sabato 10 marzo 2018

SOCIETA' / I t a l i a - Economia e democrazia: insieme per ricostruire partendo da un futuro non illimitato ma sostenibile

10 marzo '18 - sabato                      10th March / Saturday                     visione post - 12


(da Corriere della Sera - 4 marzo '18 - di Mauro Magatti)
Ricostruire insieme
l'idea di futuro perduta
E' una sindrome che colpisce tutti i paesi avanzati, ma che in Italia tocca i livelli più acuti:
per quanto paradossale, in società libere e benestanti, a venire meno è il senso del futuro,
l'idea cioè che ciò che ci attende possa essere migliore di ciò che c'è già. Con la caduta del-
le ideologie e dopo la fine della globalizzazione espansiva, facciamo fatica a vedere un oriz-
zonte davanti a noi. Siamo continuamente sollecitati dall'innovazione  ed  estasiati dai suc-
cessi della tecnica. Viviamo più a lungo  e  meglio  di ogni generazione precedente. Ma c'è
qualcosa che ci sfugge e che ci si ritorce contro.  Si tratta di una sindrome trasversale che
colpisce l'economia (dove stagnano gli investimenti), la demografia (con l'inverno demo-
grafico), la politica (che rincorre le urgenze quotidiane). Tanto che Bauman, nel suo ulti-
mo libro, ha parlato di retrotopia: finita l'epoca delle utopie - capaci di proiettarci in un
futuro fin troppo radioso - le nostre società sono attratte dal passato.  Non però un pas-
sato inteso come recupero di un'origine ancora incompiuta, da cui derivare la spinta per
guardare avanti.  Piuttosto  un passato mai esistito - una retrotopia appunto - a cui  ci si 
appella per non affrontare i problemi attuali.   Un passato, cioè, come regressione, come 
fuga dal futuro.  Se questa sincrome tocca tutti i paesi occidentaliu, in Italia raggiunge i
suoi livelli più preoccupanti a causa della convergenza di tre tendenze (tutte note ma ra-
ramente considerate insieme).   La prima è il trend demografico, già oggi insostenibile.
Intendiamoci: fare tanti figli non è un'idea di futuro. E' solo un fatto biologico. Ma ave-
re il senso delle prossime generazioni - che include la responsabilità generativa - sì.  La
seconda è l'indebitamento. Anche qui occorre sgombrare il campo da un equivoco. Non
è con il risparmio che si costruisce il futuro. Nè tanto meno con l'austerity.  Per investi-
re è necessario un certo dispendio, la disponibilità a correre rischi. Ci si deve indebitare.
Ma il problema sono le enormi risorse finanziarie bruciate per alimentare la speculazio-
ne, i consumi privati, il consenso politico (attraverso la spesa pubblica). Scaricando l'o-
nere sulle future generazioni.  La terza tendenza è l'istruzione. Anche qui tanta confu-
sione: non è certo un pezzo di carta a fare la differenza. Ma senza investire nell'educa-
zione non c'è partita. E l'Italia è messa male: con indici di abbandono scolastico trop-
po alti e percentuali di laureati troppo basse. Risultato è che da noi la questione della
disuguaglianza tende a sovrapporsi  a quella generazionale: abbiamo pochi bambini
di cui molti in povertà; la disoccupazione giovanile rimane sopra il 30%; i salari non
bastano per fare una famiglia. Così molti ragazzi, soprattutto i più bravi, lasciano il 
Paese.   E' questa mancanza di futuro che spiega il malcontento cupo in cui siamo im-
mersi. Che nemmeno l'aumento del Pil riesce a cambiare.  Il problema è che  non sa-
pendo più pensare il futuro, non riusciamo pià a sprigionare quelle energie vitali che
fanno lo sviluppo. Su questa mancanza di prospettiva cade anche il nesso Italia/Euro-
pa. Per molti la Ue è  una costruzione senza anima, l'ennesimo teatrino  di gruppi di
potere contrapposti, lontanissima dalla vita e dalle sue sfide. Il clima della campagna
elettorale è pervaso da questa sindrome.  Nel momento della sua ascesa, Renzi aveva 
acceso la speranza che qualcosa potesse davvero cambiare. E la disillusione che la sua
caduta ha prodotto è all'origine di quel rimbalzo di cui siamo oggi spettatori.
Occorre allora convincersi: da queste secche, l'Italia può uscire solo tornando ai fon-
damentali. La via è indicata dagli obiettivi Onu 2030. Il futuro a cui tendere è quello
di una crescita sostenibile. Cioè di una crescita  che impara a fare i conti  con le pro-
prie contraddizioni (ambientali, sociali, umane etc.) e che perciò  si lascia alle spalle
il mito della illimitatezza.   Ciò significa  rivedere  l'individualizzazione radicale  (di 
cui vanno pazze le élites contemporanee)  il cui orizzonte  non può che  restringersi 
sulla propria personale esistenza.  -     Diciamolo chiaramente: abbiamo bisogno di  
un'idea  più  relazionale  della  nostra individualità, riconoscendo che la realtà non
coincide con noi stessi, che c'è  qualcosa d'altro oltre il nostro Io, che nessuno si sal-
va da solo e che, per quanto potente, la tecnica da sola non basta.    Insomma, oggi
come ieri, un'idea di futuro passa per una nuova idea di libertà. E' questa la posta
in gioco della transizione in corso, in Italia come in Europa. O si riuscirà ad anda-
re avanti, ricostruendo il nesso tra economia e democrazia, o si tornerà indietro.
Le scorciatoie possono anche far vincere le elezioni, Ma spesso sono il modo per 
finire nel burrone.

Lucianone