In vista delle elezioni di novembre, il 6 per l'esattezza, che si
terranno negli Usa per eleggere il Presidente americano che
si insedierà alla Casa Bianca, nella capitale Washington DC,
raccoglierò del materiale che riverserò in parte sul mio blog,
per capire un pò meglio l'evoluzione di questa America ancora
in crisi e che tenterà, con il nuovo Presidente, di uscirne alme-
no in parte.
Inizio con un articolo del famoso economista Stiglitz.
- Lucianone -
"L' occasione mancata di Romney"
(da 'la Repubblica' - giovedì 6 settembre 2012)
di Joseph E. Stiglitz
Nella campagna elettorale per la presidenza americana, le tasse sul reddito di
Mitt Romney sono diventate una questione di grande rilevanza. Si tratta di una
delle meschinità della politica o di qualcosa di veramente importante? In realtà,
la faccenda è molto importante, e non soltanto per gli americani.
Tra i temi al centro del dibattito politico in corso negli Stati Uniti ci sono il ruolo
dello Stato l'esigenza di un'azione collettiva. In un'economia moderna il settore
privato, ancorchè indispensabile, da solo non può garantirne il successo. La crisi
finanziaria iniziata nel 2008, per esempio, ha dimostrato quanto sia indispensabi-
le una regolamentazione adeguata. Oltre che su una regolamentazione efficiente
(che miri tra le altre cose a garantire un'equa compagine per la concorrenza) , le
economie si basano sull'innovazione tecnologica, che a sua volta presuppone una
ricerca di base finanziata dal governo. Ecco: questo è un esempio di bene pubblico,
ciò di cui tutti noi beneficiamo, ma che si rivelerebbe inadeguato (o verrebbe meno
del tutto) qualora dovessimo dipendere dal settore privato.
I politici conservatori statunitensi sottovalutano l'importanza di un'istruzione pub-
blica, fornita dallo stato, come pure della tecnologia e di infrastrutture pubbliche.
Le economie nelle quali è il governo ad assicurare questi beni pubblici hanno un
trend di gran lunga migliore di quelle dove ciò non accade. - I beni pubblici, però,
implicano una spesa d è imperativo che ciascuno paghi la propria giusta parte. Se
anche esistono divergenze in merito a ciò che comporta pagare la propria parte, è
fuor di dubbio che, se coloro che si trovano al vertice della piramide contributiva
versnao il 15 per cento del loro reddito dichiarato (è difficile che i capitali ammas-
sati in paradisi fiscali come le isole Cayman siano notificati alle autorità statuni-
tensi), di fatto non stanno pagando la loro giusta parte.
cerchia dei loro intimi non pagano la loro giusta parte di tasse, come si può
pensare che lo facciano tutti? E nel caso in cui non lo facesse nessuno, come
si può sperare di finanziare i beni pubblici dei quali abbiamo bisogno?
Nel pagamento delle tasse, le democrazie fanno affidamento sulla fiducia e
sullo spirito di collaborazione. Se ogni singolo individuo dedicasse la stessa
energia e le stesse risorse dei più abbienti a cercare di evitare il pagamento
della propria giusta parte di tasse, il sistema fiscale crollerebbe o dovrebbe
essere rimpiazzato da uno schema di contribuzione molto più invadente e
coercitivo. Entrambe queste alternative sono però spiacevoli.
Più in generale, un'economia di mercato non potrebbe funzionare se ogni
convenzione dovesse essere fatta rispettare con un'azione legale. La fiducia
e lo spirito di collaborazione, invece, sono in grado di sopravvivere soltanto
a patto che prevalga il concetto che tale sistema è equo. Una ricerca di recen-
te ha indicato che credere che il sistema economico sia iniquo nuoce sia alla
collaborazione sia ai sacrifici. Malgrado ciò, sempre più americani stanno
giungendo alla conclusione che il loro sistema economico sia davvero iniquo;
e il sistema fiscale è emblematico di questa crescente percezione di ingiustizia.
L'investitore miliardario Warren Buffett sostiene di dover pagare soltanto le
tasse dovute, ma afferma che c'è qualcosa di essenzialmente sbagliato in un
sistema che tassa il suo reddito con un'aliquota inferiore rispetto a quella che
la sua stessa segretaria è tenuta a pagare. E ha ragione.
Romney potrebbe essere perdonato, qualora sposasse questa stessa opinione.
Anzi, la situazione potrebbe addirittura ribaltarsi e trasformarsi in una sor-
ta di svolta "Nixon-in-Cina": un agiato politico ai vertici del potere che
caldeggia un maggiore prelievo fiscale per i più ricchi potrebbe anche cam-
biare il corso della storia. - Ma Romney ha scelto di non comportarsi così.
Evidentemente, Romney non riconosce che un sistema che tassa più il la-
voro della speculazione possa distorcere l'economia. In realtà, una buona
parte dei soldi che affluiscono nelle casse dei cittadini più facoltosi è co-
stituita da quelle che gli economisti chiamano rendite, che non derivano
dall'aver ampliato le dimensioni della "torta economica", bensì dalla ca-
pacità di arraffare la fetta più grossa della torta che già c'è.
Tra coloro che sono al top oggi c'è un numero abnorme di monopolisti che
accrescono il proprio reddito riducendo la produzione e dedicandosi a pra-
tiche anticompetitive; amministratori delegati che approfittano delle lacu-
ne normative previste per la 'governance' aziendale per appropriarsi della
maggior parte degli utili aziendali, lasciandone ai lavoratori soltanto una
minima parte; e banchieri che si sono impegnati nel prestito predatorio e
in pratiche sleali conle carte di credito, prendendo spesso di mira i nuclei
familiari indigenti o del ceto medio. - Non è un caso, forse, se la frenesia
per le rendite e l'ineguaglianza sono aumentate nel momento stesso in cui
le aliquote più alte dei prelievi fiscali scendevano, le normative erano
svuotate di contenuto e le regole esistenti erano applicate con minore de-
terminazione: sono aumentati l'opportunità e gli introiti derivanti dalla
ricerca di rendita.
Oggi quasi tutti i Paesi avanzati sono afflitti dalla carenza di domanda
aggregata, che innesca una disoccupazione maggiore, salati più bassi,
più gravi ineguaglianze e, a chiusura del circolo vizioso, una contrazio-
ne dei consumi. - Ormai, si ammette comunemente l'esistenza di un
rapporto tra ineguaglianza da un lato e instabilità e debolezza dell'eco-
nomia dall'altro.
Esiste però anche un altro circolo vizioso: l'ineguaglianza economica si
traduce in ineguaglianza politica, che a sua volta va a rafforzare la prima,
anche grazie a un sistema fiscale che consente a individui come Romney -
che sostiene di essere stato soggetto negli ultimi 10 anni a un'aliquota di
prelievo fiscale di "almeno" il 13 per cento - di non pagare la loro giusta
parte. L'ineguaglianza economica che ne deriva - frutto tanto della politi-
ca quanto delle forze di mercato - contribyuisce all'odierna debolezza eco-
nomica complessiva.
Può anche darsi che Romney non sia un evasore fiscale: soltanto un'appro-
fondita inchiesta del fisco degli Stati Uniti ( US Internal Revenue Service)
potrebbe accertarlo. Tenendo conto però che negli Usa l'aliquota fiscale
marginale sul reddito è del 35 per cento, Romney di sicuro è un elusore fi-
scale su grande scala. E, naturalmente il problema non è solo Romney: è
chiaro che il livello col quale egli elude le tasse rende difficile finanziare
quei beni pubblici senza i quali un'economia moderna non può prospera-
re. - Ancora più cruciale, però, è che un'elusione fiscale della portata di
quella di Romney mina la fiducia nella indispensabile equità del sistema.
E di conseguenza indebolisce i legami che mantengono coesa una società.
(traduzione di Anna Bissanti - Project Syndicate, 2012)
Lucianone
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