11 aprile '15 - sabato 11th April / Saturday visione post - 15
Un saggio di Andrea Riccardi ricostruisce
le persecuzioni del 1915 e le collega al presente
Un secolo fa a Mardin (Turchia) la strage rimossa
Il cinico calcolo dei Giovani turchi, laici:
aizzare l'odio delle popolazioni islamiche
(da Corriere della Sera - 31/03/2015 - Anniversari / di Sergio Romano)
Nella Turchia sudorientale, in una zona abitata prevalentemente da curdi, vi è una
delle più belle città del Medio Oriente. E' Mardin, una meta turistica premiata dal-
l'Unesco per la straordinaria varietà della sua architettura religiosa: chiese, monaste-
ri, moschee, sinagoghe, castelli medioevali. Oggi la sua popolazione è in grande mag-
gioranza musulmana, ma nel 1915, quando fu teatro degli avvenimenti evocati in un
libro di Andrea Riccardi pubblicato (ora) da Laterza, i cristiani avevano nove chiese,
tre conventi e formavano una sorta di catalogo vivente del Cristianesimo romano e
greco: armeni in buona parte, ma anche cattolici di rito latino, ortodossi, assiri, siria-
ci, caldei, tutti assistiti dai loro vescovi e patriarchi. I campanili e i minareti svettano
ancora sulla città, costruita sul pendio di una grande montagna, ma le comunità cat-
toliche e ortodosse sono oggi soltanto il pallido ricordo di un mondo in buona par-
te scomparso.
Questo libro ("La strage dei cristiani, Mardin, gli armeni e la fine di un mondo",
pp. 240 euro 18) è anzitutto un'opera di pietà storica, scritta per ricordare la sorte
dei cristiani d'Oriente, travolti anche in anni più recenti dalle guerre combattute
in Libano, in Iraq, e in Siria. Riccardi dice implicitamente al lettore che la tragi-
ca cronaca delle persecuzioni subite dagli armeni agli inizi della Grande guerra
non sarebbe completa se non ricordasse che il loro destino, in particolare a Mardin,
fu condiviso dai cristiani. - Ma l'autore non è soltanto il fondatore della Comunità
di Sant'Egidio e, quindi, un cattolico militante. E' anche uno studioso a cui preme
ricostruire il contesto storico di quelle persecuzioni. Nel luglio del 1914, qundo il
governo austro-ungarico inviò alla Serbia l'ultimatum che avrebbe scatenato la
Grande guerra, la Turchia era appena uscita da una umiliante sconfitta nella Se-
conda guerra balcanica e dal colpo di Stato che aveva dato il potere ai "Giovani
turchi" di Unione e Progresso. I suoi tre Pascià - Djemal, Enver, Talaat - erano
ferocemente nazionalisti e profondamente convinti che la sovranità dello Stato
ottomano fosse minacciata dalle continue ingerenze delle potenze straniere nella
politica dell'Impero. Le sue finanze erano soggette alla vigilanza di banchieri eu-
ropei, organizzati in una specie di Fondo monetario internazionale. Le comunità
religiose non musulmane avevano potenti protettori stranieri: la Russia, per gli
ortodossi e gli armeni, la Francia e altri Paesi cattolici per i cristiani latini, la
Gran Bretagna per i protestanti e gli ebrei. I trattati sulle capitolazioni avevano
garantito alle comunità nazionali straniere una sorta di indipendenza giudizia-
ria, che intaccava profondamente la sovranità dello Stato.
Al nuovo governo di Costantinopoli la guerra europea parve una provvidenziale
via d'uscita. Il 9 settembre 1914 fu annunciato al mondo che le capitolazioni sa-
rebbero state abolite, con un documento in cui si affermava tra l'altro che l'abo-
lizione avrebbe permesso di realizzare le riforme ripetutamente sollecitate dalle
grandi potenze. Due mesi dopo, mentre la Turchia era da qualche giorno in
guerra a fianco della Germania, fu proclamata la Grande Jihad. La guerra san-
ta presentava in quel momento un doppio vantaggio. Forniva alle masse anato-
liche, ancora devotamente musulmane, una motivazione spirituale sul campo
di battaglia; e dava alle persecuzioni contro i cristiani una giustificazione pa-
triottico-religiosa. Per quanto concerneva gli armeni, , in particolare, la guer-
ra contro la Russia avrebbe permesso al governo turco di trattare la loro comu-
nità come una pericolosa quinta colonna. armate di questi argomenti le auto-
rità turche dettero il via alle deportazioni e ai massacri. Quando gli ambascia-
tori dei Paesi neutrali, fra cui Henry Morgenthau, rappresentante degli Stati
Uniti, deplorarono i metodi utilizzati, Enver replicò con sfacciata franchezza:
"L'odio tra turchi e armeni è così grande che dobbiamo farla finita con loro,
altrimenti si vendicheranno su di noi".
Continua... to be continued...
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