venerdì 5 febbraio 2016

Personaggio / intervista - Blek le Rat, pioniere della street art

5 febbraio '16 - venerdì               5th February / Friday                   visione post - 33
  
Il pioniere dei writers dice: 
"L'arte democratica siamo noi"

(da la Repubblica - Milano/Cultura - 14 gennaio '16 - Michele Tavola)
Il papà di Bansky
"La street  art c'era già secoli fa a Pompei"
E' uno dei pionieri della street art e nell'ambiente dei graffitari un mito vivente.
Il parigino Blek le Rat, al secolo Xavier Prou, continua a essere uno dei protago-
nisti mondiali dell'arte urbana e a influenzare generazioni di writers. (Oggi alle
18.30 sarà all'Istituto Francese di via Magenta e da settimana prossima apre la
sua prima personale italiana nella  nuova galleria Wunderkammern, già attiva 
a Roma e da ora anche a Milano in via Ausonio, tra i cui soci figura Dorothy de
Rubeis, moglie di Giuseppe Sala, candidato alle primarie del centrosinistra per 
la poltrona di sindaco).
M. Tavola - Blek le Rat, si riconosce sotto l'etichetta di padre della street art?
"Non ho inventato niente, la street art c'era già a Pompei duemila anni fa. Oggi è
solo tornata l'esigenza, sempre esistita, di comunicare e di usare i muri per farlo.
Il movimento è più potente che mai e sono sicuro che ha ancora un grande futuro
perchè noi ci rivolgiamo a tutti. Non come l'arte concettuale, che per me è la mor-
te dell'arte, ripiegata su sè stessa e accessibile a una piccola setta di iniziati. So
di farmi dei nemici dicendo questo, ma pazienza. Noi, street artist, invece, propo-
niamo una vera democratizzazione dell'arte".
M. Tavola - Il suo marchio distintivo, da 35 anni a questa parte, è l'uso dello
stencil e anche in questo caso le viene riconosciuto una primogenitura.
"E anche in questo caso non è vero. Certamente sono uno di quelli che l'ha diffuso
nel movimento street, ma ancora una volta ho adattato alle mie esigenze qualcosa
che già esisteva. A Padova nel 1961, avevo dieci anni ed ero in vacanza con la mia
famiglia, ho visto sui muri alcune vestigia della propaganda fascista: volti di Mus-
solini, di profilo con l'elmetto, di una forza visiva impressionante. Vent'anni dopo
a Parigi ho provato a fare i primi graffiti di notte, con la bomboletta, ma non pa-
droneggiavo la tecnica e sono venuti malissimo. Allora mi sono ricordato del Duce
a Padova e ho iniziato con lo stencil".
M. Tavola - Sui muri si vede di tutto, ma il dibattito su cosa sia arte e cosa no è
ancora aperto. Qual è il suo punto di vista?
"Amo molto le tag dei ragazzini che agiscono di notte, non è il mio modo di lavorare
ma li rispetto. E' vero che alcuni hanno un approccio aggressivo e distruttivo, ma na-
sce dalla necessità di comunicare e di non farsi distruggere dalla città (Blek si avvici-
na alla finestra e indica la facciata di un edificio di via Ausonio).   Le vede quelle tag
fatte con la bomboletta? Per me sono un regalo alla città".
M. Tavoosito di dipinti fatti di nottela - Probabilmente chi vive lì la pensa diversamente.
" Non è importante, certo costerà ripulirle, ma per me conta di più che chi le ha fatte 
aveva un'esigenza vitale di esprimersi, urgenza di lasciare  un segno  e  affermare  la
propria esistenza".
M. Tavola - A proposito di dipinti fatti di noptte, lei ha avuto qualche problema con la
giustizia.
"Un cattivo ricordo. Nel 1992 stavo dipingendo per strada una Madonna col bambino
ispirata a Caravaggio e mi ha preso la polizia. Mi hanno processato e condannato. Mi
hanno umiliato. Sono deluso dal mio paese  e  non espongo più in Francia.  Se Bansky
fosse stato francese non avrebbe avuto lo stesso successo".
M. Tavola - Già, Bansky, che di lei ha detto: "Ogni volta che dipingo qualcosa, scopro
che Blek le Rat l'aveva già fatto vent'anni fa". Cosa pensa di lui?
Lui rappresenta la nuova generazione, io sono "old school". Bansky a venticinque anni
aveva già capito il sistema dell'arte, io ne ho impiegati 40 per comprenderlo. Si dice che 
da ragazzino fosse un teppistello e per questo mi è ancora più simpatico, ma è dotato di 
talento e intelligenza fuori dal comune". 




Lucianone

SOCIETA' / Salute - I rischi della solitudine

6 febbraio '16 - venerdì                   6th February / Friday                   visione post - 14
    
Ricerca Usa: "L'isolamento è la malattia del nostro secolo.
Due volte più grave dell'obesità, aumenta la mortalità del 14%"

(da la Repubblica - 14/03/'15 - Lo studio / Enrico Franceschini - Londra)
Cent'anni di solitudine nell'era 
dei social network: non abbiamo più amici
Cent'anni di solitudine. E' il titolo del più famoso romanzodi Gabriel Garcia Marquez.
Ma è anche una malattia della nostra era, forse "la" malattia del ventunesimo secolo: il 
secolo   della   rivoluzione digitale, degli smart phone, dei social network, delle chat, dei
messaggini, di Instagram, dei videogames giocati in collettivo online, cioè di tutto quello 
che ci da la sensazione di essere in contatto con il prossimo ma che di fatto contribuisce 
a isolarci nel chiuso delle nostre case, delle nostre vite.  Passiamo sempre più tempo  in compagnia di presunti amici o di perfetti sconosciuti nella realtà virtuale e di fatto sem-
pre più tempo da soli nella nostra esistenza reale. Questo etra un fatto noto. Sapevamo 
o perlomeno sospettavamo che fosse un malessere sociale. Adesso sappiamo che è una 
vera e propria malattia. - Ce lo comunica una grande indagine scientifica, condotta su
un campione di tre milioni di persone e pubblicata sulla rivista Perspectives in Psycho-
logical Sciences, dfi cui il Times e altri giornali britannici hanno anticipato ieri le con-
clusioni. E' un rapporto quanto mai allarmante: la solitudine, affermano gli scienziati
della Brigham Young University, l'università dello Utah  che ha condotto  la ricerca,
rappresenta una minaccia alla salute simile all'obesità.    Per la precisione, due volte
più grave dell'obesità: le persone che soffrono di solitudine, riporta lo studio america-
no, hanno infatti un "rischio di mortalità" del 14 per cento più alto rispetto alla me-
dia. L'aumento del rischio provocato dall'obesità è del 7 per cento.   Quello  causato  
dall'estrema povertà, per avere un termine di paragone, del 19 per cento. In pratica
si può dire che vivere soli accorcia la vita. E ciò vale, afferma la ricerca Usa, sia per 
coloro che vivono male la propria solitudine, sia per chi imbocca la solitudine come
scelta e apparentemente è felice di stare per i fatti propri. "Solitudine e isolamento 
possono apparire come due condizioni differenti", osserva il professor Julianne Holt-
Lunstad, che ha diretto l'indagine, "ma non è così. Ci può essere una persona circon-
data di gente che si sente lo stesso molto sola. altri possono isolarsi deliberatamente
perchè preferiscono stare soli. L'effetto sulla longevità, tuttavia, è lo stesso per l'uno
e per l'altro caso". Un effetto paragonabile ai danni dell'obesità, ammonisce il rap-
porto, e che perciò le autorità sanitarie devono esaminare molto seriamente: "L'im-
patto delle relazioni sociali sulla salute è enorme", avverte lo studioso.
L'indagine non si limita a segnalare il problema, ne fotografa anche le dimensioni,
facendo squillare un secondo, ancora più sonoro campanello d'allarme: da quando
il fenomeno viene analizzato, ovvero da quando esistono statistiche in merito, non
ci sono mai state tante persone che vivono in solitudine come accade oggi. 
"Stiamo vivendo al più alto tasso di solitudine della storia umana ed è un dato che
si riscontra in tutto il pianeta", dice il dottor Tim Smith, co-autore della ricerca.
"Il mondo dell'era digitale, precisa, è di fronte a una vera e propria "epidemia"
di solitudine, lo stesso termine che viene normalmente usato per descrivere la di-
lagante diffusione dell'obesità". Per certi versi, le due malattie vanno a braccetto:
mangiamo troppo e stiamo troppo soli.  
Difficile non immaginare un adolescente che ingurgita fast food chiuso nella sua
stanza collegato a un computer o a un tablet o a uno smart phone  o  a tutti e tre
gli strumenti contemporaneamente.  Ma non è un problema soltanto dei giovani,
tenuto conto che la categoria di età che gioca di più ai videogames è la fascia dai
25 ai 40 anni e che fra gli anziani  la solitudine  è così cresciuta che per fare loro
compagnia bisogna ricorrere alle badanti a pagamento. Dopo millenni di coesio-
ne sociale, il genere umano sta dunque vivendo i suoi "cent'anni di solitudine" e
non è chiaro se ci sia una medicina in grado di curare questa malattia dell'uomo
contemporaneo.

Lucianone