lunedì 23 aprile 2012

Personaggio - Warren Buffett: il ricco che ama le tasse

23 aprile 2012  - lunedì         23rd April / Monday        visioni del post - 40

           WARREN BUFFETT
A 80 anni (82 quest'anno, ndr.)  ha il terzo patrimonio
al mondo. Ma sfida l'ortodossia del capitalismo  Usa.
La sua frase più celebre: "Ma vi pare giusto che io
paghi al fisco il 12% sul reddito e la mia segretaria il 30%?"

(Tratto da 'la Repubblica' del 23 novembre 2010 - Vittorio Zucconi)
Sereno ormai nei suoi 80 (82) anni e nei suoi 52 miliardi di
dollari, Warren Buffett, il terzo uomo  più ricco del mondo
sente una fitta di rimorso e scopre di avere sempre pagato
troppo poche tasse. Non di averle evase o eluse, attenzione-
   Mai  il  fisco  americano, l'IRS, è  riuscito  a  trovare, per  
quanti sforzi abbia fatto, il più piccolo errore nelle 64 mila
pagine della sua dichiarazione annuale. 
Ma Buffet pensa di essere stato troppo coccolato da un codice
che gioca a un Robin Hood alla rovecsia (i poveri che danno 
ai ricchi, ndr.)  e fa pagaremolto a chi ha poco e poco a chi 
ha molto.
"Ma vi pare giusto che io paghi meno della mia segretaria
o della donna delle pulizie?", ha detto  lo scorso weekend
a una cena per altri ricchi coccolati.  -   "Meno" significa
naturalmente meno in proporzione al reddito, perchè l'as-
segno da sette milioni  di dollari  che lui staccherà per la 
Tesoreria federale  sono un pò più  di quello  che Dolores 
delle pulizie o Suzie l'assistente cerseranno al fisco. E' la
sperequazione dell'aliquota il dato che scandalizza Buffett,
"l'Oracolo di Omaha", come  hanno ribattezzato  a Wall 
Street l'uomo che dal suo ufficio in Nebraska tra oceani
di pannocchie, scuote le Borse con una parola.
 


Warren Buffett







Ma vi sembra giusto che   io paghi il 17% di tasse sui 46
miliardi che guadagnerò  in questo 2010   mentre la mia
segretaria dovrà pagare al fisco il 30% dei suoi 60 mila?"
ha detto  a una cena  di milionari  contriti   che avevano
versato  4.500 dollari a coperto  per  l'onore  di  sentirsi 
trattare da arpagoni miopi.
Ma con quel portafoglio, e con mezzo secolo di ineguagliati
trionfi finanziari, il vecchio ragazzo     che alle elementari 
comperava le lattine di Coca Cola per 25 cents e le rivende-
va agli assetati  per 30  mentre  i compagni  le scolavano, 
può dire ciò che vuole.
Può  permettersi  di  sfidare l'ortodossia  del pensiero
miliardario che deve gemere sotto il giogo dello Stato
esoso e sostenere, cercando  di  restare  serio, che ri- 
durre le aliquote  ai ricchi, o non  mettere  imposte  
patrimoniali, aiuti i meno fortunati.  Una teoria 
detta del 'trickle down', dello sgocciolamento verso 
il basso, che le cifre sulla distribuzione della ricchezza
in America  smentiscono  da  quando divenne dogma 
negli  anni  '80, visto che oggi  l'1% degli abitanti
incassa il 24% del reddito nazionale, massimo sto-
rico.
Come Bill Gates (il signore di microsoft) anche Buffett, 
che si fa pagare da ricchi devoti asiatici, cinesi e giap-
ponesi soprattutto, 250 mila dollari  per pranzare con
lui (soldi che devolve tutti in beneficenza) sposa la teo-
ria dell'economista John Kenneth Galbraith che invi-
tava i ricchi a essere più generosi.    E non per bontà 
d'animo, ma perchè, ripeteva cinicamente l'economi-
sta harvardiano, "io ricco dormo più tranquillo se so
che attorno al mio castello  tutti hanno da mangiare 
e un tetto sotto il quale ripararsi".
"Il codice fiscale - ha ripetuto Buffett - è un grottesco colabrodo
dal  quale  chi  ha  molti  soldi  può legittimamente  far filtrare 
miliardi, mentre chi non ha fondazioni, trust fund, scudi fiscali,
paga fino all'ultimo cent.     Una minuscola sovrattassa del 5% 
sulle coppie con un imponibile di 400 mila dollari l'anno  per-
metterebbe di finanziare programmi, senza che il reddito spen-
dibile dei ricchi  diminuisca sensibilmente". 
Sfiora addirittura l'eresia quando loda l'esecrato governo di 
Washington   "per la rapidità e l'efficacia con la quale ha
risposto al crack di Wall Street". 
Questa è precisamente la filosofia politica che è costata a Barack
Obama la legnata elettorale del 2 novembre scorso (2010), e che
ha attizzato il fuoco sotto il "tè"   dei movimenti anti-fiscali  (il
tea party'), che poi ha fatto gridare allo "stalinismo" i più fuori 
di testa, dunque non ha  alcuna probabilità  di uscire dai salotti
dell'albergo  nel quale predicava.
Buffett, che ha incassato almeno 5 miliardi di dollari per il suo
fondo  "Berkshire Hathaway" (dal nome della camicieria indu-
striale che fu  il suo primo  investimento importante)   dopo il
collasso borsistico del 2008 ramazzando i titoli delle banche  e
finanziarie come la Goldman Sachs o la Morgan Stanley pun-
tando proprio sull'azione del governo, può sembrare il classico
libertino che da vecchio lascia donativi al convento delle novizie
che ha insidiato da giovane.
Ma la sua è astuzia, non carità. E' la storia del figlio di un
piccolo agente di borsa nel Nebraska che cominciò la pro-
pria vita famigliare  affittando  un  bilocale  nella noiosa
Omaha che, racconta, "divideva con una moglie bellissi-
ma e una gigantesca famiglia di topi bruttissimi" e così
ha visto e vissuto entrambe le facce del sogno americano. 
Con un titolo di studio preso alla Columbia di New York, 
dopo essere stato respinto ad Harvard, i primi 4.500 dollari
guadagnati distribuendo giornali sono diventati i 52 mi-
liardi di oggi, sempre applicando lo stesso principio: "Non
guardo i libri contabili , ma le persone. E' la gente che fa 
la fortuna o la disgrazia delle aziende, non il prodotto. Io
investo in uomini e donne".
Nel 2008 investì tutto quello che la legge sul finanziamento
elettorale consente a un individuo, 5 mila dollari, su Obama.
Che questa volta l'Oracolo abbia sbagliato profezia?


Lucianone

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