mercoledì 30 marzo 2016

Inchiesta / Società-metropoli - No agli Smart district?

30 marzo '16 - mercoledì               30th March / Wednesday                  visione post - 47

LA FOLLIA DEGLI SMART DISTRICT
Sono in tutte le più grandi metropoli del mondo.  
Fanno ricerca, innovazione, affari. Ma in molti
ormai li accusano di distruggere il tessuto sociale.

(da DRepubblica - 6/12/2014 - di Mara Accettura)
Da Barcellona a Boston, da Stoccolma a Seattle, da Seul a Medellin ogni città ne vanta
uno e se non ce l'ha apre un cantiere per realizzarlo. I distretti di innovazione sono di-
ventati il sogno degli urbanisti visionari di tutto il mondo: Quartieri dove ricerca e svi-
luppo si incrociano col business, dove istituzioni di ricerca e società affermate si mi-
schiano a start up, incubatori e acceleratori di business. Enclavi prlogressiste, giovani 
e smart con free wifi e energia pulita, con l'obiettivo  di incrementare  la forza lavoro
del XXI secolo. Creare il futuro. Posti dove i nuovi Mark Zuckerberg di mattina fanno
l'università. di pomeriggio  brainstorming  negli uffici di fronte, e magari si inventano
la prossima app nello Starbucks sulla via principale e la sera vanno a cena con un inve-
stitore al ristotrante fusion dietro l'angolo. Una specie di utopia (o incubo a seconda dei
punti di vista) organizzata. -   "Negli ultimi 50 anni il panorama dell'innovazione è stato 
dominato da posti come la Silicon Valley", dice Bruce Katz, vicepresidente di Brookings
Institution e autore di The Metropolitan Revolution, "distretti periferici, campus isolati,
parchi di ricerca perfetti solo per le macchine, con poca enfasi sull'integrazione del lavo-
ro con la vita.  Oggi assistiamo  all'ascesa  di un modello nuovo: dove le istituzioni di ri-
cerca più all'avanguardia sono vicine a start up e incubatori di business. Il tutto in posti 
facilmente accessibili che contengono anche abitazioni, uffici e luoghi di intrattenimento".
Secondo il Brookins Institute, che ha pubblicato una lunga relazione, Cities as a Lab, De-
signing the Innovation Economy, le ragioni di questa esplosione sono tante: la nostra eco-
nomia più avanzata è naturalmente "aperta: premia la collaborazione, ha un forte appe-
tito per la vicinanza e l'integrazione  che favorisce  lo scambio veloce  e  simultaneo delle 
idee. Non per niente una società come Pfizer si è trasferita vicino al Mit di Cambridge, a
due passi daòl gigante farmaceutico Novartis.  Google ha aperto un megaufficio satellite
vicino alla Carnegie Mellon a Pittsburgh. E' il motivo per cui Pinterest ha lasciato la Si-
licon Valley per spostarsi a San Francisco vicino a Twitter e Salesforce.com. E' tramon-
tata l'era dell'inventore  che crea in solitudine  nel garage di casa.  E anche i piccoli im-
prenditori arrivano a frotte in questi spazi collaborativi  dove possono ridurre i rischi,
condividere i costi, avere accesso al capitale e mescolarsi ad altri inventori come nel ca-
so del Cambridge Innovation Center che ospita più di 600 società o del Benjamin's Desk
di Philadelphia, e 1871 a Chicago.  
Il fenomeno della concentrazione  si sposa  a un grande cambiamento demografico: il
ritorno in città. Sempre più gente, parliamo del 40 per cento dei Millennials ma anche
di coppie senza figli e anziani, aspira a vivere in uno spazio urbano, dove tutto è colle-
gato e facilmente raggiungibile a piedi. -  I distretti di innovazione, però, non sono tutti
uguali. "Li abbiamo divisi in tre gruppi", dice Julie Wagner, coautrice di Cities as a Lab,
"ci sono gli anchor plus, quelli che ospitano anche Università e Centri di ricerca che com-
mercializzano l'innovazione, come Boston col MIT, quelli che  hanno reinventato  il pae-
saggio urbano, come 22@Barcellona, che nel sito aveva un'industria tessile, e i parchi del-
la scienza urbani, come il Kista di Stoccolma.    Ognuno ha i suoi punti di forza e altri su 
cui deve lavorare. tutti si sforzano di creare  un sistema collaborativo  che sia inclusivo e 
propaghi benessere nei quartieri circostanti".   E' fiero Bert-Jan Woertman direttore del-
la comunicazione dellìHigh Tech Campus di Eindhoven, Olanda, che si è guadagnato la
reputazione del chilometro quadrato più smart di tutta Europa. "Fino al 2003 il panora-
ma di Eindhoven  era dominato  dal quartier generale di Philips. Nel giro  di 11 anni  il 
il Campus ha cambiato il volto della città. Ha portato  10mila persone  che provengono
da 80 stati diversi del mondo  e  lavorano  per 135 diverse società, tra cui IBM, Philips, 
Intel, tutte raggiungibili in bicicletta. La concentrazione favorisce il networking, che noi
stimoliamo anche tramite seminari, eventi sportivi e culturali. Il risultato è che Eindho-
ven produce il numero più alto di brevetti pro capite nel mondo al ritmo  di quattro  ri-
chioeste al giorno", dice.   "Anche Seattle è un caso esemplare",  interviene Enrico Mo-
retti, professore di Economia alla University of california, Berkeley, e autore di La nuova
geografia del lavoro (Mondadori).  "Negli anni 70 Seattle sembrava la Detroit di oggi. Poi
è arrivato Bill gates, e Microsoft ha riportato ai fasti la città. Ma è difficile  creare  una Si-
licon Valley dal nulla perchè  è difficile  scommettere sulla "next big thing".  Il mondo si 
muove veloce.  Io non so quale sarà  il settore trainante del futuro  e  quali le imprese vin-
centi, ma di certo l'innovazione verrà creata dove c'è un alto tasso di scolarizzazione, una
forza lavoro flessibile e una pressione fiscale non opprimente".
Secondo alcuni gli innovation district sono tutto fumo e niente arrosto. "Ma davvero
raggruppare un pò di persone in edifici cittadini è il modo di far volare scintille crea-
tive?", si è chiesta Elizabeth Winkler su The New Republic.  Secondo lei la collabora-
zione sarebbe una mera distrazione: le invenzioni più geniali in realtà sono opera di
maverick, persone fuori dal coro come Steve Jobs. "Il vero catalizzatore dell'innova-
zione è la solitudine, perchè permette alle persone di portare al limite la loro perfor-
mance e il loro potenziale", dice.  E citando  Il potere degli introversi  di Susan Cain
aggiunge che "il pensiero di gruppo minaccia di soffocare la produttività, perchè ele-
va lo spirito di collaborazione su tutto il resto.  Steve Wozniak di Apple non ha creato
il primo pc in mezzo a una marea di persone ma ha lavorato per mesi e mesi da solo".
Una cosa è certa: anche se non producono Steve Jobs a frotte, i distretti di innova-
zione accelerano la crescita economica. Non a caso John Summers, direttore di The
Baffler, magazine di sinistra, li ha soprannominati Zuckerstan senza Zuckerberg, 
enclavi esclusive orientate al business più che alla vera innovazione. Lui, che vive 
a Cambridge, Massachusetts, ha assistito  allo stravolgimento della sua città, rac-
contandolo in uno dei saggi di No Future for You: Salvos from hTe Baffler. "Gratta-
cieli aziendali tutti uguali stile Frank Gehry proliferano come funghi.  Gli impren-
ditori che  ci lavorano  sono  quasi tutti maschi, bianchi, senza figli, workhaolic 
che rimangono in città per poi emigrare in un altro distretto.  Parliamo  di  quar-
tieri senz'anima, l'antitesi dello spirito di comunità. Negli ultimi anni  ho visto  i 
prezzi delle case schizzare verso l'alto, al punto che le famiglie con bambini emi-
grano. I negozi tradizionali sono stati sostituiti da centri commerciali e cocktail
bar. La povertà e il numero dei senzatetto sono cresciuti.  Gli innovation district
nascondono la privatizzazione dietro la foglia di fico della collaborazione. Hanno
costi molto alti: la disintegrazione del tessuto sociale di una città".  Nella vicina
Boston, scrive il Boston Globe, "mentre le società farmaceutiche globali costrui-
scono nuovi laboratori, giganti di internet come Google e Twitter si espandono, 
e le start up si accaparrano uffici ad affitti stellari, le famiglie che vivono all'om-
bra di questa economia e che affluiscono ai discount alimentari  sono triplicate
negli ultimi dieci anni. La lista d'attesa per le case popolari è raddoppiata, i letti
nei rifugi dell'Esercito della salvezza sono sempre pieni".   
Allora che tipo di innovazione producono questi distretti? Inutile farsi illusioni. 
"Solo quella che crea ricchezza: quindi che coopta grandi donatori e remunera 
gli investitori".  L'importante insomma è che i soldi circolino. Summers cita il 
caso di Novartis, colosso farmaceutico che finanziando la ricerca a suon di mi-
lioni è diventato praticamente impermeabile a qualsiasi critica.
"Io la ricaduta benefica sulla città non la vedo affatto", conclude Summers, "la
verità è una: noi, i vecchi residenti, che viviamo accanto a questi distretti e svol-
giamo lavori più tradizionali, ci sentiamo come aragoste in una vasca dove la
temperatura dell'acqua si alza sempre di più".

Riflessioni personali

Continua... to be continued...