29 ottobre '25 - mercoledì 29th October / Wednesday visione post - 31
(da "Corriere della Sera", lunedì 27 ottobre - Manifestazioni per la Palestina / Giuseppe De Rita)
La piazza per Gaza e la politica
Nelle manifestazioni per la Palestina abbiamo assistito a un surplus di rappresentazione e a un deficit di rappresentanza
A distanza di qualche tempo, e liberi da commossi riconoscimenti e da stizziti commenti, è forse possibile valutare in modo distaccato la qualità e gli esiti delle manifestazioni di piazza nei primi quindici giorni di questo mese. - Colpisce in particolare il "surplus di rappresenta- zione" e il "deficit di pappresentanza" che si è registrato in quelle piazze. Sulla loro rappresen-tazione c'è poco da aggiungere ai commenti di giornata. La messa in scena delle emozioni col-lettive (di orrore e sdegno di quel che accadeva a Gaza) è stata semplice, ordinata e ben riuscita; ed i commenti immediati ne hanno enfatizzato la valenza. E' rimasto invece in ombra il loro significato e il loro esito sul clamoroso non esserci delle tradizionali dinamiche. In piaz- za certo non c'erano interessi economico-sociali da dibattere, ma solo emozioni collettive da mostrare, non riconducibili di fatto alla mentalità e alla professionalità della tradizionale rap-presentanza (i partiti, i sindacati, l'associazionismo). E fa impressione che la nostra più grande organizzazione sindacale (la Ggil) sia da mesi orientata più ad esternazioni d'opinione (la di-chiarazione di rivolta sociale, i referendum, ecc.) che ad una permanente elaborazione dei bi-sogni dei diversi strati sociali; finendo poi a rimorchio di altre sigle sindacali o del mood complessivo della piazza.
La rappresentazione ha di fatto vinto sulla rappresentanza, perchè poggiava su temi così forti da imporsi come assoluta e totalitaria. Ma una volta che in piazza si è andati, cosa ne resta oggi? Certo non un programma o un progetto di azione collettiva: non la definizione di una gamma di interessi su cui aprire una controversia con gli imprenditori o con lo Stato; non l'invito a una rivolta sociale, disinnescata peraltro dal contegno tranquillo dei manifestanti. Resta quindi l'emozione di migliaia di persone per essere state insieme per una giusta ra-gione, in un evento che resta nella memoria di chi ha partecipato o anche osservato da fuori. Il pericolo è che resti una "bolla", destino abituale di tante manifestazioni di piazza, e magari con qualche effetto collaterale; qualche personaggio, avendo cavalcato la piazza, troverà amici politici aperti ad una sua candidatura; qualche segmento di partito vedrà nelle manifestazioni un'alba generazionale da valorizzare; Qualche frangia d'opinione penserà di continuare a testimoniare i valori profondi dell'ottobre 2025. Al di là di queste spigolature, va preso atto che resta pericolosamente muto il fronte fin qui più sfidato: quello della rap-presentanza, che, essendo naturaliter fredda, è andata in crisi rispetto al "movimento del sentire" capace di smuovere i sentimenti più semplici; ed è probabile che la cosa possa ripetersi in futuro. Occorre sperare allora in una prassi di rappresentanza capace di unire gestione degli interessi nei conflitti, professionalità organizzativa e attenzione ai sentimenti in movimento. Chi ha conosciuto i suoi grandi leader della rappresentanza (Costa o Merloni per gli imprenditori, Pastore e Lama per i lavoratori) sa che si può gestire insieme interessi ed emozioni: basta non essere affascinati dalla rappresentazione e dalla sua spettacolarità.
Lucianone
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