In Molise rinoceronti e ippopotami
del Paleolitico / Così mangiava l'uomo...
Fossili esposti al museo di Isernia, che dà lavoro a 25
giovani ricercatori / Il direttore dei Beni culturali: i giovani
sono assistenti alle visite e realizzano i gadget in vendita.
(da 'Corriere della Sera' - 20 dicembre 2013 / Paolo Conti)
Roma -
I resti sono tanti, circa 5.000, spettacolari e spettrali: zanne di elefante, canini di
ippopotami, le corna ramificate dei megaceri e quelle dei bisonti. Ma sono stati
censiti anche bisonti. Un mare bianco che ricorda "Balkan Baroque" (l'installa-
zione-performance con cui Marina Abramovic vinse nel 1997 il Leone d'oro alla
Biennale d'Arte di Venezia: un mucchio di ossa che l'artista ripuliva). E in mezzo
a zanne e canini, molte pietre lavorate: punte di frecce, rasoi rudimentali.
Nel cuore dell'Isernia di oggi, 650mila anni fa i cugini molisani dell'Homo Heidel-
bergensis mangiavano carne cruda di enormi animali feriti o già sbranati da altre
bestie. Soprattutto raggiungevano le ossa, le spezzavano e si nutrivano del midol-
lo . Finito il pasto, gettavano i colossali resti in una parte del fiume Volturno che
oggi non esiste più: in quel letto prosciugato da decine di migliaia di anni è stato
ritrovato un materiale veramente unico intorno al quale il Museo nazionale del
Paleolitico di Isernia ha aperto nell'aprile 2012 un primo padiglione espositivo.
E ora ha inaugurato un secondo,, innovativo spazio didattico di 8oo metri qua-
drati. - Un linguaggio semplice ma scientificamente accurato, adatto sia agli
adulti che ai bambini, con indicazioni in inglese e italiano. Molte fedeli rico-
struzioni della vita degli ominidi di 650 mila anni fa, a partire dalle capanne.
E un percorso sospeso a pochi centimetri dalla superficie degli scavi, circa
300 metri quadrati. Altri 700 sono attualmente in corso di scavo.
Già tutto questo rappresenterebbe un bel traguardo, per Isernia e per il suo
territorio. Infatti dall'aprile 2012 a oggi i visitatori sono stati 11 mila per una
città che conta 22 mila abitanti. Ma c'è un altro dato di notevole importanza.
Come spiega Gino Famiglietti, direttore regionale dei Beni culturali del Mo-
lise, grazie ai parenti isernini dell'Homo Heidelbergensis sono stati creati 25
posti di lavoro: 5 giovani archeologi molisani lavorano al Museo nazionale
del Paleolitico mentre altri venti universitari sono impiegati negli altri siti
museali del Molise: le aree archeologiche di Pietrabbondante, Sepino e
Larino, il Castello Pandone di Venafro, il Museo archeologico di Isernia.
Spiega Famiglietti: "I giovani, tutti laureati in paleontologia, sono eccellenti
assistenti didattici alle visite e aiutano ad avvicinarsi a un percorso che vo-
lutamente è spettacolare. Perchè la conoscenza è anche allegria, piacere in-
tellettuale. E sempre a questi rgazzi abbiamo affidato i servizi aggiuntivi: per
esempio sono loro a ideare e a realizzare gli oggetti ricordo in vendita nel ne-
gozio del museo. Ho sempre pensato che le società esternr generalmente ar-
rivano, prendono molto alla realtà locale e danno in cambio pochissimo. Noi
abbiamo il dovere di offrire un'opportunità ai giovani che si laureano, altri-
menti fatalmente se ne andranno via. Qui sperimentiamo la possibilità, per
i ragazzi, di far coincidere la ricerca con la nascita di una piccola impresa
culturale". - Famiglietti si sofferma soprattutto sul rapporto dell'offerta
didattica con i bambini: "In questo museo scoprono il valore e il piacere
della manualità, che sta gradualmente scomparendo. Noi spieghiamo per
esempio come quegli uomini costruivano i loro utensili". Si ricorre a meto-
di divulgativi ma anche capaci di attirare l'attenzione: un touchscreen ri-
produce la superficie e se un qualsiasi osso viene toccato, si ascolta il ver-
so dell'animale al quale quel pezzo appartiene. Nello stesso tempo si colo-
rano gli altri pezzi che lo componevano. Una specie di puzzle sonoro, insom-
ma".
Ora si aspetta un aumento del flusso turistico e, magari, altre assunzioni
di laureati. L'Homo Heidelbergensis nella sua versone isernina, che fre-
na la fuga dei cervelli molisani. Chi l'avrebbe mai detto.
Lucianone
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