martedì 20 agosto 2013

Spettacoli - cinema / 'Il fondamentalista riluttante'

20 agosto '13 - martedì           20th August / Tuesday                  visioni post - 36

Se c'è un film da vedere assolutamente è questo, di estrema attualità.
Ho trovato una trama/critica del film della Nair abbastanza completa e 
ve la propongo insieme a qualche trailer, che spero di pescare. 
Buona lettura e visione.
(Lucianone) 

"Il fondamentalista riluttante"

Regia di Mira Nair  - anno 2013
Con Liev Schreiber, Kate Hudson, Kiefer
Sutherland, Nelsan  Ellis, Martin Donovan 

Un top manager in balia dello scontro 

di civiltà, dal Pakistan a Wall Street

(da 'la Repubblica' - 13 giugno 2013 /  Paolo D'Agostini)
La metafora che offre la chiave di interpretazione è quella sui giannizzeri,
spiegata a Changez  Khan (il protagonista) dall'editore di Istanbul che il
protagonista è stato inviato a liquidare per scarsità di profitti.
Lei sa chi erano i giannizzeri?    Gli chiede questo fine intellettuale dagli
impeccabili modi levantini e dalla piega amara e sprezzante. No. Changez
non lo sa.     Erano i perfetti soldati del sultano ottomano, bambini rapiti
prima dei dieci anni nei territori cristiani dell'impero  e allevati al tradi-
mento e all'obbedienza come perfette macchine. Oggi, conclude la spiega-
zione, il giannizzero è lei.   E' qui che Changez comincia a vedersi in un
modo nuovo e a trarne le conclusioni.
Il romanzo breve del pakistano Mohsin Hamid, uscito nel 2007 (Einaudi),
è ora il film dell'indiana Mira Nair Il fondamentalista riluttante.
Il racconto inizia dalla fine, dall'appuntamento tra il giovane ma già molto
autorevole  professore universitario Changez  vestito in abiti tradizionali, e
il presunto giornalista americano  che gli ha chiesto un'intervista all'indo-
mani del rapimento a Lahore di un cittadino Usa (superiore di Changez al-
l'università, studioso  e filantropo  ma  anche lui presunto),   e poi via via 
riavvolge il nastro per spiegarci la storia di Changez.
Figlio di un poeta  e  appartenente a una famiglia che non ha vita facile
nel rifiutare i manicheismi che sempre più reclamano cieca fedeltà, il ra-
gazzo si rivela precocemente dotato e ambizioso. Tanto da essere ammes-
so a studi newyorkesi d'eccellenza  e da trovare ancora giovanissimo un
posto di prima fila come analista finanziario in un'importantissima so-
cietà americana.    Portato in palmo di mano dal capo che riconosce in 
lui grinta e stoffa eccezionali, introdotto nella casa del supercapo con 
la nipote del quale (un'artista  che  sta elaborando il lutto  dopo aver 
provocato la morte del precedente boyfriend alla guida dell'auto) na-
sce un amore. Changez è a vent'anni già in vetta. Perfettamente mi-
metizzato da apprtenente alla nuova patria e alla categoria dei top
manager, gira il mondo e "analizza" senza pietà come richiesto.
Brillantissimo esecutore nel nome di un solo comandamento: i
margini di profitto.
Ma incombe l'11 settembre 2011. All'indomani della strage Changez
si vede esposto al sospetto e progressivamente spogliato del suo sta-
tus, ingiustificatamente umiliato.   Reagisce con orgoglio esibendo 
la propria origine anche nei segnali più esteriori - si fa crescere la
barba - ma la decisione di abbandonare tutto e fare ritorno a casa
si accompagnerà al rifiuto della richiesta di arruolamento che gli
rivolge un capo dell'estremismo islamista. Pur tentato, per rabbia
o per delusione, Changez si arresta di fronte  a una parola e a un
concetto: "fondamentalismo". Perchè si vede il rovescio specula-, 
re della stessa "religione" - quella che si appella ai "fondamen-
tali" della finanza che ha appena rifiutata sacrificando tutto.
Ma tutto questo travaglio il suo "intervistatore" non lo sa, non
lo capisce. Egli è in realtà convinto che ci sia Changez dietro il
rapimento dell'americano. Che, come lui, è un agente coperto.
E il loro colloquio si avvia così al drammatico, inutilmente san-
guinoso epilogo.
E' un film un pò appesantito dal didascalismo, e tuttavia possiede 
delle qualità. Non tanto di ordine estetico (la qualità della sceneg-
giatura lascia anzi a desiderare) quanto nel mettere sul tavolo com-
plessità e ambiguità, coinvolgimenti emotivi e sfumature, che mobi-
litazione e propaganda  dello "scontro di civiltà"  hanno messo in 
ombra in nome delle semplificazioni prioritarie.




CONTINUA... to be continued...

Sport - USA / Football antirazzismo

20 agosto '13 - martedì          20th August / Tuesday                      visioni post - 6

No al razzismo. Parola di NFL
Il nome della franchigia di Washington, Redskins, è davvero
offensivo verso i nativi? Sono anni che il football ne discute

La querelle va avanti da anni. Da molte parti, negli Usa, attaccano, 

e a Washington si difendono.  La questione riguarda il nome della
squadra di football della capitale: Redskins. Nelle ultime settimane
l'ennesima botta e risposta:  dieci parlamentari del Congresso han-
no scritto al proprietario, Daniel Snyder, al Commissioner Nfl, Ro-
ger Goodell, e a Frederick Smith, a.d. di FedEx, main sponsor della
franchigia.
"Il Merriam-Webster's Dictionary   (l'equivalente americano del 
Devoto-Oli, ndr) parla chiaro: Redskin è una definizione razzista
e offensiva quanto lo è quella che comincia con N riferita alle per-
sone di colore".  A rispondere è stato Goodell: "Chi ha dato quel 
nome lo ha fatto  per onorare  l'orgoglio  e  il coraggio  dei Nativi 
americani. Non cè niente di offensivo".   Ma non finisce qui.  La
realtà è che  il nome  ebbe origine a Boston, dove la squadra na-
cque negli Anni '30. Giocava nello stadio di baseball dei Braves 
(allora a Boston, ora ad Atlanta) e si chiamava allo stesso modo. 
Poi venne l'esigenza di cambiare.   I Braves avevano - e hanno -
un pellerossa come simbolo. In più volevano attirare a sè i tifo-
si dell'altra squadra di baseball locale, , quelli dei Red Sox, co-
sì qualcuno pensò che avere  la parola Red nel nome  avrebbe
aiutato. E così fu Redskins.





Lucianone