25 novembre '21 - giovedì 25th November / Thursday visione post - 8
(da la Repubblica - 13 novembre '21 - Milano Cultura / di Nicola Baroni)
Giovanni Dall' Orto: "Quei malati
Giovanni Dall' Orto: "Quei malati
di Aids trattati come untori"
Paola, Franca, Enrico si legge sulle coperte realizzate con patchwork di stoffe che tappezzano le
pareti. E' il modo cun cui amici e familiari ricordano una persona morta di Aids. Dove qualsiasi vi-
sitatore vedrebbe un toccante luogo della memoria, Giovanni Dall'Orto, attivista e storico dell'omo-
sessualità, tra i fondatori dell'Asa (Associazione Solidarietà Aids), vede tutt'altro: "Questa stanza è
un atto d'accusa contro una società che ha trattato l'aids come un marchio di disonore". La mostra
"40 anni positivi. Dalla pandemia di Aids a una generazione Hiv free", alla Galleria dei Frigoriferi
Milanesi, ripercorre attraverso manifesti, articoli, video e pubblicazioni la storia della malattia dal-
la sua prima comparsa nel 1981. - L'apice emotivo sono le "Coperte dei nomi": una tradizione por-
tata in Italia dagli Stati Uniti, con una differenza sostanziale. "Le coperte in America erano nate
per dare un'identità alle persone morte. Quelle italiane invece sono quasi tutte anonime: si legge so-
lo un nome o soprannome. Più che Coperte dei nomi queste sono "Coperte degli anonimi". la colpa
non è ovviamente di chi le ha fatte, ma della società tutta, delle ostilità della chiesa, di ministri del-
la salute che negavano il problema, di campagne di prevenzione infami come quella del 1990".
Il video della campagna scorre su uno schermo poco distante: "Se lo conosci lo eviti" recita una vo-
ce fuori campo, mentre un malato vive la sua vita quotidiana circondato da un alone rosa. "Noi cer-
cavamo di spiegare che non esistevano persone ma comportamenti a rischio, e il Ministero della sa-
lute rappresentava il malato come un untore - accusa Dall'Orto, tra i primi a parlare della malattia
in Italia - Ne venni a conoscenza subito grazie ad amici americani. A quel tempo lavoravo nel grup-
po Abele di Don Ciotti a Torino e gliene parlai. Lui mi incaricò di scriverci un libro attingendo al
materiale scientifico prodotto". Il libro, AIDS, uscì nel 1985: quell'anno in Italia i casi registrati era-
no 18, tra cui, a Milano, il primo paziente tossicodipendente che non era mai stato all'estero. Quan-
do la gente capì che riguardava prevalentemente gay e tossici, se ne disinteressò.
La politica alzò un muro di silenzio. Il ministro della sanità Donat-Cattin fece campagna per la ca-
stità e contro i preservativi affermando che non erano sicuri "perchè sbordano e i rompono". Il car-
dinale di Genova Siri vide nell'Aids una piaga giunta a punire i comportamenti devianti. A urlare
nel deserto restarono le associazioni. Nel 1985 Dall'orto, il futuro consigliere comunale Paolo Hut-
ter, lo psichiatra Mattia Morretta e il segretario di redazione della rivista gay Babilonia Mario Anel-
li fondarono a Milano Asa e attivarono un centralino. "Chiamava gente che chiedeva se ci si poteva
infettare toccando il proprio seme e tantissimi mariti che avevano contratto il virus tradendo la mo-
glie". Gli attivisti cominciano a fare campagne martellanti e a distribuire preservativi gratuiti: "Dato
che i gruppi svizzeri avevano molti aiuti governativi, Mario Anelli andava in Canton Ticino a com-
prarli da loro e importava scatoloni di contrabbando". Anche le aziende produttrici temevano danni
d'immagine, per cui fornivano agli attivisti preservativi a prezzi di fabbrica ma senza marchio e a
patto di non nominarle nelle loro campagne. Gli unici alleati erano i medici: "Il Servizio sanitario
nazionale ci ha risparmiato vicende drammatiche come si vedevano negli Stati Uniti. L'Arcigay
inoltre era in contatto con l'Ospedale Sacco e il centro antivenereo di via Pace, che effettuava esa-
mi nell'anonimato".
Nella comunità gay milanese la pandemia ebbe effetti devastanti: "Era diventato normale ogni
tanto prendere il taccuino e mettersi a cancellare i contatti: praticamente il 20% delle persone
che conoscevo", ricorda Dall'Orto. Dopo la scoperta della terapia, nel 1996, la malattia è di-
ventata meno letale . Oggi una persona in terapia, con carica virale non rilevabile, non trasmet-
te il virus. Resta il fatto che sulle coperte dei nomi, anche quelli più recenti, raramente compare
un cognome.
Lucianone
Nessun commento:
Posta un commento