24 agosto '15 - lunedì 24th August / Monday visione post - 10
(da la Repubblica - 08 /08 /'15 - LettereCommenti&Idee / di Christian Salmon)
IL LEVIATANO CHE MINACCIA L'EUROPA
La crisi greca ci costringe, ancora una volta, a rispondere a una domanda: "Qual è
la nostra idea di Europa?". Nel 1986 Milan Kundera aveva risposto così: "E' europeo
chi ha nostalgia dell'Europa". Oggi come allora sembra che l'Europa possa essere solo
un sentimento passato. Oggi come allora: Kundera pensava all'Est, noi pensiamo alla
Grecia. Nell'autunno 1956, quando l'Armata rossa entrò a Budapest, pochi minuti prima
che il suo ufficio fosse sventrato dal fuoco dell'artiglieria, il direttore dell'agenzia di
stampa ungherese inviò al mondo intero un telex disperato, che si chiudeva con le parole:
"Qui si muore per l'Ungheria e per l'Europa.". Quest'episodio dell'insurrezione magiara
mi è tornato in mente il 3 luglio scorso ad Atene, tre giorni prima del referendum greco,
nell'ufficio del direttore dell'emittente radiofonica Sto Kokkino. Ovviamente la sede della
radio non era accrechiata da carri armati (le banche hanno sostituito i blindati in quest'oc-
cupazione di nuovo genere); ma nel 2015 il suo direttore, Kostas Arvanitis, parlava lo stes-
so linguaggio del suo collega di Budapest nel 1956. Non menzionò il debito e neppure la
Troika, ma parlò dell'Europa, quella dei Lumi. E della Francia, "che è stata sempre al
nostro fianco quando lottavamo contro la dittatura". Si sentiva tradito. "Qui ad Atene
abbiamo le statue dei filosofi dell'Illuninismo, perchè è a loro che dobbiamo l'idea di uno
Stato greco indipendente. Oggi ci sentiamo abbandonati dall'Europa. Peggio ancora l'Eu-
ropa ci è diventata nemica. Sta conducendo contro di noi una guerra finanziaria che non
dice il suo nome. Con l'obiettivo di cancellarci dalla carta geografica europea. Oggi la
canzone di Gavroche risuona amaramente alle nostre orecchie". Ne mormora le parole
in greco: "Sono cascato a terra, la colpa è di Voltaire, il naso nel rigagnolo, la colpa è
di Rousseau...".
Tornato a Parigi, mi sono rammentato di aver letto l'episodio del direttore dell'agenzia
di stampa ungherese in un articolo di Milan Kundera, pubblicato nel 1983 dalla rivista
Débat. In quello scritto, intitolato "Un Occident Kidnappé, ou la tragédie de l'Europe
Centrale" (Un Occidente sotto sequestro, o la tragedia dell'Europa centrale), Kundera
insorgeva contro la divisione artificiale che aveva tagliato in due l'Europa deportando
all'Est il mosaico delle piccole nazioni centro-europee, situate geograficamente al centro,
culturalmente in Occidente e politicamente ad Est - col risultato di proiettarle fuori dalla
loro propria storia. Una piccola nazione - scriveva Kundera - è una realtà la cui esisten-
za può essere messa in discussione in qualsiasi momento, che può scomparire, e chi mai
lo sa. Ciò che queste piccole nazioni avevano in comune non era nè una lingua, nè un pa-
trimonio culturale, ma l'esperienza della loro debolezza, di fronte ai grandi imperi che le
circondano. Non un'identità comune, ma esperienze consimili di un'esistenza fragile e
problematica. Esperienze che si riflettono nella pittura, nella musica, nei romanzi centro-
europei. Di fatto, le piccole nazioni confrontate con i grandi imperi sono costrette più
delle altre a porsi il problema della loro esperienza collettiva. Perciò la questione della
sovranità dello Stato, del rapporto con l'Altro, della lingua, della storia - tutte le grandi
questioni filosofiche del XX° secolo esaminate dalla psicanalisi, dalla linguistica, dai ro-
manzi di Musil, di Broch o di Kafka trovano qui il loro terreno d'elezione.
Nel prisma centroeuropeo, l'Europa appariva così non come un impero continentale in
via di consolidamento e di unificazione, e neppure come una struttura federale chiama-
ta ad assorbire progressivamente gli Stati che la compongono, ma come una zona
sismica ove si scontrano due modi di "fare Europa":
Continua... to be continued...
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