì che si ripongono il sogno impossibile, la chiusura del cerchio, il significato personale eppure
universale. Per ricordare Gianluca Vialli la prima immagine che tutti hanno scelto, dai notiziari al-
le vignette sulla testa di chi cammina per strada e sente l'annuncio, è l'ABBRACCIO, quello tra
lui e Roberto Mancini, a Wembley, ventinove anni dopo. Che cosa mostra?
Due uomini che hanno vinto. Acqua. Non basterebbe per farla entrare nel cuore di chiunque senza
bussare. La vittoria è una parente di secondo grado della rivincita. Se vinci e basta non saprai mai
come sarebbe stato non farlo. Non passi attraverso il fuoco. Non hai la cicatrice che segna il volto
e la direzione. Sei soltanto sano, sorridente, imbattuto. Ventinove anni prima in quello stesso luo-
go Gianluca Vialli con Roberto Mancini, aveva perso. Era una finale di Coppa dei Campioni. C'e-
ra(no) arrivati a cavallo di un destriero inesistente, blucerchiato, disegnato da un bambino visio-
nario: la Sampdoria contro il Baecellona. Il tabellino dice che persero ai tempi supplementari.
Rete di Koeman al minuto 112, otto alla fine. il verdetto di Wembley è considerato di cassazione
Là non si ritorna per rovesciarlo. Infatti, quattro anni dopo, Vialli sollevò la coppa dopo aver vin-
to la finale della ribattezzata Champions League. Ma era l'Olimpico: E non c'era Mancini. Era il
capitano, ma della Juventus. Ero presente, lo ricordo ho visto un uomo felice.
Nell'abbraccio di Wembley 2021 quel che tutti possono vedere è un uomo arrivato nel nucleo
esatto della felicità. Il viaggio è stato lungo, il pedaggio alto, ma la precisione imposta dal desti-
noè stata superiore a quella di qualunque aggiornato navigatore. Bisognava tornare lì, di fisnco
al fratello per elezione e giocare oltre ogni tempo. Il dettaglio chiave è questo: la finale del 1992
finì ai supplementari, quello del 2021 ai calci di rigore. Come fosse stata una prehiera esaudita:
giocare ancora un pò per far succedere quella cosa che mette a posto tutto, prima di andare.
Vivere, per dare un senso alla fine, è: riparare un torto, completare un'opera, regalare l'ultimo
desiderio. Nella sequenza conclusiva dell'abbraccio, Roberto Mancini ha gli occhi aperti e la
testa eretta, Gianluca Vialli ha gli occhi chiusi e gli posa il capo sulla spalla. E' bello, ma an-
cor di più è giusto, pensare che, come il Giobbe di Joseph Roth, si stia riposando, "dal peso
della felicità e dalla grandezza dei miracoli".
Lucianone