martedì 22 settembre 2015

L'Intervista - Al padre di Alan Kurdi (per ricordare, non dimenticare e sperare)

22 settembre '15 - martedì            22nd September / Tuesday              visione post - 26

Il papà di Alan Kurdi, il bambino la cui immagine ha fatto il giro del mondo e lo
ha scosso non poco, ha concesso un'intervista a un giornalista del quotidiano "la
Repubblica" dove esprime tutta la sua disperazione, comunque composta, e la 
sua rabbia (altrettanto comunque composta) ma dove riesce ad esprimere nello
stesso tempo la sua ferma speranza che la morte di Alan possa essere di aiuto 
tutti gli altri bambini siriani. Dice poi che costruire muri non servirà a nulla:
profughi troveranno comunque sempre il modo di bucarlo. Ecco qui di seguito
l'intervista integrale ad Abdullah Kurdi.
(Lucianone)

Abdullah Kurdi, che nel naufragio in Turchia ha perso la moglie e i due figli, 
ha detto: "Io non ho più nulla da chiedere alla vita ma spero che quella foto
svegli i potenti".

(da  la Repubblica - 8 settembre 2015 - L'intervista / Fabio Tonacci)
"Ho perso tutto e non ho più niente da chiedere alla vita, Ma i miei figli Alan e Galip non 
sono morti invano. Non è stato un sacrificio inutile perchè in cuor mio sento che il mondo
si sta svegliando e si sta rendendo conto del dramma della Siria e del bisogno di pace". 
Abdullah Kurdi oggi è un uomo che si tiene in piedi aggrappandosi a questo solo pensiero.
Sa quanto potente è la foto del suo figlioletto Alan, morto nella sabbia e nell'acqua di Bodrum
dopo il rovesciamento del gommone su cui stavano tentando di raggiungere l'isola greca di Kos. 
"Tutti devonPoi pero guardarla, perchè credo che attraverso questa immagine i miei figli possano
 in qualche modo aiutare i bambini siriani. Se Dio ha voluto che morissero. è per compiere
 questa missione".  Abdullah parla al telefono dalla sua Kobane, dove è andato a seppellire 
 Alan, tre anni, Galip, cinque anni, e sua moglie Rehan.
QUAL E' LA LEZIONE CHE IL MONDO DEVE IMPARARE ?
"Che la guerra in Siria va fermata al più presto, perchè i siriani non scapperebbero dal loro
paese, se non fossero costretti. Vivevamo da re nella nostra Siria. La responsabilità di quello
che sta succedendo qui è  di tutti quelli  che sostengono la guerra.  Mi auguro che qualcosa
adesso cambi, soprattutto nei paesi arabi dove non ho visto alcuna indignazione per quanto
mi è successo".
LEI INCOLPA QUALCUNO PER LA MORTE DEI SUOI CARI ?
"Sì, le autorità del Canada perchè hanno rifiutato la mia richiesta d'asilo nonostante ci fos-
sero 5 famiglie disposte a sostenerci economicamente. Volevo trasferirmi insieme alla mia
famiglia e a quella di mio fratello, che ora è in Germania. Non avremmo nemmeno pesato
sulle casse del governo canadese. Non ci hanno dato l'autorizzazione e non so perchè".
DA QUEL RIFIUTO E' NATA L'IDEA DI VENIRE IN EUROPA ?
"Sì. Negli ultimi due anni ho lavorato a Istanbul, mentre i miei figli li avevo lasciati a Kobane.
Lavoravo in un'industria tessile e guadagnavo 800 lire  turche. Poi  però quando sono comin-
ciati i combattimenti con l'Isis a Kobane, li ho portati in Turchia. Ed è cominciata la mia tra-
gedia. Non mi bastavano i soldi: come facevo a mantenerli quando tra bollette e affitto paga-
vo 500 lire? Mi sono messo a lavorare come muratore, la sera tornavo a casa e Alan e Galip
mi massaggiavano le gambe e la schiena doloranti. Erano loro però ad avere bisogno di cure
mediche".
QUALI CURE ? 
"Soffrivano di una malattia congenita alla pelle, avevano bisogno di una pomata speciale da
spalmare tre volte al giorno altrimenti si grattavano e la pelle gli diventava scura. Ma in Tur-
chia a causa della lingua non riuscivo a compilare le pratiche per accedere all'assistenza sa-
nitaria. Quindi ho pensato di andare in Germania, dove ci sonO mediatori culturali. Chissà
adesso chi gliela spalma quella pomata, forse gli angeli...".
COME VI HANNOTTATO LE AUTORITA' TURCHE ?
"Non voglio parlar male della Turchia. La presenza di profughi è altissima e non è possibile
garantire condizioni buone per tutti. Ma da quanto mi hanno raccontato, in Turchia ci accol-
gono meglio che in Libano e in Giordania. Ecco perchè volevo andare in Europa, in Germa-
nia ma anche in Svezia o in Inghilterra: volevo che i miei figli fossero trattati come persone".  
COSA SI RICORDA DEL NAUFRAGIO DEL GOMMONE ?
"Avevo pagato  agli scafisti  4mila euro.  A bordo eravamo in 12, il mare era mosso e dopo
pochi minuti il gommone si è rovesciato. Nell'acqua ho trovato le braccia dei miei bambini
e le ho afferrate, ma mi sono accorto che erano già morti e li ho lasciati andare per prova-
re a salvare mia moglie. Inutilmente. Ora ci sono tante persone accanto a me, ma quando
sarò solo temo di crollare".
COSA FARA' ADESSO CHE E' TORNATO A KOBANE ?
"Non c'è luce, non c'è acqua, non ci sono le condizioni per restare. Pensavo di rimanere
vicino alle tombe dei miei cari, ma qui la vita non è vita".
PROVERA' A TORNARE IN EUROPA ?
"Non ho ancora deciso. Però se parto, forse impazzisco. Ogni mattina vado sulle loro tombe,
innaffio i fiori, ci parlo come se fossero vivi. Parlare con loro mi aiuta un pò".
CHIEDE QUALCOSA AI GOVERNI EUROPEI ?
"Per me niente. Vorrei però che arrivassero aiuti economici alla mia gente, ai siriani che
fuggono e a quelli che rimangono. Non attraverso le organizzazioni internazionali, però,
perchè talvolta si trattengono i soldi ".
PUO' UN MURO FERMARE L'ESODO DEI PROFUGHI ?
"Anche se venisse costruito un muro alto fino al cielo sui confini dell'Europa, troveranno
lo stesso il modo di bucarlo. E lo faranno con i loro bambini in braccio".
COME FA AD ESSERNE CERTO ?
"Quando stavo andando a prendere le salme a Bodrum, ho incontrato una famiglia di curdi
che faceva l'autostop per raggiungere le spiagge dove partono i gommoni. Ho provato a con-
vincerli a non andare, ma il capofamiglia mi ha detto: 'Ormai ho deciso. O moriamo, oppu-
re viviamo come esseri umani'. Mi ha dato questa risposta e aveva suo figlio tra le braccia".

Lucianone


CONTINUA... TO BE CONTINUED...

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