15 ottobre 2012 - lunedì 15th October / Monday visioni post - 9
Continuando un discorso approfondito sul capitalismo, sua
nascita, sviluppo, trasformazione e crisi, e raccogliendo ma-
teriale inerente a questo tema, importante per l'economia
mondiale, ecco qui un articolo estremamente interessante
preso dal quotidiano 'la Repubblica' in cui si esamina da do-
ve derivano le difficoltà e le dinamiche contorte della fase
attuale di un capitalismo estremamente selvaggio, in quanto
prettamente/unicamente finanziario.
(Lucianone)
(da 'la Repubblica' di sabato 22 settembre '12 -
di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini)
La deriva del capitalismo
Le mille agomentazioni per spiegare la crisi in cui sono immersi
i paesi occidentali da 5 anni a questa parte non ci appaiono mol-
to convincenti e, come ha ricordato Vladimiro Giacchè, riporta-
no alla mente le giustificazioni di John Belushi nel film dei
'Blues Brothers'. Per convincere l'ex fidanzata abbandonata
sull'altare a non ammazzarlo, Belushi dice: "Quel giorno finì
la benzina. Si bucò un pneumatico. Non avevo i soldi per il
taxi! Il mio smoking non era arrivato in tempo dalla tintoria!
Era venuto a trovarmi da lontano un amico che non vedevo
da anni! Qualcuno mi rubò la macchina! Ci fu un terremoto!
Una tremenda inondazione! Un'invasione di cavallette!".
Alle mille spiegazioni della crisi, noi ne aggiungiamo un'altra:
la liberazione del movimento dei capitali, che, all'inizio degli
anni '80 pose fine al grande compromesso di Bretton Woods
fondato appunto sul divieto di circolazione dei capitali a cui
faceva da contrappeso la libertà di circolazione delle merci.
Lo strappo effettuato (in Occidente) dai due leader conserva-
tori, Reagan negli Stati Uniti e Thatcher in Inghilterra, de-
terminò un completo rovesciamento dei rapporti di forza sia
tra capitale e lavoro, sia tra capitalismo e democrazia poichè
creò una condizione di fortissimo vantaggio per le grandi im-
prese private nei confronti degli stati nazionali.
Da quel momento la capacità di intervento dello Stato nel-
l'economia andò incontro ad un drastico ridimensionamento,
mentre i lavoratori cominciarono a subire i ricatti delle delo-
calizzazioni produttive. La liberazione dei capitali rappresen-
tò dunque la mossa decisiva che influenzò l'evoluzione dell'e-
comomia mondiale e diede l'avvio alla fase del capitalismo fi-
nanziario.
A dire la verità, anche nell'opinione degli economisti classici
la libertà dei movimenti di capitale non era stata sempre vista
di buon occhio. - Un grande pensatore come David Ricardo
aveva ammonito sui pericoli inerenti alle loro libere scorri-
bande. I capitali, aveva sostanzialmente osservato, non sono
valigie trasportabili indifferentemente da un punto all'altro
del mondo: sono elementi essenziali del contesto sociale il
cui spostamento non può non determinare conseguenze rile-
vanti nella sorte della stessa coesione sociale. - Per questi
motivi sradicare e trasferire i capitali in qualsiasi parte del
mondo senza il consenso della comunità non può essere
considerato un comportamento virtuoso.
Ma ci sono anche altre conseguenze molto importanti, poi-
chè si crea un mercato finanziario integrato che consente
al capitale di tutto il mondo di entrare in collegamento e di
dar luogo "all'internazionale dei capitalisti", un'èlite glo-
bale, che concentra in sè un potere immenso. L'appello di
Karl Marx, 'proletari di tutto il mondo unitevi', si realizza,
ma al contrario. - I mercati finanziari diventano un'istitu-
zione strutturata e iniziano ad esprimersi come i governi.
E' ben noto , infatti, che a Wall Street si tengono riunioni
periodiche dei capi delle grandi banche e delle società fi-
nanziarie che stabiliscono i tassi di interesse e, attraverso
le decisioni di investimento o di disinvestimento, posso-
no sfiduciare i governi che attuano politiche economiche
non gradite e sono in grado di condizionare il destino di
intere popolazioni. -
Il mutamento del rapporto di forza tra il capitale e gli al-
tri fattori di produzione da una parte e tra il capitalismo
e il governo democratico dall'altra, rappresentano due
fattori fondamentali che sono alla radice del processo di
finanziarizzazione. Ma c'è anche un altro motivo: l'enor-
me concorrenza che si stabilisce dopo la liberazione dei
movimenti di capitale tra i capitalismi nazionali e il
mercato finanziario internazionale.
Questa concorrenza acuisce e aumenta l'importanza
del profitto nell'ambito della struttura economica.
Nell'impresa i fattori legati al profitto riprendono po-
sizione dominante e con essi la distribuzione di divi-
dendi agli azionisti e la ricerca continua dell'incre-
mento delle quotazioni azionarie, indice supremo di
efficienza e di forza. I finanzieri conquistano così un
ruolo centrale nella gestione delle grandi unità pro-
duttive imponendo la loro visione del mondo rappre-
sentata dal guadagno immediato da ottenere con ogni
mezzo.
Questa è la situazione che dobbiamo rovesciare se vo-
gliamo realmente uscire dalla crisi. - Le recenti deci-
sioni della Banca Centrale Europea sugli interventi
"antispread" rappresentano un primo passo impor-
tante per ricostruire la sovranità monetaria dell'UE
e per ridimensionare l'influenza della speculazione
finanziaria sulle politiche economiche dei paesi in
difficoltà. Ormai è evidente a tutti che i mercati fi-
nanziari rappresentano un potentissimo amplifica-
tore delle fisiologiche fluttuazioni cicliche poichè
innescano dei meccanismi cumulativi che si auto-
alimentano. - Quando c'è crescita i mercati gettano
benzina sul fuoco e amplifiano l'espansione, ma quan
do c'è crisi i mercati spingono l'economia verso la de-
pressione. per questo è necessario fare ben di più: la
politica deve tornare a fissare le regole fondamentali
dei movimenti di capitale a livello mondiale. Occorre
una nuova Bretton Woods, questa volta nel segno di
Keynes. Non è una riforma. E' una rivoluzione.
Lucianone
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