venerdì 27 giugno 2014

Società e calcio - Riflessione e analisi, dopo l'uscita dell'Italia dal Mondiale del Brasile

27 giugno '14 - venerdì         27th June / Friday                               visione post - 17

LA LETTURA "generazionale"  che Gigi Buffon  ha fatto dell'eliminazione
dell'Italia non riguarda solo il calcio, ed è destinata ad accendere una ap-
passionata discussione .      Siamo solo noi "vecchi", dice Buffon, a tirare 
avanti la carretta , accusando implicitamente  le nuove leve calcistiche di 
scarsa capacità di soffrire e poca personalità. E' oggettivamente vero (un
Buffon, per rendimento e carattere, vale dieci Balotelli). Ma viene da do-
mandarsi quanto pesi, nella sbiadita presenza dei "giovani", l'ingombro 
evidente dei "vecchi".  -  Una volta allo scoccare dei 30 anni un calciato-
re era agli sgoccioli.     Oggi i Buffon, i Pirlo, i Totti, i Cassano  possono
guardare ai loro imminenti 40 con qualche speranza  di essere ancora in
campo; e arrivati  intorno ai 35    è ancora attorno a loro che nascono le 
squadre e si organizza il gioco. E dunque: non è forse più difficile, per un
ragazzo trovare  i suoi varchi  e   le sue occasioni, se una generazione di 
ostinatamente giovani gli sbarra il passo?  Non ho risposte: non tali, co-
munque, da sfuggire al sospetto di essere lo stesso parte in causa. Ma 
la domanda mi sembra importante , e vale la pena porsela a qualunque
"leva" si appartenga.  
(da 'la Repubblica' - 26 giugno '14 - L'AMACA / Michele Serra)

Il senso di una fine
Una squadra, un Paese. Se questa è la notte del calcio è perchè è buio in Italia. Perchè non bastano
le buone intenzioni di un allenatore a cambiare un sistema arrogante, sazio, violento. E' un pezzo d'I-
talia, la Nazionale, e le somiglia.  Fa vergogna  mettersi in fila  al check-in dell'aeroporto di Natal  e
sentire tifosi in maglia azzurra che irridono Balotelli, il negro. Torna a zappare la terra, dicono coi lo-
ro passaporti italiani bene in vista. Ieri un eroe, oggi il colpevole unico. Uno spettacolo osceno.  E'
sempre facile cercare un capro espiatorio, ma no, questa volta no.   Se c'è un simbolo della fine di
un'epoca, visto dall'altra parte dell'oceano, non è Balotelli ma Ciro Esposito. E' con lui che muore
un calcio che rimanda solo, nel resto del mondo, fotografie impubblicabili. Sul campo e fuori.
E' la morte di un ragazzo che stava andando allo stadio per vedere la partita ma no, nel nobile cal-
cio italiano non può andare nessuno allo stadio a fare il tifo e basta: una cosa normale e allegra  e
cellettiva qui nel Sud del mondo dove i ragazzini ci vanno da soli, in curva, a cantare il loro inno.
Nel blasonato calcio italiano allo stadio si va con paura, ci si deve difendere, ormai non ci si va più,
alla fine.Si muore. La famiglia di Ciro ha fatto un appello perchè in suo nome non siano commesse
altre violenze.  I siti brasiliani, argentini, colombiani, uruguagi  pubblicano  i lamenti  per il morso  a
Chiellini, lo sfogo di Balotelli ("Non ho colpe, vergognatevi voi") e accanto la notizia della morte di
"un giovane tifoso aggredito in circostanze non chiare". Non chiare per loro. Per noi è lo scontro fi-
sico è la normalità, la violenza delle curve animate da fazioni politiche, i boss che decidono se si de-
ve giocare o no e lo comunicano direttamente ai calciatori in campo che aspettano un loro cenno e
poi vincono o perdono, giocano o non giocano se lo dice il capoclan.   Gli spari in  autostrada,   le
spranghe fuori. Sandri, Raciti, Esposito, un rosario.
Le coincidenze non esistono. Le coincidenze sono lì per far capire anche a chi non ha occhi per
vedere che tutto si tiene, che è il cortocircuito fra quel che accade fuori dal campo e quel che ac-
cade dentro. La Spagna è uscita dal mondiale il giorno che abdicava Juan Carlos, vecchio re tra-
volto dagli scandali. La corruzione, i privilegi, la rendita.  L'Italia esce nel giorno in cui muore un
ragazzo, vittima dell'incapacità di questo sistema - di questo calcio, di questo governo, di questa
Italia - di fare reset, bonificare la corruzione e i privilegi, la criminalità infiltrata, le caste che come
calcare  hanno corroso  il gioco, , si chiama gioco, ci dev'essere una ragione, e col gioco si sono
mangiate l'allegria.
I campioni sono totalmente ostaggio  di chi  li ha comprati e viceversa, tutti ricattati e drogati  dal
denaro, così come sono accecati dai soldi i dirigenti della Lega di A occupati in questi giorni solo
a giocare la forsennata battaglia per i diritti tv fra Sky e Mediaset. L'importante è incassare il più
possibile, pazienza se parliamo di un calcio che ai Mondiali non arriva agli ottavi e in Europa per-
de tutto, umiliato dai club concorrenti.  -  l'Uruguay, il paese che ci rimanda a casa, ha un presi-
dente che ai primi episodi di violenza ha chiamato i suoi ministri e ha detto: io non mando la po-
lizia negli stadi, se i club non garantiscono la sicurezzan non chiedano la supplenza del governo.
poi Musjica può piacere o dispiacere, ma di certo un governo che volta le spalle a quel che ac-
cade negli stadi, lo ignora, ci mette sopra pannicelli caldi e leggi sbagliate, tornelli che tengono
fuori i tifosi e lasciano dentro i mafiosi è un governo che da forfait di fronte al tramonto del cal-
cio italiano., gloria morente.  Il made in Italy non è solo moda, cibo, il Colosseo e la Torre di
Pisa.  Nell'ultima favela di San Paolo i bambini hanno la maglia di Luca Toni, un altro numero
nove. Tra gli indios dell'Amazzonia quando arriva, in barca sul Rio Negro, un italiano gli chie-
dono ancora di Baggio. Schillaci è un eroe, ha un'associazione per i bambini di strada. Balo-
telli uno di loro, uguale a loro che sono neri di pelle per più della metà, è nero Pelè, era nero
Garrincha. Se poi tira una sedia. il ragazzo, non è per questo che si esce dal mondiale
"Noi abbiamo più fame, più forza", dice oggi Caceres uruguayo della Juve. E' quel che succede
in campo quello che conta. Equello che succede in campo è lo specchio, la misura esatta di quel-
lo che c'è fuori..
Prandelli si è dimesso, "sono una persona onesta, pago le tasse, non rubo i soldi dei contribuenti,
mi assumo le mie responsabilità". Un gesto che gli fa onore. Abete non ha potuto fare diversamen-
te, ma non basterà.  Quello che serve al calcio è che qualcuno di molto autorevole ci metta le ma-
ni sul serio, cambi le cose come vuol cambiare il paese. Che si prenda l'impegno, davanti alla fa-
miglia di Ciro Esposito - ferito a morte mentre le autorità in tribuna non trovavano gesti nè paro-
le - di dire, questa volta: ogni fine è un inizio.    Il vecchio calcio muore qui, non ci saranno altre
vittime, il nuovo comincia
(da 'la Repubblica'  -  26/06/2014 - Concita De Gregorio)

Continua... to be continued...