martedì 29 gennaio 2019

Intervista - L'artista Elaine Mitchener e il suo progetto "Sweet Tooth"

29 gennaio '19 - martedì                     29th January / Tuesday                   visione post - 9

(da il manifesto - 6 gennaio '19 - di Marcello Lorrai)
Il suono della paura
Quando la musica può cambiare la vita
"Ho registrato lìesperienza di milioni di persone : la privazione della libertà,
la vendita all'asta, la lavorazione della canna per produrre zucchero".
Erlaine Mitchener è una giovane vocalist britannica  i cui interessi spaziano dal jazz alla musica contemporanea, dall'improvvisazione alla performance, dal movimento alla dan-
za.  Ha in repertorio i Song Books di John Cage.  Ha interpretato Manga Scroll di Chri-
stian Marclay, oggi forse più conosciuto  nell'ambito dell'arte contemporanea  che della
musica, e lavori del compositore sperimentale Alvin Lucier e di Ben Patterson, uno dei
protagonisti di Fluxus. Il suo Sweet Tooth, che ha avuto la sua prima londinese nel feb-
braio 2018, è una vibrante riflessione in chiave di teatro musicale sulla schiavitù a par-
tire dalle sue origini giamaicane. Ha allestito un programma di Vocal Classics of the
Black Avant-Garde, con brani di Jenne Lee, Archie Shepp, Joseph Jarman, Eric Dol-
phy (lo riproporrà domani a Londra al Cafè Oto). Sta preparando un omaggio a Jen-
ne Lee, la più grande vocalist del free (prima il 14 giugno nella capitale britannica, al
Kings Place). .E con il pianista Alexander Hawkins, uno dei più brillanti  e  dinamici protagonisti della giovane generazione dell'improvvisazione europea, ha inciso in quar-
tetto UpRoot (Intakt, 2017) intestato ad entrambi. Lo scorso settembre è stata ospite in
Sardegna per il festival 'Ai confini del jazz', sua prima esibizione italiana.
Inizio intervista
- Come ha iniziato a cantare?
E.M. - Sono nata a Londra. I miei genitori sono giamaicani. Ho cominciato a cantare in chiesa. 
gospel, ho fatto parte  di un gruppo vocale  di ragazze: in questo senso il mio  è stato  un per--
corso molto tradizionale. Poi ho studiato canto al Trinity College of Music e ho preso lì il mio
diploma, poi ho continuato alla Goldsmiths University. Ammiravo il canto classico, l'ho studia-
to alla Trinity, e ho imparato a cantare in italiano, francese, tedesco: arie, brani del repertorio
tradizionale e la base di quella tecnica è veramente importante per quello che faccio adesso.
Mi piace andare alle opere, mi piace sentire le cantanti, le ammiro e sono una grossa ispirazio-
ne., ma ho capito presto che non avrei voluto avere una carriera da cantante classica tradizio-
nale, perchè i miei interessi sono più ampi.
- Cosa le mancava?
E.M. - Se da giovane hai cantato gospel in chiesa, ti sei trovata a dover eseguire  delle canzo-
ni all'ultimo momento, giusto il tempo di capire il titolo e di sperare che il pianista o l'organi-
sta la suoni in una chiave in cui puoi cantarla: e, semplicemente, lo fai. E quando hai impa-
rato a farlo da molto giovane hai imparato ad improvvisare, e a farlo senza avere paura, ed è
una cosa che ti piace oltre che un allenamento eccezionale  per una attività  come musicista 
professionista. Ho anche imparato che le canzoni aiutano le persone a guardare a se stessi,
e a prendere delle decisioni importanti: una canzone può cambiarti la vita. Questo me lo ha insegnato la chiesa, non ilmusic college. Dopo ho trovato veramente difficile sentire in questa prospettiva le arie di Mozart o di Puccini: io conosco il senso di questi brani  che musicamen-
te sono meravigliosi, ma sono qualcosa che non è per me esperienza reale. Il music college ha
un pò ucciso il mio amore per il canto, e ne sono uscita non molto convinta.
- E come è arrivata poi all'attività professionale? 
E.M. - Ho fatto altre cose, cantavo un pò ma avevo paura di farla diventare una carriera, per-
chè è dura. Cantare come lavoro mi spaventava, avevo degli amici che lo facevano e vedevo
che lotta era. Hai un'ora di gioia e dopo ti dici: quando sarà la prossima performance? Quan-
do entreranno altri soldi? Lavoravo  per la Ricordi  come promotion manager, promuovevo 
compositori a Londra, e ho appreso molto sul business della musica classica, un impiego de- cisamen interessante. E' successo che qualcuno dei miei clienti ha scoperto che cantavo e mi
hanno chiesto di farlo nei lavori dei compositori che cercavano di far eseguire. Mi hanno in-
coraggiata. In definitiva ero una performer: la porta si era aperta. E così ho cambiato lavoro.
- Quando è entrata in contatto con la scena improvvisativa?
E.M. - Avevo quattordici-quindici anni e il mio insegnante di flauto a scuola era un improv-
visatore free, neil Metcalfe. Siamo diventati amici, io ero troppo piccola per andare ai con-
certi, ma lui è stato il mio primo contatto con questa scena. Poi ho cominciato ad entrare in
questo ambito con il mio ex marito, pianista: oltre che con Neil ho lavorato molto con Steve
Beresford, Evan Parker, Mark Sanders, John Butcher, David Toop, e sono stata guest con
la London Improvisers Orchestra. Amo molto lavorare con un vocalist come Phil Minton.
E' una scena ricca con improvvisatori di talento.
- Un recensore ha scritto che grazie all'intensità della sua interpretazione, ha fatto tremare
le pietre della chiesa di Londra in cui ha presentato "Sweet Tooth".
E,M. - Mio padre è morto cinque anni fa e pensavo a cosa avevamo in comune, per esempio
amavamo lo zucchero. E ho cominciato a ragionare sulle varie implicazioni dello zucchero,
a come può fare male alla salute, a come viene prodotto e, rispetto al passato, al fatto  che 
era una merce molto costosa. Ma anche al costo umano necessario per fornire questo bene
in paesi lontani dal luogo da cui lo zucchero proveniva.  Ho lavorato con uno storico: mi af-
fascinava come il sistema della schiavitù potesse stare in piedi ed era solo attravesro la pau-
ra e la disumanizzazione. Questo è stato il mio punto di partenza: il suono della paura. 
In Sweet Tooth registro l'esperienza di milioni di persone. La privazione della libertà. la
tortura, le punizioni, la vendita all'asta, la lavorazione della canna  per produrre lo zuc-
chero, i momenti in cui  gli schiavi potevano divertirsi e cantare, momenti in cui  c'era
anche qualcosa di sovversivo che poteva portare alla rivolta, che era la paranoia dei pro-
prietari di piantagioni.  A Londra Sweet Tooth è stata presentata a St George's, a Bloom-
sbury, una chiesa aperta nel settecento al culmine della tratta, che ebbe tra suoi benefat-
tori ricchi schiavisti e che poi ha avuto un ruolo nel movimento abolizionista. In maggio
invece è stata proposta al Museum of London Docklands, dove veniva immaganizzato lo
zucchero proveniente dai Caraibi.   Sweet Tooth è un lavoro difficile da presentare, fisi-
camente difficile anche per i musicisti, Sylvia Hallett, Jason Jarde e Mark Sanders, che
devono muoversi in scena.  Per me è un lavoro non solo sulla schiavitù ma su noi oggi,
perchè gli esseri umani hanno una incredibile caèpacità di infliggere sofferenze. Mi au-
guro ci spinga a porci delle domande su di noi, sul perchè noi beneficiamo dello sfrut-
tamento che avviene in altre parti del mondo.
- Ascoltandola dal vivo con Alexander Hawkins era impossibile non pensare a Jeanne 
Lee... 
E.M. - Dovevo avere 18 anni e Neil Metcalfe  mi diede  una cassetta dicendomi: penso che 
ti potrebbe piacere. Era Jeanne Lee con Ran Blake. Non è che non mi sia piaciuta ma non
la capii, era chiamato jazz ma non lo era, suonava piuttosto come una cosa contemporanea,
avantgarde, e la sua non era una voce così "jazz": non era  una voce brutta  ma nemmeno
"bella" in senso convenzionale. Una voce con un vibrato molto veloce, ma che non si esten-
de. Non trovi in lei la normale cantante di jazz, non è Sarah Vaughan, non è Ella Fitzgerald,
non è quel tipo di voce. Ma questo la rende più interessante. Ricordo di avere sentito la cas-
setta e poi di non averla più ascoltata per anni. Ma poi ci sono tornata. Lei amava Abbey Lin-
coln, c'è un suono come Abbey Lincoln, viene fuori da quella linea, ma è estremamente per-
sonale e muove la tecnica oltre, verso altre direzioni. E poi la danza, Fluxus, John Cage, la
sound poetry: sono stata colpita  dalla somiglianza  degli interessi, non potevo credere  che
questa donna aveva fatto tanti anni fa queste cose che io sto cercando di fare adesso. Qual-
cuno ha detto che lei è la mia madre spirituale: io cerco di mantenere la mia individualità
ma mi interessa questa linea. E riconosco che dentro di me è ben presente.

Lucianone