Norvegia: il paese dove ognuno nasce
super milionario / Come e perchè?
Da vent'anni Oslo deposita i profitti dei pozzi petroliferi
nel Mare del Nord in un fondo sovrano / La parte intitolata
a ogni cittadino oggi ammonta a 1.040.000 in corone, ossia
118 milioni di euro.
(da la Repubblica - 10 /01/ '14 - IL CASO - di Ettore Livini)
Benvenuti nel paese dei Signor Bonaventura. Il petrolio e il boom delle Borse hanno
fatto il miracolo: il valore del fondo sovrano di Oslo, il maxi-salvadanaio dove la Nor-
vegia deposita da vent'anni i profitti garantiti dai pozzi nel Mare del Nord, è arrivato
a Natale a 5,11 trilioni di corone, 608 miliardi di euro. E i 5,09 milioni di abitanti del-
la nazione vichinga si sono ritrovati improvvisamente tutti milionari.
Ogni norvegese - vecchi e bambibi compresi - ha in tasca oggi 1.040.000 corone del
Norway Global Fund, qualcosa come 118mila euro. Si tratta, intendiamoci, di soldi
virtuali, visto che nessuno può svegliarsi la mattina e andare a ritirare quei quattrini
come al Bancomat. Ma proprio per questo valgono forse ancora di più: il tesoretto
di Oslo è (e verrà) utilizzato dallo Stato per continuare a garantire il generosissimo
welfare nazionale e per ammortizzare contraccolpi sull'economia nazionale nel caso
(da quelle parti incrociano tutti le dita) il greggio passi di moda.
La storia, a modo suo, e un déjà vu: gli idrocarburi hanno cambiato il destino di tanti
paesi. Ma mentre nel Golfo Persico e dintorni i petrodollari sono stati un affare per
pochi emiri, ai 71 gradi latitudine Nord della democraticissima Norvegia, la pioggia
di profitti garantiti dalla Bonanza dell'oro nero è finita (per legge) nelle tasche di tut-
ti. - I Paperoni artici hanno iniziato a costruire la loro fortuna a cavallo tra gli anni
'70-'80, quando due choc petroliferi consecutivi hanno spinto le quotazioni alle stelle
e le trivelle delle sette sorelle a cercare pozzi più sicuri nei fondali del Mare del Nord.
La caccia al tesoro è andata bene: le acque territoriali di Oslo si sono rivelate il
Golfo Persico d'Europa e nelle casse dello Stato hanno iniziato a piovere fiumi di
royalty, dividendi e diritti esplorativi. Che farne? Pe un pò di anni - un milione al-
la volta - la Norvegia ha utilizzato questa ricchezza piovuta dal mare per gettare
le basi di quello stato sociale che ne fa oggi la seconda nazione più felice del
mondo e la prima per indice di sviluppo. Nel 1990 la svolta: il petrolio, contraria-
mente ai diamanti - non è per sempre, si sono detti i politici nazionali. E per evi-
tare la fine della Cicala di Esopo, hanno deciso di mettere un pò di soldi da parte
in vista dei periodi di vacche magre, istituendo il super-fondo nazionale.
Il suo funzionamento è uguale a quello, vecchio come il mondo, del salvadanaio.
Oslo versa tutte le entrate garantite dagli idrocarburi - le license d'esplorazione
e i dividendi di Statoil, l'Eni norvegese - sul conto corrente del Norway Global
fund. I soldi vengono investiti in azioni e titoli di stato stranieri per non surri-
scaldare il listino locale e il governo utilzza i profitti - fino a un tetto massimo
del 4% del valore del patrimonio - per tappare i buchi aperti nel bilancio pub-
co dal sistema di welfare più generoso al mondo. Siamo a livelli da Bengodi:
Oslo garantisce il dentista gratuito per tutti i suoi cittadini fino a 19 anni, forni-
sce il riscaldamento per le stalle oltre il Circolo polare e garantisce un congruo
sussidio di disoccupazione che ha convinto un adulto su 5 a vivere a spese del-
lo Stato senza lavorare, con un tasso di senza lavoro fermo lo stesso attorno
al 3%.
Le cose, fino ad oggi, sono andate benissimo. Il petrolio, tra alti e bassi, non
ha mai smesso di foraggiare le casse del Tesoro. Il Pil procapite nel paese
ei milionari è arrivato a 80mila euro circa l'anno. E nessuno ha mai dovuto
mettere mano al martello per rompere il super-salvadanaio. Risultato: oggi
la richhezza del fondo - complice il buon momento delle borse - è andata alle
stelle. Oggi il Norway Global è il primo investitore al mondo e controlla l'1%
delle Borse globali. Il suo problema, oltyre che far soldi, è dove metterli: ora
il 63% è in azioni e il 35% in bond, tra cui 3,5 miliardi di titoli italiani.
Negli ultimi anni il Governo norvegese ha prima autorizzato il suo sbarco nei
paesi emergenti, po gli acquisti di immobili (si è appena comprato per la mo-
dica cifra di 684 milioni il 45% della torre di Times Square a New York).
E ora, a caccia di rendimenti, potrebbe dare l'ok al suo ingresso diretto in
opere infrastrutturali.
Il bello è che troppa ricchezza, alla fine, ha finito per mettere in difficoltà per-
sino la Norvegia dei milionari.. I prezzi delle case - al netto di una timida fre-
nata negli ultimi mesi - è raddoppiato in 10 anni. La crisi dell'euro ha spedito
per diverso tempo la corona alle stelle penalizzando le esportazioni e i tassi
bassi hanno fatto volare al 200% del reddito disponibile l'indebitamento dei
privati. Il nuovo governo conservatore eletto qualche mese fa è stato così co-
stretto (beati loro) a fare i conti con gli eccessi di successo del modello norve-
gese, provando a frenare il costo della vita. Qualcuno - davanti a un pil che
crescerà solo del 2,2% nel 2014 dopo la media del 6% registrata per quasi
un ventennio dal 1993 - ha iniziato persino a ventilare l'ipotesi di ridurre i
benefit dello stato sociale. I norvegesi per ora non si preoccupano. Mal che
vada hanno in tasca una certezza: un milione a testa.
Lucianone
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