2 gennaio '15 - venerdì 2nd January / Friday visione post - 10
L' AMERICA di Obama
Le speranze della scrittrice afro-americana Toni Morrison (Nobel nel 1993 per la letteratura)
"Molti poliziotti temono i neri e allo stesso tempo li vedono
come un facile bersaglio. Le nuove generazioni però sono
diverse. Le proteste diffuse lo dimostrano"
(da 'la Repubblica' - 27 dicembre 2014 / Le idee)
Newdi Toni Morrison
Viviamo tempi non facili. Quindio cercherò di darvi semplicemente il mio punto di vista su quello
che è lo stato delle cose, oggi, qui negli Stati Uniti.
E voglio partire da questo: l'America è un paese inondato di armi. Dove bambini di appena 9 anni
vengono portati nei parchi giochi a sparare con armi vere per divertimento; dove le cosiddette leggi
"stand your ground for self-defense" (che consentono a una persona armata di sparare a un presunto
aggressore in base alla mera percezione di pericolo per la sua incolumità) permettono a chiunque di
uccidere chi si trovi nella sua proprietà; dove le leggi dette "open carry" permettono ai cittadini in mol-
ti Stati di portare armi nei locali pubblici: ristoranti, teatri, perfino campus universitari. Sensa dimenti-
care poi che la National Rifle Association e i produttori di armi sostengono economicamente molti
politici. In una cultura delle armi e del grilletto facile come questa, quindi, il razzismo violento è un'ov-
via conseguenza.
Al razzismo si associa la paura: molti poliziotti (non la maggioranza, ma molti) hanno paura. Temono
i neri e allo stesso tempo li vedono quindi come un facile bersaglio, sia per mancanza di formazione
professionale sia perchè sono profondamente razzisti. La situazione è aggravata dalle scelte di certi
media che qui in America amano le storie di violenza, soprattutto quando si tratta di persone di colo-
re. A riprova di questo voglio fare un esempio, ricordando che non vi fu alcuna levata di scudi quan-
do qualche mese fa alcuni bianchi minacciarono di uccidere la polizia al Bundy Ranch. Cliven Bundy,
il proprietario del ranch, era un bianco che rifiutava di pagare le tasse e aveva sollevato una protesta
armata, minacciando la secessione e la rivolta contro gli Stati Uniti. Fino a quando il governo, che in
questa occasione non sparò neanche un lacrimogeno, si ritirò dal terreno conteso. In quell'occasione
chi aveva sparato contro la polizia non è stato nemmeno arrestato. E potrei fare un numero impressio-
nante di esempi discriminatori di questo tipo.
Il vero nodo di tutta la questione rimane sempre lo stesso: il facile profitto che si trae dal razzismo.
E' stato una fonte di guadagno fin dalle sue origini: con lo sfruttamento gratuito e permanente degli
schiavi; con le leggi sul "vagabondaggio", che permettevano la cattura di qualsiasi persona di colore
fuori dalla sua casa per costringerla ai lavori forzati; riempiendo a proprio vantaggio le prigioni a ge-
stione privata incarcerando giovani neri per reati per i quali nessun bianco andrebbe mai in galera;
con la repressione degli elettori nelle comunità dove i neri sono in maggioranza. Senza dimenticare
il deliberato incitamento al razzismo da parte dei ricchi, così che i bianchi poveri si possano sentire
superiori agli altri e non pensino a rivolgere la loro rabbia contro la classe che li sfrutta e li inganna.
In questi tempi cattivi, alcuni vorrebbero che il presidente Obama facesse di più. Ma io non credo
che il presidente avrebbe dovuto "fare di più". Che cosa poi? Barack O bama è il presidente di tut-
ti, non il presidente dei neri. Non dimentichiamo che sua madre e chi lo ha cresciuto erano bianchi.
Spesso i giudizi e le reazioni politiche sono il frutto della piaggeria e del desiderio di apparire in tv,
per mostrare quanto "si conta": è il caso dell'ex sindaco Giuliani, che ora si mostra come il protetto-
re dei poliziotti, ma che a suo tempo è stato odiato da loro come tutti i sindaci di New York, com-
preso l'attualew sindaco de Blasio, che oggi i sindacati di polizia accusano, a torto, di avere "le mani
sporche di sangue".
Nonostante tutto, comunque, la mia speranza è più forte che mai, grazie alle nuove generazioni. Ho
assistito a grandi cambiamenti negli anni in cui ho insegnato a Princeton: ho visto adolescenti e ven-
tenni, sconvolti e disgustati dal razzismo sfacciato. Vedo che nelle manifestazioni che si svolgono
spontaneamente in tutto il Paese ci sono tantissimi giovani: neri, bianchi, ispanici. Non bisogna cre-
dere ai media che mostrano proteste violente: la maggior parte di esse non lo è; i manifestanti sono
pacifici, sono le loro richieste a essere forti e decise. Naturalmente, ci sono gli outsider che si insi-
nuano nelle manifestazioni e accendono focolai di violenza; ma questo è sempre successo.
Dall'altra parte vediamo proteste diverse: come quella di medici, infermieri e tirocinanti che in di-
versi ospedali d'America si sono sdraiati in massa per terra nei loro camici bianchi per quello che
viene chiamato un "die-in", una protesta pacifica in cui ci si finge morti per denunciare il fatto che
la polizia non viene mai chiamata a prendersi la responsabilità delle proprie azioni. E' questo il te-
nore della maggior parte delle manifestazioni: ma la stampa tende a ignorarlo.
Davanti a tanta partecipazione, quella di migliaia di americani ovunque e senza distinzioni di classe,
sono fiduciosa e ottimista. E nutro l'incrollabile speranza che le cose cambieranno in meglio. con il
tempo e con le generazioni che verranno. Ne sono sicura.
(Testo raccolto da Anna Lombardi. Traduzione di Anna Pastore)
Lucianone.
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