15 dicembre '22 - giovedì 15th December / Thursday visione post - 10
(da "il manifesto" - 7 dicembre 22 / I Giorni dell'Iran - Alberto Negri)
La crisi iraniana
Il regime e le riforme impossibili
Il regime e le riforme impossibili
Forse la generazione Z dell'Iran non lo conosce. Il più noto studioso di storia contemporanea
dell'Iran, Ervand Abrahamian, antico oppositore della Shah, sosteneva qualche tempo fà sulla
New Yorker Revoew di ritenere improbabile una terza rivoluzione. Dopo quella del 1905 e
del 1979. Ma Abrahamian suggeriva anche un'altra cosa: finora l?Iran si è retto più che sulla
religione su un sistema di welfare state e sussidi che grazie alle rendite del petrolio ha assicu-
rato il consenso reale. Ed è questo pilastro, nato dall'ideologia di populismo sociale della ri-
voluzione e dallo sciismo "rosso" del filosofo Alì Shariati, che da tempo ha cominciato a va-
cillare e in piazza non vanno più solo i gio vani e le giovani iraniane, ma ci sono scioperi dei
commercianti e in diversi settori economici. - La crisi di questo sistema in Iran si incrocia
con le proteste contro il velo delle donne e un potente cambio generazionale che vede in piaz-
za giovani che non hanno visto ovviamente nè la rivoluzione khomeinista del '79 nè la guerra
Iran-Iraq (1980 - 1988). Gli iraniani oggi sono 86 milioni, di questi oltre 40 milioni sono nati
dopo la rivoluzione e la metà (fonte Undp) hanno tra i 10 e i 24 anni. Per avere un confronto,
alla vigilia della rivoluzione la popolazione iraniana era di 38 milioni di abitanti ma allora la
produzione petrolifera era il doppio di quella di oggi, 2,5 milioni di barili al giorno, in gran
parte diretti in Cina. Le sanzioni hanno colpito duramente dal 2012, quando ci fu l'ultima tor-
nata, e la valuta iraniana ha perso da allora i due terzi del suo valore sul dollaro mentre l'in-
flazione supera il 50 per cento. - Il welfare state iraniano insieme ai prezzi sussidiati di beni
alimentari ed energetici, che costava circa 100 miliardi di dollari l'anno, quasi la metà del Pil
stimato nel 2020 di 231 miliardi dollari. ha subito un crollo del 40 per cento.
Ma in che cosa consiste questo sistema di cui il presidente Ibrahim Raisi ha annunciato in
maggio un taglio clamoroso sui prezzi calmierati di grano e farina? fare profitti e non paga-
re tasse: è stato il sogno coltivato per due decenni dai bazari iraniani che finanziarono gene-
rosamente la rivoluzione islamica dell'Imam Khomeini. Dopo la caduta dello Shah nel '79 si
è in parte avverato con le Bonyad, le Fondazioni esentasse che hanno incamerato non solo le
proprietà immense della cosona imperiale ma anche la maggior parte dei conglomerati e del-
le attività economiche che facevano capo alle famose 100 famiglie introdotte alla corte dei
Palhevi. - Le nazionalizzazioni non avevano nulla a che vedere con il socialismo o il marxi-
smo, che pure facevano parte insieme all'Islam sciita delle correnti ideologiche della rivolu-
zione: una nuova classe dominante rovesciava quella vecchia.
Era così che con l'alone dell'utopia rivoluzionaria il turbante dei mullah si sostituiva alla corona
imperiale. Tutto questo - così almeno avrebbe voluto Khomeini - doveva andare a beneficio dei
mostazafin, letteralmente i senza scarpe, letteralmente i senza scarpe, i diseredati e gli oppressi in
nome dei quali era stata fatta la rivoluzione. In realtà religiosi, ex rivoluzionari, Pasdaran e uomi-
ni d'affari, si sono impadroniti del business di un Paese con enormi riserve di gas e petrolio. Oggi
non solo i più poveri sono sempre più poveri ma anche la classe media è in crisi.
L' ayatollah economy delle Fondazioni è la spina dorsale del potere, una rete clientelare e di welfare
state che si ramifica nella società e si prolunga oltre i confini della repubblica islamica. Le Bonyad -
un centinaio, di cui una dozzina quelle che contano davvero - hanno fini istituzionali caritatevoli e
di assistenza ma non rinunciano ai profitti e coinvolgono più o meno direttamente cinque milioni di iraniani : sono quindi state essenziali in questi decenni nella fabbrica el consenso del regime. Non
c'è dubbio che le Bonyad siano il cuore di questa economia: detengono almeno il 30-40% del Pil e
hanno sottratto spazio ai privati favorendo soltanto alcuni di loro, quelli vicini alla cerchia del po-
tere. - Ed è esattamente questo il problema. Lo spiega bene in una recente intervista Ahmad Zei-
dabadi, giornalista riformista ed ex prigioniero politico in una recente intervista all'Ilna, agenzia
semi-ufficiale dei sindacati: "Buona parte del sistema al potere pensa che la dignità e il benessere
appartengano soltanto agli insider e ai fedelissimi mentre il resto della popolazione non ha diritto
a parteciparvi. Ma questa nuova generazione iraniana cresciuta con Internet e le tv satellitari -
dice Zeidabadi - non riconoscono più nessuna autorità , nè in famiglia nè a scuola nè all'universi-
tà, vede il suo orizzonte buio, senza posti di lavoro qualificati, senza alcuno spazio politico o di
espressione alternativi".
La domanda di fondo è questa: è possibile riformare una società e un'economia come queste?
Quando ci ha provato il presidente Mohammed Khatami nel 1997 le riforme sono durate una
breve stagione, poi Hassan Rohani ha firmato nel 2015 l'accordo sul nucleare con gli Usa, pro-
mettendo nuova era di benessere, e Trump lo ha annullato nel 2018. Pochi si fanno illusioni.
Come dicono in Iran, il sistema per cambiare dovrebbe tagliare il ramo dell'albero dove sta se-
duto da oltre 40 anni. E, al momento, non sembra possibile.
1 ottobre 2022
L'IRAN nel buio
Teheran - Spunta un audio su torture ai detenuti: "Picchiati e costretti a violentarci a vicenda".
E' Ali a parlare, tassista arrestato nelle proteste per Mahsa Amini, in un audio tra-
dotto e pubblicato dal Corsera. Si moltiplicano, intanto le iniziative aostegno dei
diritti in Iran. Il Senato italiano approva risoluzione contro la repressione.
Lucianone