(da la Repubblica - 29 febbraio 2020 - I partiti e il virus / di Roberto Esposito)
Quando si è cominciato a parlare di "biopolitica" la novità è stata accolta con qualche scetticismo.
E' sembrata una nozione scarsamente verificabile nella realtà. Poi la situazione è cambiata rapida-
mente. I riscontri si sono fatti sempre più fitti, fino a diventare impressionanti.
Dalle procedure biotecnologiche, volte a modificare eventi prima considerati naturali, al terrorismo
suicida, fino alla più recente crisi immigratoria, questioni di vita e di morte si sono installate al cen-
tro delle agende e dei conflitti politici. - Finchè l'esplosione del coronavirus, con le conseguenze
politiche che ne sono scaturite, ha portato al culmine la relazione diretta tra vita biologica e inter-
venti politici. Tre sono stati i passaggi fondamentali. Il primo è lo spostamento dell'obiettivo po-
litico dai singoli individui a determinati segmenti di popolazione. A essere interessate da pratiche profilattiche, allo stesso tempo protette e tenute a distanza, sono intere fasce di popolazione, con-
siderate a rischio, ma anche portatrici di rischio contagio. Ciò è anche l'esito della vera e propria
sindrome immunitaria che da tempo caratterizza il nuovo regime biopolitico. Quello che si teme,
più ancora del male in sè, è la sua circolazione incontrollata in un corpo sociale esposto a pro-
cessi di contaminazione generalizzati. Naturalmente le dinamiche di globalizzazione hanno po-
tenziato tale timore in un mondo che sembra aver smarrito ogni confine interno. Il violento con-
trasto all'immigrazione da parte dei partiti sovranisti, più che come una prosecuzione del vecchio
nazionalismo, va interpretato in questa chiave immunitaria. Il secondo passaggio della dinamica
biopolitica in corso ha a che fare con il doppio processo di medicalizzazione ella politica e di po-
liticizzazione della medicina. anche in questo caso si tratta di una trasformazione che risale alla
nascita della medicina sociale. Ma l'accelerazione in corso sembra oltrepassare la soglia di guar-
dia.
Da un lato la politica, sbiadite le proprie coordinate ideologiche, ha accentuato sempre più un
carattere protettivo nei confronti di rischi reali e immaginari, inseguendo paure che spesso es-
sa stessa produce. Dall'altro la pratica medica, pur nella sua autonomia scientifica, non può
non tenere conto delle condizioni contestuali all'interno delle quali opera. Per esempio delle
conseguenze economiche e politiche che i provvedimenti suggeriti determinano. Ciò spiega
in qualche modo la sorprendente diversità di opinioni tra i maggiori virologi italiani in ordi-
ne alla natura e ai possibili esiti del coronavirus. Il terzo sintomo. forse ancora più inquie-
tante, dell'intreccio tra politica e vita bioloica è costituito dallo spostamento dalle procedure
democratiche ordinarie verso disposizioni di carattere emergenziale. Anche la decretazione
di urgenza ha una lunga storia. Alla sua base vi è l'idea che in condizioni di rischio elevato,
più che la volontà del legislatore, valga lo stato di necessità.
Se, ad esempio, un terremoto devasta un territorio si determina uno stato di urgenze che può
facilmente scivolare in stato di eccezione. E' quanto sta avvenendo in questi giorni, con i prov-vedimenti varati da un lato dal governo centrale e dall'altro dalle Regioni, con il rischio di una
indebita sovrapposizione tra i due poteri. Tale spinta verso lo stato di eccezione è tanto più in- quietante perchè tende a omologare le procedure politiche degli Stati democratici a quelle di
Stati autoritari come la Cina. Con l'avvertenza che, su questo terreno, gli Stati autoritari, per
la natura stessa del loro tipo di potere, saranno sempre più avanti di quelli democratici.
Lucianone
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