lunedì 25 marzo 2013

Economia italiana (per capire) - La crescita perduta

25 marzo '13 - lunedì            25th March / Monday                  visioni post - 15

Per capire meglio alcuni aspetti economici riguardanti l'Italia e le
altre nazioni, soprattutto dell'Eurozona, comincio a dare notizie
ricavate, per lo più, da lunghi articoli  del giornalista-economista
Alessandro Penati (cui seguiranno altri noti e meno noti) così da
avere un quadro più allargato-approfondito sull'argomento.
(Lucianone)

(da la Repubblica - 6 dicembre 2012  -  Alessandro Penati)
Mercato
Bill Gates, Carlos Slim e la crescita perduta
Da 15 anni la crescita italiana  non tiene il passa  con  l'Europa
del "nord" e gli altri paesi industrializzati: il divario di reddito si
allarga e il debito pubblico diventa meno sostenibile. Da almeno
60 siamo alle prese con la questione meridionale. Questi i grandi
problemi del paese.    
Che cosa ci sia all'origine della differente prosperità economica
di nazioni o regioni, e che cosa determini la loro capacità di cre-
scere , è l'argomento del libro 'Why Nations Fail'  (D. Acemoglu
e J. Robinson): un'analisi che mette in luce elementi rilevanti per
per l'Italia di oggi.
La spiegazione "geografica" (clima, risorse naturali) e  quella  "sociologica" 
(credo religioso, cultura, struttura familiare) sono state contraddette dall'evi-
denza empirica. La spiegazione più frequente è la "miopia": la scarsa crescita
è frutto di politiche economiche errate, prodotto della "miopia" di una classe
dirigente.  Basterebbe dunque una élite illuminata che attui le politiche giu-
ste. Ed è la convinzione prevalente in Italia: la ricetta per la crescita è nota,
ma  è compito  di  una nuova élite (governo tecnico, Bce, Ue, concertazione
sindacati- impree, eccetera) metterla in atto.    Questo libro documenta che
non è così.
Le istituzioni economiche determinano gli incentivi all'istruzione, al risparmio,
all'investimento, all'innovazione, all'adozione di nuove tecnologie. In definitiva
la capacità di crescita.  Le istituzioni economiche sono quindi cruciali; ma è il
processo politico  che  determina le istituzioni economiche e sono le istituzioni
politiche che determinano il funzionamento di questo processo.
La crescita dipende quindi da quanto l'agenda della politica e delle istituzioni
è dettata dagli interessi della classe dirigente, piuttosto che dei cittadini.
La crescita sarà minore  dove un'élite radicata  privilegia le politiche che conso-
lidano il suo potere. Crescita economica, infatti, significa rimpiazzare il vecchio
col nuovo, adattandosi rapidamente a nuove tecnologie e cambiamenti, spostan-
do capitale e lavoro verso i settori più produttivi: la celebre "distruzione creativa",
che però destabilizza relazioni  e  posizioni consolidate, alterando potere politico
ed economico. - Una classe dirigente difficilmente si darà da fare per indebolirsi
con le proprie mani.
Nogales, Arizona, ha un reddito pro capite triplo di Sonora, Messico; ha scuole e 
strade migliori, meno corruzione e criminalità. Eppure, solo una barriera di confi-
ne separa le due città. La spiegazione sta nella storia di due tra i più ricchi uomini
al mondo: l'americano Bill Gates e il messicano Carlos Slim. Il primo ha costruito
la sua fortuna creando Microsoft: il sistema educativo  gli ha dato l'istruzione ap-
propriata; le istituzioni economiche  gli hanno permesso  di creare una nuova im-
presa e fornito i finanziamenti; il mercato del lavoro di assumere personale quali-
ficato; un mercato aperto di vendere i suoi prodotti ed espandersi. Le stesse istitu-
zioni, a garanzia dell'interesse collettivo, hanno però controllato che non abusas-
se del potere monopolistico.
Carlos Slim, invece, ha costruito la sua di fortuna conquistando il monopolio della
telefonia dalla privatizzazione di Telemex, pur non essendo il miglior offerente, con
risorse  ottenute  a debito; e preservandolo, sei anni dopo, vincendo contro l'accusa
di monopolio dell'Antitrust messicano. In un paese dove dominano le relazioni e la 
corruzione della classe politica. Questo dovrebbe ricordarci qualcosa.
Per crescere e ridurre le disparità regionali non basta enunciare e promettere riforme
economiche. Ci vuole una critical juncture, ovvero un evento critico che rompa l'equi-
librio delle istituzioni politiche, e quindi economiche, della società.
Oggi, non mi illuderei che governo tecnico, riforma elettorale, movimentismo, federa-
lismo, fiscal and growth compact possano rappresentare uno di questi snodi cruciali.
La nostra juncture critica poteva essere l'apertura ai capitali e alla concorrenza inter-
nazionali a seguito della crisi del 1993 e del'ingresso nell'Euro: avrebbero potuto spaz-
zare relazioni  e  rendite, disintermediare il sistema bancario, e imporre al Paese rifor-
me e liberalizzazioni.     Un'occasione perduta perchè le nostre élite si sono arroccate
con successo: con il nobile pretesto di tutelare la stabilità del sistema finanziario, del-
l'interesse nazionale e dell'occupazione.

  
La vignetta di Altan

Lucianone

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