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(da la Repubblica - 18 marzo '22 - Commenti / di Elena Stancanelli)
Covid, se resta la rabbia
Il Covid è finito un'altra volta. Sarà almeno la terza, o la quarta volta che finisce, speriamo sia
Il Covid è finito un'altra volta. Sarà almeno la terza, o la quarta volta che finisce, speriamo sia
l'ultima. Dovremmo festeggiare, ma c'è la guerra, e nessuno ha voglia di ballare e cantare. Do-
vremmo almeno abbracciarci, ma molti di noi sono esausti. - Il primo anno di pandemia ci ha
tramortiti, ne siamo usciti barcollanti ma almeno eravamo sorretti dall'euforia di chi l'ha scam-
pata. Sgattolavamo vivi dai nostri nascondigli, disposti a spassarcela, o almeno riprendere tut-
to da dove lo avevamo lasciato. Ricordo bene solo il disappunto nei confronti di chi, ostinato,
quell'estate aveva deciso di fare comunque le solite vacanze in Grecia, o a Ibiza. Ma come?
State qui, stringiamoci, evitiamo di fare un altro pasticcio, dove andate? Non ci siamo accorti
che quel sentimento, quel giudizio verso gli amici che ci sembrava non capissero la situazione ,
sarebbe stata la questione più complicata da affrontare a fine pandemia. Non avevamo capito,
allora, che più del Covid in sè avremmo dovuto temere il Covid in noi. Quel misto di senso di
superiorità morale e fifa blu che da quel momento avrebbe buttato all'aria le nostre vite. Scom-
ponendo amicizie, famiglie, condomini, uffici, spogliatoi del calcetto. Il Covid, questo era dav-
vero difficile da prevedere, si sarebbe comportato come un conflitto fratricida, per ricomporre
il quale l'unica possibilità dovrebbe essere una specie di gigantesca amnistia. Avremmo dovuto
segnare un confine tra salute e malattia, poter contare su un inizio e una fine, e invece tutto si è mischiato, il virus si è nascosto e poi è tornato una, due, tre volte. Insieme ai maglioni ci è toc-
cato in autunno tirare giù dall'armadio le mascherine, le bocce di Amuchina, il saturimetro che
non si sa mai. E speriamo che non accada di nuovo. - Ma un confine certo, invalicabile, lo ab-
biamo tracciato. E purtroppo non è tra un mondo con o senza Covid, ma tra chi ha creduto nel-
la scienza e chi si è rifugiato nell'irrazionale. Noi che ci siamo vaccinati, portavamo la masche-
rina, ci lavavamo le mani e gli altri che ci sbeffeggiavano, capaci di affermare solenni castrone-
rie in appoggio a tesi strampalate, ostinati propugnatori dell'impero della paranoia. Sentite? La
rabbia, mascherata da ironia, es onda dalle mie parole. Non riesco a considerare con rispetto e
lucidità le idee di chi si sente di poter dire che il Covid non esiste, che le bare di Bergamo non
sono mai esistite, che medici e infermieri erano comparse in un gigantesco reality show, e i
morti un'invenzione. Non ce la faccio, e non credo di essere l'unica. Ma senza arrivare fino a
tanta insanabile diversità, c'è da occuparsi dei mille complicati distinguo tra i livelli di preoc-
cupazione che hanno generato comportamenti lievemente diversi di generare reciproco ranco-
re tra chi è andato in Grecia e chi in Puglia, tra chi faceva la cena con sei amici (sei amici??!!
Ma sei pazzo!!) e chi per due anni si è affacciato solo alla finestra. Chi lavora nel commercio,
col turismo, nei teatri, gli organizzatori di concerti, cantanti e tutti gli altri che hanno passato
gli ultimi due anni a investire sono esausti. L'annuncio che dal primo aprile verranno abolite
le capienze limitate e l'obbligo di Super Green Pass per i trasporti a lunga percorrenza dovreb-
be rassicurare i viaggiatori timorosi, ed è un'ottima notizia. Per i genitori stremati c'è in arrivo
una Dad limitata solo ai casi di positività: via la quarantena, via i figli in casa un giorno sì e
uno no. La fine dello stato d'emergenza è un sollievo per tutti, darà fiato a tutte le attività, ria-
priranno anche le famose discoteche che insieme ai runner sono state pietra di scandalo per
mesi. Ma noi, che ne faremo di tutta quella rabbia? Come le saniamo quelle ferite?
Lucianone
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