21 febbraio '13 - giovedì 21th February / Thursday visioni post - 15
(da 'la Repubblica' - 18 dicembre 2012)
di Marja Aljokhina
COLONIA PENALE N. 28 BEREZNIKI, REGIONE DI PERM' (Russia) -
Se ti addormenti mentre leggono il regolamento la paghi. Se hai la targhetta del nome
mal cucita la paghi. Se durante l'appello hai un bottone slacciato la paghi. Non c'è un
inizio, in questa storia. Anzi, non c'è nemmeno una storia. C'è qualcosa di assurdo che
prende forma per tramite delle parole. Tra l'altro, dubito che qualcuno vorrà confer-
marle, le mie parole. In tanti le confuteranno, piuttosto. "Tutto regolare", vi diranno.
Magari senza troppa convinzione. all'inizio; ma in un crescendo continuo di entusiasmo.
Fino a sostenere, anzi, che va "tutto bene". Perchè "alla colonia penale 28 va tutto bene,
e ve lo diranno detenuti, personale e difensori dei diritti umani.
La 28 è la Colonia Penale (IK) femminile della regione di Perm'. Intorno solo fabbriche
e tajga. Il fatto che - da ex militante ecologista - io sia finita in un carcere dove si respi-
rano veleni ha dell'ironico. C'è solo grigio, intorno. Il colore di partenza può anche esse-
re un altro, ma un tono di grigio c'è sempre. E ovunque: case, cibo, cielo, parole.
E' l'antidoto alla vita di un piccolo spazio chiuso.
Qui si arriva solo in tradotta. Nel mio caso, da Mosca, dopo tre carceri di transito (Kirov,
Perm' e Solikamsk) e tre viaggi tra vagoni senza finestre (gli "stolypin") e una lunga se-
rie di camionette. Sull'ultima, quella che finalmente si avvicina al ferro alto della cancel-
lata, siamo in 19. Diciannove "nuove": nuove operaie tagliatrici, nuove cucitrici e ausi-
liarie. -
Dall'ingresso alla stanza dove ci perquisiscono arriviamo a piedi, piegate sotto le nostre
sacche. Io ne ho tre. Insieme fanno quasi il mio peso. Entriamo in un edificio cinto da un
muretto: il carcere (e le celle) di isolamento punitivo. Lì ci spogliano e ci spediscono in
quarantena con un camice a scacchi. Uguale per tutte. In quarantena comincia l'adatta-
mento. O meglio, il callo inizia a formarsi. Si impara a saltare giù dal letto alle cinque e
mezza del mattino e a correre in bagno (ma solo io mi ostino a chiamarla "bagno" quel-
la stanza): tre lavandini e due water per quaranta detenute; e svelte, che alle sei, a grup-
pi di dieci, c'è da correre in cucina per la colazione. Prima però (sempre che si ambisca
a bere una tazza di tè), c'è da trovare il tempo per passare al deposito, là dove si conser-
va ogni cosa, cibo compreso. Anzi no: siccome non si può lasciare il pigiama sotto il cu-
scino, la tappa al deposito è obbligatoria. Dopo due settimane di acqua gelata non sento
più le mani: potrei usare l'acqua calda, certo, ma c'è la fila e c'è da correre anche lì. E ho
già da correre per altri sei mesi. Però ci sto facendo il callo- Ce lo stiamo facendo tutte
quante, anzi, in questo nostro "albergo regolamentato". Con regole - il Regolamento in-
terno - che vanno studiate a memoria. Non scherzo. Non crediate che basti una volta.
Ce le ripetono (leggendocele) ogni giorno, e ogni giorno noi le ascoltiamo. La stanza do-
ve questo accade si chiama "Regolamento interno" anche lei, e sullo stipite della porta
c'è proprio una targhetta che lo dice: Stanza Regolamento Interno. E nella Stanza del
Regolamento si va ogni giorno a sentire il Regolamento. Assurdo? Neanche un pò. Per
non addormentarmi (cìè una telecamera che ti controlla, in un angolo), vado a spalare
la neve in cortile. Ogni baracca ne ha uno (non è un cortile, in realtà, ma un quadrato di
terra cinto da filo spinato).
C'è da inventarsene più d'una, per non addormentarsi: lego le sigarette con un filo
(niente pacchetti: alla prima perquisizione svuotano il contenuto in un grosso sacco
e buttano via pacchetto), tolgo e rimetto i fiammiferi dentro la scatola, cucio e ricu-
cio la targhetta col nome sulla divisa, censisco pulci e pidocchi. Tutto per non addor-
mentarmi. Perchè se ti addormenti mentre leggono il regolamento la paghi. Se hai
la targhetta del nome mal cucita la paghi. Se durante l'appello hai un bottone slac-
ciato la paghi.
C'è un sistema, qua dentro, di "elevatori sociali". E' una serie di criteri che se osser-
vati o ignorati permettono alla commissione che concede la libertà sulla parola di ca-
pire se il detenuto si è redento o meno. E ci leggono ogni giorno pure quello. Non
infrangere il regolamento, lavora, presenzia a ogni sorta di iniziative, vai regolarmen-
te in biblioteca, dallo psicologo e a pregare (eppure il nostro è uno Stato laico, non ce
lo ripetono in continuazione?). Ostenta le tue relazioni sociali e mantieni i contatti con
i familiari.
Il detenuto compie ogni singola azione per un segno di spunta nella lista della "parola".
E non per una crescita individuale. Nella mia ultima seduta, la psicologa ha paragonato
questo processo alle tappe di una carriera professionale, chiamandosi in causa in prima
persona: "Funziona così anche per noi militari", mi ha detto. E' una verità amara:mezza
Russia vive come chi ha una condanna da scontare. Non serve gente di carattere. Serve
gente dal callo facile - "Tanto non cambia mai niente", ci troviamo a commentare, all'u-
nisono, io e un'altra detenuta. Perchè noi non serviamo a nessuno - la mia deduzione
esce da sola, in un sussurro. E in quell'istante preciso, a notte fonda, in un cambio di
turno in fabbrica, per un attimo mi sento - orribilmente - tutt'uno con una persona che
è rinchiusa da più di vent'anni, tutt'uno nell'inutilità, tutt'uno nell'essere un aborto di
quanto cè di oggettivo. Della "società", del potere. E figlia di quel mondo morto che,
paradossalmente, si riproduce in chi abita la colonia penale. Non ci vuole molto, per
uscire sulla parola. Basta cucire dodici ore al giorno per un migliaio di rubli al mese,
basta non scrivere reclami, incastrare qualcuno, fare la spia, non fiatare mai e soppor-
tare sempre.
(traduzione Claudia Zonghetti / Copyright Newtimes-la Repubblica)
(Questa lettera-articolo di Marjia Aljokhina)
è stata pubblicata anche sulla prima pagina del "Newtimes")
Il caso Pussy Riot / Le tappe
La protesta
Il 21 febbraio 2012 le 4 "Pussy Riot" inscenano una protesta contro
Putin nella cattedraòle di Mosca.
L'arresto e il processo
A marzo tre del gruppo punk vengono arrestate e processate
La condanna
Al processo le tre ragazze vengono condannate a 2 anni per
offese alla Chiesa ortodossa.
Lucianone
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