martedì 25 settembre 2018

Cultura / intervista - Khaled Hosseini e il monologo per Alan

25 settembre '18 - martedì                 25th September <7 Tuesday              visione post - 15

( da Corriere della Sera - 6 settembre '18 - Cultura / Luigi Ippolito,
Londra )
"Con me, nella pelle dei profughi"
Un libro in controtendenza, l'ultimo lavoro di Khaled Hosseini, l'autore di bestseller
planetari come Il cacciatore di aquiloni o Mille splendidi soli.  Un libro che parla di pro-
fughi, di chi affronta la traversata, spesso mortale, delle acque del Mediterraneo: e che
si mette dalla loro parte, nei loro pensieri, nella loro pelle. E questo nel momento in cui
l'Europa, l'Italia, preferisce guardare da un'altra parte, alzare i ponti, chiudere i porti.
Come se distogliere lo sguardo servisse a negare la tragedia.
"Preghiera del mare" è il monologo di un padre che stringe tra le braccia il suo bambino
su una spiaggia, di notte, prima di affrontare il viaggio verso l'ignoto. E' un testo breve,
scritto di getto in un pomeriggio - forse resterà deluso chi si aspettava un nuovo roman-
zo di Hosseini - ma di grande intensità, illuminato da una parola poetica  che e' accom-
pagnata dai disegni evocativi di Dan Williams, artista londinese.
Il libro è stato ispirato  direttamente  dall'immagine di Alan Kurdi, il piccolo profugo
siriano fotografato morto, bocconi su una spiaggia turca, nel settembre  di 3 anni  fa:
un'istantanea che aveva scosso le coscienze del mondo.  "Ho visto Alan come genitore -
racconta Hosseini - I miei pensieri sono andati subito a suo padre, che era sopravvissu-
to al naufragio. Ho provato a immaginare come fosse essere lui, quali potessero essere
i suoi pensieri. Ho voluto scrivere un tributo a quella fotografia: ma non soltantoa loro,
bensì alle migliaia di persone che si trovano in quella stessa situazione".
Hosseini è andato a scavare nella singolarità del profugo, nella sua umanità irripetibile,
perchè "dietro i titoli dei telegiornali  e  le statistiche che leggiamo ci sono esseri umani,
che hanno diritto di esistere e di essere trattati con rispetto".    Ma chi è il profugo, per
lo scrittore afghano trapiantato in America?  "Prendi uno specchio e guardati - dice -
potresti essere tu. Ognuno di noi può diventare profugo, avere la vita sconvolta da even-
ti imprevedibili, essere costretto ad abbandonare tutto".   E lui sa di cosa sta parlando:
aveva 14 anni quando i carri armati sovietici invasero l'Afghanistan, sorprendendo lui
e la sua famiglia a Parigi, al seguito del padre diplomatico. Capirono subito che la loro
patria, la loro casa, le loro cose erano perdute. Approdarono da rifugiati negli Stati Uni-
ti: il giovane Khaled si ritrovò in una scuola della California senza parlare una parola di 
inglese, incapace di comprendere i suoi coetanei e i loro costumi. Finì a passare il tempo
con un gruppo di ragazzi cambogiani: non si capivano, ma li accomunava la stessa con-
dizione, quella del profugo.
E' per questo , perchè l'esperienza dello sradicamento lo ha toccato nel vissuto più pro-
fondo , che Hosseini ha dedicato il suo impegno alla cusa dei rifugiati, diventando Am-
basciatore di buona volontà dell'Unhcr, l'agenzia Onu che si occupa dei profughi: e co-
sì anche i proventi di Preghiera del mare andranno ai fondi umanitari.  In  questo suo 
ruolo lo scrittore  ha visitato le regioni che ospitano gli sfollati, è stato nei campi di rac-
colta, si è seduto con la gente, ha ascoltato le loro storie. Ed è rimasto impressionato da
quello che ha visto in Sicilia: "A Pachino ho visitato un centro per rifugiati minorenni -
racconta - e sono stato travolto dalla generosità dimostrata dalla gente locale: l'intera
città aveva aperto le porte e i cuori".
Non è sempre così, tuttavia. Anzi, il sentimento che percorre in questo momento l'Europa 
è di ostilità verso chi si affaccia sulle sue sponde, i partiti  e i movimenti che si fanno im-
presari della paura mietono consensi.
Khaled Hosseini - "Penso che molta della negatività e della paura che vediamo in giro 
sia basata su una cattiva comprensione della realtà, che però è diventata prevalente.
Ogni discussione deve cominciare con questa verità fondamentale: fuggire dal proprio
Paese non è qualcosa che la gente sceglie di fare.  Nessuno mette i bambini nella barca
finchè l'acqua non è più sicura della terra, nessuno lascia la casa  senza che la casa di-
ca: vai via, non so cosa sono diventata. Sono scelte esistenziali, la gente non viene per
sfruttare le ricchezze o i lussi dell'Europa, vengono perchè sono costretti  dalle circo-
stanze che li portano a prendere queste decisioni difficili, che sono la loro ultima istan-
za. Questo bisogna capire, che non è una scelta".
Lei però in questo modo sembra inquadrare l'intero fenomeno  migratorio come una 
questione di rifugiati, di gente che fugge da guerre o dittature. Siamo invece di fronte 
a qualcosa di più ampio, di portata epocale, che richiede risposte di lungo periodo.
K. Hosseini - "Certo, non è solo un problema di profughi, è qualcosa di più grande.
Ma il mio primo pensiero va alle persone che hanno bisogno di protezione: che inve-
ce viene negata da certe politiche, tipo affidarsi ad autorità  al di fuori dall'Europa, 
come la Libia, dove la gente soffre indicibili abusi. La Libia non è sicura, non si può
rimandare lì la gente: che scelte abbiamo  quando le persone  muoiono  sulle nostre
spiagge? Non possiamo guardare altrove e spostare le responsabilità fuori dall'Euro-
pa. Dobbiamo assicurarci che chi ha diritto all'asilo vi abbia accesso.    E' vero, non 
c'è solo questo, molti vengono alla ricerca  di una vita migliore: ma dobbiamo guar-
dare perchè la gente parte. La risposta a lungo termine è affrontare le condizioni che
costringono le persone ad abbandonare le loro case, a pagare i trafficanti e rischiare
di annegare per arrivare sulle coste europee: dobbiamo investire in quei Paesi, nello
sviluppo, nelle infrastrutture, mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Non ci
sono soluzioni semplici o rapide, dobbiamo pensare sul lungo termine".
Cosa direbbe ai politici che scelgono invece la strada della chiusura, dei respingimenti?
K. Hosseini - "No giudico chi ha paura ma, a meno che tu non sia un sociopatico, quan-
do ti siedi di fronte a quella gente non puoi non capirli. Allora direi: guarda, pensiamo
a politiche che possano ridurre queste tragedie, le persone non dovrebbero morire sul-
la nostra soglia quando neghiamo alle navi di attraccare.  C'è  una  santità  nella  vita
umana. Quelle persone in mare sono spesso famiglie, bambini soli: in quel momento
la priorità deve essere di salvare le vite, la decisione su chi ha diritto all'asilo deve es-
sere presa dopo averli salvati, dopo lo sbarco, in modo sicuro, in centri di accoglienza. 
Abbiamo una responsabilità legale verso le persone che si presentano alla nostra por-
ta".
Molti in Europa, più che dagli effetti economici, sono spaventati dai contraccolpi
culturali dell'immigrazione di massa. 
"Io non sono europeo, vivo negli Stati Uniti, dove abbiamo  una popolazione  di immi-
grati e rifugiati molto ricca e variegata. E posso dire con la mia esperienza che gli Usa
sono diventati una nazione migliore e più forte grazie alla loro diversità.  I rifugiati e
gli immigrati contribuiscono con milioni di dollari all'economia americana: sì, c'è un
costo iniziale, ma dando tempo i rifugiati alla fine sono una risorsa dovunque giungano".

Lucianone

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