martedì 23 luglio 2013

Società / scenari - L'America di Obama / Detroit, metropoli fallita

23 luglio '13 - martedì          23rd July / Tuesday                      visioni post - 13

In Russia lo zar (ma fino a quando?) Putin è sotto il tiro dei 
dissidenti, Navalnyj in primis, e della protesta  sempre  di 
più popolare.  Lì la situazione economico-sociale è a tutto
vantaggio di una piccola parte di ricchi e quindi della èlite
del Paese, creata appunto dalla politica strozza-popolo (di-
ritti compresi) portata avanti in lunghi anni di potere da un
Putin, che ora comunque sente sul collo il fiato delle mon-
tanti proteste di piazza.
Dall'altra parte,
nell'America di Obama, le cose (soprattutto la situazione
economica) sembravano essere in buona parte migliorate
sotto la spinta di una politica di crescita tendente a ridurre
drasticamente il debito pubblico e in favore di un'occupazio-
ne che, effettivamente, ha dato buoni frutti riducendo con-
temporaneamente in modo consistente  la disoccupazione
(arrivata quasi ai limiti europei). 
Ma ora non tutta l'America  sta beneficiando  dei risultati che
comunque in non molto tempo Obama è riuscito a raggiungere
dopo il suo secondo mandato.   E' il caso di alcune grandi città
come Detroit, e il seguente articolo che ho trovato e letto nel
quotidiano  la Repubblica  descrive molto bene  uno scenario  
che è bene conoscere.
(Lucianone)

(da la Repubblica - 20/07/2013 -  Massimo Vincenzi)
"Detroit sta affondando, aiutateci"
Sulle strade della metropoli fallita / Scuole chiuse, ambulanze
ferme: la bancarotta che scuote l'America.
Detroit -
Sopra c'è scritto : 'abbiamo bisogno di democrazia, non di un commissario'.
E' in pensione, in questo palazzo di vetro e cemento ha lavorato per una
vita e adesso lotta per i suoi diritti. E poco importa se la sua sfida ( e di
quelli come lei) sta uccidendo la città dove è nata: "Ah no, io non ci sto 
a questo gioco. Non siamo noi i colpevoli della situazione.  Quei due si-
gnori pensano che per avere un tetto e un  pò di cibo dobbiamo campare
sulle spalle dei nostri figli? O che dovevamo lavorare sino alla morte?
Comandano loro, trovino ,loro il modo per darci quello che ci spetta".
Quei due signori sono il governatore del Michigan Rick Snyder e il
commissario speciale Kevin Orr, che giovedì pomeriggio si sono arresi
dichiarando il fallimento di Detroit: il più grande nella storia degli Stati
Uniti. Un debito tra i 18 e i 20 miliardi (di dollari), l'impossibilità di arri-
vare ad un accordo  con i creditori (fondi pensioni in testa)  e i ripetuti 
no dei sindacati ad una riduzione dei salari pubblici spingono Orr dove
aveva giurato  non sarebbe mai arrivato quattro mesi fa, all'inizio del 
suo incarico: "Ci aspettano scelte dolorose, ma purtroppo non ci sono
alternative. Se qualcunio ha un piano diverso o un'dea migliore, venga
da me. Lo accolgo a braccia aperte. Ma le cifre del nostro bilancio non
ci lasciano speranze", dice nella conferenza stampa di ieri. Poi aggiun-
ge: "Vi sembra possibile vivere in una città dove i bambini camminano
lungo le strade buie e malmesse, dove sui tetti delle case fatiscenti cre-
scono arbusti  o  dove  se chiamate la polizia  gli agenti  arrivano dopo  
un'ora perchè sono pochi?".  - Non aspetta la risposta, la conosce già.
La sua idea è quella di usare i poteri straordinari che la pratica del fal-
limento gli concede per rimettere in marcia la capitale dell'auto. Servo-
no tagli drastici alla pubblica amministrazione che è la vera zavorra: i
dipendenti sono 13 mila, 1 per 55 abitanti, quasi un servizio a domicilio.
Poi, con i soldi incassati, vuole avviare un piano da un miliardo e mezzo
di dollari per rimettere in sesto le infrastrutture.   Ma non sarà facile, i
rappresentanti dei fondi pensioni minacciano ostruzionismo legale e già
ieri un giudice della contea di Ingham  ha dichiarato incostituzionale la
richiesta di bancarotta.  "Se la prendono con noi che siamo l'anello de-
bole ", dice Brett. E' qui che ascolta Jenna parlare e fa sì con la testa. 
Lui ci lavora ancora in questi uffici, si accende una sigaretta all'ombra
della statua che raffigura lo spirito di Detroit.   Parla, alzando la voce:
"La signora ha ragione, i suoi diritti se li è conquistati. Non è finita lei
in prigione per corruzione, non siamo noi a far funzionare nel peggiore 
dei modi le cose. Andrebbero cambiati tutti i dirigenti, dal numero uno
sino in fondo. Serve una bella ripulita".
E' su questo marciapiede che c'è l'epicentro della protesta . Alcune
mamme distribuiscono volantini che accusano: vogliono toglierci la
Oakman Elementary School. Accanto, un gruppo di persone raccoglie
firme a favore di un ospedale che rischia lo smantellamento. Ecco co-
sa  succede  quando  fallisce  una città:  le luci si spengono, le scuole 
chiudono, le ambulanze restano nei garage, i poarchi diventano deser-
ti. E' il destino di una metropoli schiacciata dal suo stesso peso.   C'è 
una bella cartina pubblicata dal Detroit Free Press che spiega la situa-
zione meglio di tanti saggi: si vede  l'estensione di Detroit  e dentro ci 
stanno San Francisco, Boston e l'isola di Manhattan. E il guaio è che
in questo spazio infinito ci abitano solo 700 mila persone contro quasi
tre milioni. Ovvio che i conti non tornano, le tasse non bastano più.
Eppure  Detroit non ha la faccia di un ammalato. Basta risalire Wood-
ward Avenue, lo stradone che da Downtown corre berso nord, per ren-
dersene conto. Qui c'era il deserto sino a quattro anni fa.  I giganti del-
l'auto: Gm, Ford e Chrsyler erano sul fondo della loro storia, trascinan-
do con sè anche la città.   I grattacieli liberty erano in disuso, i cartelli
affittasi e vendesi coprivano le grandi vetrate. E' passato poco tempo,
sembra un secolo fa:  ora l'industria dell'auto  è in forte ripresa  e qui
torna la vita. Arrivano soldi e investimenti, l'economia privata festeg-
gia la ripresa.  Dietro Campus Martius Park, la Chrysler dell'era Fiat
ha preso in leasing l'ultimo e  il penultimo piano  di un palazzo storico, 
per metterci alcuni suoi uffici (la maggior parte sono fuori, come tutte
le fabbriche). Negli altri ventuno (piani) lavorano i 900 dipendenti del-
la Quicken Loans, una finanziaria che fornisce mutui, soprattutto  on
line e soprattutto ai più giovani. Il fondatore è Dan Gilbert, per molti 
la rinascita ha il suo volto da eterno ragazzo del college: "Questi che
lui assume cercano poi casa qui vicino, portano i pub e i ristoranti a
riaprire in queste strade. E' un circolo virtuoso", giurano i manager
che si ritrovano nelle sale eleganti  del Detroit  Athletic Club, il cir-
colo pià vecchio ed esclusivo. Ed è qui che la dichiarazione di falli-
mento è stata presa quasi con soddisfazione: "Finalmente invertia-
mo la rotta, è l'occasione giusta per rimediare a 60 anni di declino",
afferma  Sandy  K. Baruah, il presidente  della  Detroit  Regional 
Chamber. La Chrysler con un comunnicato spiega: "Abbiamo fidu-
cia nella città e nella forza di volontà della sua gente. Per noi non
cambia niente, continueremo ad investire qui".  La società insie-
me ad altri partner è impegnata  nel progetto della nuova metro-
politana leggera che collegherà Downtown a Midtown: altra ben-
zina nel motore, un altro passo in avanti. Whole Foods, il gigante
dell'alimentare, aprirà a breve due supermercati qui:  "C'è uno
spirito nuovo, si sente nell'aria. Le persone sono stufe di vivere
sempre  sotto la cappa  del fallimento, della  crisi  economica", 
giura Matthew, che lavora da Compuware, che ha il suo quar-
tiere generale in queste strade. E che per aiutare sponsorizza
con le sue maglie gialle gli uomini che  curano il verde di que-
sta zona.
Poche centinaia di metri  più in là, in  un  altro mondo,  Jenna
sta arrotolando il suo cartello: "Luglio non è un bel mese per
noi", sospira  ricordando gli scontri razziali del 1967.   Poi ri-
trova la grinta:    "Ci chiamano la Grecia d'America. Ma la
Grecia è stata salvata, perchè a noi ci lasciano andare a fon-
do?". Ed è nell'incrocio tra i suoi diritti e la logica dei nume-
ri che Detroit gioca la sua partita più difficile.



(da la Repubblica - 20/07/'13  -  Federico Rampini)
La maledizione della capitale dell'auto
Bisogno essere stati a Detroit per capire che cosa significa vivere in una città
dove il 40% dei lampioni la sera son o spenti per mancanza di corrente.   Una
città dove  la metà dei pachi e giardini pubblici  sono chiusi  perchè sono finiti
da tempo i fondi per la manutenzione e la vigilanza.    Quella che all'apice del
suo trionfo industriale  fu la capitale mondiale  dell'automobile  e  divenne  la
quarta metropoli d'America  con 1,8 milioni di abitanti, era ormai dimagrita a
700.000 abitanti, con vastissime zone  ridotte allo stato di quartieri-fantasma,
desertificati da uno spopolamento senza precedenti in tempi di pace.   Ma la
storia del declino angosciante di Detroit è il penultimo capitolo. Ciò che scon-
certa di più, nelle vicende recenti che hanno preceduto questa bancarotta mu-
nicipale (la più grossa negli annali degli Stati Uniti), è che il fallimento di De-
troit coincide con un periodo di fantastica rinascita della sua industria automo-
bilistica.  -  General Motors, Ford e Chrysler vanno a gonfie vele, la loro spet-
tacolare rimonta è uno dei fattori dell'attuale ripresa economica americana.
Anche se ormai solo Chrysler ha una grossa fabbrica all'interno del perimetro
urbano (quella dove assembla la nuova Jeep Grand Cherokee), anche le altre 
due grandi case hanno ripreso ad assumere in questo bacino di manodopera.
Colipisce la divaricazione estrema tra le due situazioni: da una parte un capi-
talismo privato che torna ad essere forte e opulento; dall'altro un'istituzione
pubblica che va a picco, fino a dichiarare bancorotta.
E' purtroppo la rappresentazione estrema di una contraddizione che l'intera
America sta vivendo. L'economia reale è in crescita da quattro anni, e tutta-
vi lo Stato rimane "povero" in molte delle sue articolazioni ed enti locali: la
qualità dei servizi pubblici langue; molte infrastrutture collettive continuano
a soffrire per una penuria di investimenti. Questo accade perchè in un paese
bicefalo  -  dove il presidente  è  democratico, ma la Camera ha una maggio-
ranza di destra; il Senato è democratico ma  la Corte suprema  e  il governo  
locale di molti Stati è in mano ai conservatori  -  l'ideologia liberista continua
ad avere ampia presa. "Affamare la bestia" è l'antico slogan lanciato ai tem-
pi di Ronald Reagan e la Bestia immonda per i conservatori è ovviamente lo
Stato. Detroit è stata affamata fino in fondo, fino a farla morire d'inedia.
Due pesi, due misure, anche nei procedimenti di bancarotta. Quando erano 
General Motors  e  Chrysler  sull'orlo del fallimento, scattò la procedura di 
bancarotta nota come Chapter 11, con l'obiettivo di risanare e riloanciare le
due aziende. Furono chiesti e ottenuti sacrifici pesanti ai lavoratori ( il dimez-
zamento dei salari per i nuovi assunti) ma al tempo stesso intervenne una ge-
nerosa solidarietà nazionale sotto forma di decine di miliardi intervento pub-
blico.   Nella procedura fallimentare di Detroit ci sarà solo la prima parte: i
sacrifici. saranno licenziati molti dipendenti pubblici, altri dovranno accetta-
re tagli ai salari, anche i pensionati verranno messi a contribuzione: non esi-
stono in America "diritti acquisiti"  neppure nel pubblico impiego, di fronte
alla bancarotta. Qualcuno ,loderà il modello iper-flessibile che consente al-
l' America di uscire più rapidamente dalle crisi. Ma le ferite sociali saranno
dolorose.
CONTINUA... 
to be continued...