VENEZIA - La vittima italiana del Bataclan / la ricercatrice veneziana morta a Parigi
L'ultimo saluto a Valeria
Per il secondo giorno Venezia si è stretta attorno a sua figlia, Valeria Solesin, morta in seguito all’attacco terroristico dell’Isis al Bataclan di Parigi. Oltre al premier e a moltissima gente comune, alle 16.20 è arrivata anche la presidente della Camera Laura Boldrini: «Ho parlato con i genitori di Valeria - ha detto -, vorrei che la loro figlia diventasse un riferimento per tutte quelle giovani donne che non hanno ancora trovato la loro strada».
Renzi a Venezia: «Grazie Valeria»
Funerali, il papà: sì a patriarca e imam
Il premier si è intrattenuto con i familiari per una decina di minuti. Nel pomeriggio la presidente della Camera Boldrini. Tutto pronto per l’ultimo saluto a San Marco
Martedì in piazza San Marco la cerimonia civile per la 28enne uccisa negli attacchi di Parigi.
PARIGI - La ragazza italiana miracolata
Barbara Serpentini: " Viva per miracolo" / Negli attacchi di Parigi il mitra del terrorista Salah
(ricercato) s'inceppa.
PARIGI - La ragazza italiana miracolata
Barbara Serpentini: " Viva per miracolo" / Negli attacchi di Parigi il mitra del terrorista Salah
(ricercato) s'inceppa.
La studentessa italiana di Scienze Politiche, 18 anni, nel caffè «Casa Nostra» con l’amica Sophie: «Non riesco a credere di essere io la ragazza del video. A ogni colpo abbiamo pensato di morire".
Barbara Serpentini, 18 anni, è la ragazza scampata per miracolo alla sparatoria avvenuta nel caffè «Casa Nostra» di Parigi la sera dello scorso 13 novembre. È proprio Barbara la ragazza che si vede nel video diffuso dal quotidiano Daily Mail .Le telecamere del locale mostravano una giovane che si precipitava sotto i tavolini mentre uno dei terroristi, si presume Salah, apriva il fuoco con un Ak47 sulla folla. Fortunatamente il mitra si è inceppata proprio quando l’uomo lo puntava contro di lei, prima di fuggire. In primo piano c’è l’interno del caffè e gli spari arrivano da fuori. Evidenti sono tuttavia la sorpresa, lo spavento e l’orrore delle persone prese di mira. Ma anche le reazioni istintive che permettono di scampare al tiro a segno. Una donna si butta per terra in un angolo, una cameriera si accuccia sotto il bancone del bar e poi aiuta a sistemarsi vicino a lei, quasi abbracciandola, una donna più anziana, che la raggiunge dopo essersi alzata precipitosamente da un tavolino. Le raffiche continuano, poi improvvisamente diminuiscono. Un terrorista si ferma. «Ho aperto gli occhi e ho visto i suoi piedi. Aveva le scarpe da ginnastica nere, è stato davanti a me per un tempo che mi è sembrato un’infinità. Non volevo che i nostri occhi si incrociassero e mi sono messa nuovamente le mani sul viso. Le scarpe erano a 20 centimetri da me», ha raccontato Barbara. «So che sembra assurdo, ma ancora non riesco a identificarmi nella donna del video. È come se mi vedessi dall’esterno: non riesco a credere di essere io». Lì per lì Barbara non ha realizzato quanto è stata fortunata.
SIRIA - Raqqa
La nostra vita di spose dell'Isis
Portavano il bikini, andavano all’università. Poi sono diventate poliziotte del Califfato. Tre siriane si raccontano al «New York Times».
Raqqa, 2012. Dua, Aws e Asma «appartenevano a una generazione di donne siriane che godeva di un’indipendenza assai superiore al passato. Si mischiavano liberamente ai ragazzi, socializzavano e studiavano in una città caratterizzata da diversità religiosa e da costumi piuttosto aperti. Molte donne si vestivano con abiti sportivi, lasciando scoperte le ginocchia e le braccia d’estate, e truccandosi. E anche se alcune abitanti più conservatrici di Raqqa indossavano l’abaya e il velo, un numero crescente frequentava l’università, sposandosi sempre più tardi. La maggior parte delle coppie sceglieva liberamente il partner».
La citta siriana di Raqqa non è sempre stata la capitale del Califfato, un luogo dove le donne sono obbligate a indossare veli tripli - pena le frustate delle poliziotte della brigata Al Khansaa -, dove si può uscire di casa solo se accompagnate da un parente maschio e dove chi non rispetta la sharia rischia decapitazioni e lapidazioni. Un confronto illuminante tra il presente e il passato emerge da un articolo pubblicato sul New York Times dalla giornalista Azadeh Moaveni, basato sulle interviste con tre ventenni siriane scappate in Turchia. Non è il primo articolo che racconta la situazione delle donne a Raqqa. «Ma sentivo che ci fosse il bisogno di una narrazione più sobria, meno sensazionalistica. A mio parere, finora la maggior parte degli articoli sulla brigata Al Khansaa sono stati privi di contesto», dice al Corriere la reporter irano-americana, ex inviata di «Time» a Teheran e nota per il libro «Lipstick Jihad». «Non emergeva la società siriana, non veniva raccontata questa generazione di donne, che non erano islamiste intransigenti eppure si sono unite a una milizia. Ma allora qual era la loro motivazione?».
Il passato e il presente di Raqqa sono divisi da pochi anni. Dal 2014, quando l’Isis - o come la chiamano gli abitanti «Tanzeem», l’organizzazione - ha preso il controllo della città (e in parte già nel 2013, sotto il dominio dei qaedisti di Al Nusra), la vita è cambiata del tutto. Le cugine Aws e Dua, 25 e 2o anni, l’una studentessa di Letteratura di famiglia borghese e l’altra più povera con il papà contadino, erano accomunate dall’amore per il cinema - la prima Hollywood, l’altra Bollywood - e le passeggiate. La terza ventenne, Asma, studiava Economia, andava in spiaggia in bikini, aveva lasciato un fidanzato che voleva farle portare il velo. Ma nel 2014, pur non aderendo all’ideologia dell’Isis, Dua e Aws hanno sposato due miliziani - la prima costretta dai genitori, la seconda per romanticismo («Aveva visto troppi film con Di Caprio»). Era un modo per tutelare le proprie famiglie e c’erano vantaggi nell’avere un marito «foreign fighter» (salario, appartamento con cucina europea). Si erano perfino innamorate, anche se costrette a usare i contraccettivi perché i loro sposi erano destinati a diventare dei kamikaze, e la prole li avrebbe resi più restii al sacrificio. Tutte e tre si sono unite alla Brigata Al Khansaa, l’unità di polizia femminile, creata per far rispettare le norme della sharia. «Venti frustate per il velo troppo aderente, cinque per il trucco, altre cinque per chi non era docile una volta arrestata».
(di Viviana Mazza, da www.corriere.it)
BELGIO - Bruxelles
Bruxelles è una città deserta e blindata
La nostra vita di spose dell'Isis
Portavano il bikini, andavano all’università. Poi sono diventate poliziotte del Califfato. Tre siriane si raccontano al «New York Times».
Raqqa, 2012. Dua, Aws e Asma «appartenevano a una generazione di donne siriane che godeva di un’indipendenza assai superiore al passato. Si mischiavano liberamente ai ragazzi, socializzavano e studiavano in una città caratterizzata da diversità religiosa e da costumi piuttosto aperti. Molte donne si vestivano con abiti sportivi, lasciando scoperte le ginocchia e le braccia d’estate, e truccandosi. E anche se alcune abitanti più conservatrici di Raqqa indossavano l’abaya e il velo, un numero crescente frequentava l’università, sposandosi sempre più tardi. La maggior parte delle coppie sceglieva liberamente il partner».
La citta siriana di Raqqa non è sempre stata la capitale del Califfato, un luogo dove le donne sono obbligate a indossare veli tripli - pena le frustate delle poliziotte della brigata Al Khansaa -, dove si può uscire di casa solo se accompagnate da un parente maschio e dove chi non rispetta la sharia rischia decapitazioni e lapidazioni. Un confronto illuminante tra il presente e il passato emerge da un articolo pubblicato sul New York Times dalla giornalista Azadeh Moaveni, basato sulle interviste con tre ventenni siriane scappate in Turchia. Non è il primo articolo che racconta la situazione delle donne a Raqqa. «Ma sentivo che ci fosse il bisogno di una narrazione più sobria, meno sensazionalistica. A mio parere, finora la maggior parte degli articoli sulla brigata Al Khansaa sono stati privi di contesto», dice al Corriere la reporter irano-americana, ex inviata di «Time» a Teheran e nota per il libro «Lipstick Jihad». «Non emergeva la società siriana, non veniva raccontata questa generazione di donne, che non erano islamiste intransigenti eppure si sono unite a una milizia. Ma allora qual era la loro motivazione?».
Il passato e il presente di Raqqa sono divisi da pochi anni. Dal 2014, quando l’Isis - o come la chiamano gli abitanti «Tanzeem», l’organizzazione - ha preso il controllo della città (e in parte già nel 2013, sotto il dominio dei qaedisti di Al Nusra), la vita è cambiata del tutto. Le cugine Aws e Dua, 25 e 2o anni, l’una studentessa di Letteratura di famiglia borghese e l’altra più povera con il papà contadino, erano accomunate dall’amore per il cinema - la prima Hollywood, l’altra Bollywood - e le passeggiate. La terza ventenne, Asma, studiava Economia, andava in spiaggia in bikini, aveva lasciato un fidanzato che voleva farle portare il velo. Ma nel 2014, pur non aderendo all’ideologia dell’Isis, Dua e Aws hanno sposato due miliziani - la prima costretta dai genitori, la seconda per romanticismo («Aveva visto troppi film con Di Caprio»). Era un modo per tutelare le proprie famiglie e c’erano vantaggi nell’avere un marito «foreign fighter» (salario, appartamento con cucina europea). Si erano perfino innamorate, anche se costrette a usare i contraccettivi perché i loro sposi erano destinati a diventare dei kamikaze, e la prole li avrebbe resi più restii al sacrificio. Tutte e tre si sono unite alla Brigata Al Khansaa, l’unità di polizia femminile, creata per far rispettare le norme della sharia. «Venti frustate per il velo troppo aderente, cinque per il trucco, altre cinque per chi non era docile una volta arrestata».
(di Viviana Mazza, da www.corriere.it)
BELGIO - Bruxelles
Bruxelles è una città deserta e blindata
Nella «capitale d’Europa» il livello di minaccia rimane a 4, il più alto possibile. Anche lunedì metropolitana, scuole e università sono rimaste chiuse e le strade (quasi deserte) sono pattugliate dai militari Salah ancora in fuga
“Keep kalm and tweet a cat”. In una serata di fortissima tensione, durante i blitz antiterrorismo delle forze dell’ordine a Bruxelles, per esorcizzare la paura e rispettare la richiesta della polizia di non diffondere sui social network dettagli delle operazioni in corso, Su Twitter da parte degli utenti in Belgio si è scatenata una vera e propria gara al tweet del gattino più buffo e tenero. L’hashtag di accompagnamento era #BrusselsLockDown. E così la rete ha trovato il modo, in un momento tanto drammatico, con il cuore di Bruxelles e d’Europa bloccato, di farsi una risata e vincere il terrore.
lUCIANONE
“Keep kalm and tweet a cat”. In una serata di fortissima tensione, durante i blitz antiterrorismo delle forze dell’ordine a Bruxelles, per esorcizzare la paura e rispettare la richiesta della polizia di non diffondere sui social network dettagli delle operazioni in corso, Su Twitter da parte degli utenti in Belgio si è scatenata una vera e propria gara al tweet del gattino più buffo e tenero. L’hashtag di accompagnamento era #BrusselsLockDown. E così la rete ha trovato il modo, in un momento tanto drammatico, con il cuore di Bruxelles e d’Europa bloccato, di farsi una risata e vincere il terrore.
lUCIANONE
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