31 marzo '19 - domenica 31st March / Sunday visione post - 6
(da 'il manifesto' - 22 marzo '19 - Divano / Alberto Olivetti)
Il pavimento di Jackson Pollock
Sul numero dell'inverno 1947-48 della rivista newyorkese Possibilietes, sotto il titolo
My Painting si riportava una dichiarazione di Jackson Pollock (1912-1956). Egli affer-
ma: "La mia pittura non nasce sul cavalletto". E spiega: "Ho bisogno della resistenza
di una superficie dura. Sul pavimento mi sento più a mio agio". - In quella occasione
Pollock intende esprimere in poche frasi i suoi convincimenti di pittore e lo fa in modo
piano e con estrema, succinta chiarezza. Una volta distesa la tela sul pavimento, "mi
sento più vicino, più parte del quadro, perchè, in questo modo, posso camminarci intorno,
lavorare sui quattro lati, ed essere letteralmente nel quadro. E' un metodo simile a quello
degli Indiani dell'Ovest che lavorano sulla sabbia".
Da poco più di due anni Pollock abita in una farmhouae al numero 830 di Fireplace Road,
The Springs, East Hampton, a Long Island. Dal retro, in lontananza, si scorge Accabonac
Creek, le anse azzurre delle rive verdi dell'oceano. Vi si trasferisce il 5 novembre del 1945
con Lee Krasner, dieci giorni dopo il loro matrimonio, celebrato a New York il 25 ottobre.
Peggy Guggenheim aveva fornito a Pollock i duemila dollari necessari all'acquisto e li re-
cuperava deducendo ogni trenta giorni cinquanta dollari dallo stipendio mensile che paga-
va all'artista. La casa, isolata, è sprovvista di acqua calda e di bagno, c'è una stufa a carbo-
ne e, al tempo, Pollock e Krasner non possiedono una automobile. Solo nel 1948 Pollock
acquista una Model A Ford al volante della quale, la portiera aperta, lo fotografa sul pra-
to antistante lo studio Hans Namuth. Quei freddi mesi dell'inverno sono impiegati per una
prima sistemazione della casa. In primavera, stesa sul pavimento della camera da letto,
Pollock dipinge a The Spring una prima grande tela: The Key (149,8x213,3 cm). "Mi al-
lontano sempre più dagli strumenti tradizionali del pittore come il cavalletto, la tavolozza,
i pennelli, preferisco la stecca, la spatola, il coltello e la vernice fluida che faccio sgocciola-
re, o un impasto grasso di sabbia, di vetro polverizzato e di altri materiali extra-pittorici".
Il pavimento di assi di legno dell'ambiente più ampio dello studio sul quale Pollock lavore-
rà regolarmente fino all'agosto del 1956, è quello di un'ampia stanza quadrata che misura
circa sei metri e mezzo ai lati. Pollock, ubriaco alla guida, la sera dell'11 agosto del 1956,
si schianta contro un albero della Fireplace Road, poco lontano da casa, e muore. Lee Kra-
sner resterà in quello studio fino alla sua scomparsa nel 1984. Per oltre trent'anni al pavi-
mento era stato soprammesso uno strato di masonite. Esso fu allora asportato ed il vecchio
impiantito apparve intatto, mostrando tutte le tracce delle sgocciolature, delle macchie, de-
gli schizzi debordanti oltre i perimetri delle tele volta a volta distese. Una fotografia azimu-
tale a colori di Jeff Heatley ci mostra il pavimento dello studio di Pollock Il pittore ammet-
te: "Quando sono nel mio quadro, non sono cosciente di quello che faccio". Egli cerca piut-
tosto, dice, di liberare la "vita propria" che al quadro appartiene, e dunque, dice, solo "ten-
to di lasciarla emergere". E chiarisce al proposito, in un commento al film realizzato nel
1950-51 Namuth Falkenberg che lo riprende al lavoro: "Quando dipingo, ho un'idea di in-
sieme di quello che voglio fare. Posso controllare la colata della vernice, non c'è casualità,
così come non c'è inizio nè fine". Ma aggiunge: "A volte perdo il quadro, Ma non ho pau-
ra dei cambiamenti, di distruggere l'immagine perchè, torno a ribadire, un quadro ha una
sua vita propria". La vita propria del quadro, dopo innumerevoli tentativi, dopo gli stor-
dimenti e l'energia dissipata in quel suo indursi ritmato attorno alle tele; dopo i continui
va e vieni danzati; dopo lo sporgersi e il ritrarsi sul ciglio del supporto a terra; dopo i pre-
cari equilibri su una gamba e le dolenzia al braccio che regge i barattoli e alla mano che
sparge le colature colorate, la vita propria del quadro, dicevo, eccola emersa sul pavimen-
to. Flottano i pigmenti liberi n cromaticheelle assonanze imprevedute, nelle non calcolate
dinamiche. Pollock, ora, qui, finalmente, sul pavimento, realizza, con l'opera sua, se stes-
so.
Lucianone
DI TUTTO e di PIU Ambiente / Appuntamenti / Arte / / Cibo-cucina / Commenti / Cultura / Curiosità-comicità / Dossier / Economia-Finanza / Fotografia / Inchiesta / Intervista / Istruzione / Lavoro / Lettere / Libri / Medicina / Motori / Musica / Natura / Opinione del Giovedì / Personaggi / Psicologia / Reportage / Riflessioni-Idee / Salute / Scienze / Società-Politica / Spettacoli (cinema/tv) / Sport / Stampa-giornali / Storie / Tecnologia-Internet / Ultime notizie / Viaggi
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento