27 ottobre '16 - giovedì 27th October / Thursday visione post - 5
(dalla rivista-settimanale "Grazia" - 17 agosto '16 / di Annalena Benini)
LE ROSE DI SARAJEVO
A SARAJEVO, PER LE STRADE, NELLE PIAZZE, lungo il fiume, al mercato,
si sente un gran rumore di futuro. Vita che freme, ragazze dalle gambe infinite che
vanno sicure incontro al mondo, donne completamente velate che camminano ac-
canto, cariche di figli, e caffè a ogni angolo, tantissime cose da raccontarsi, lunghe
notti festose, negozi aperti sempre, anche la sera tardi, botteghe di anziani turchi
che lavorano il rame e hanno voglia di parlare del passato, e intanto il muezzin
canta la sua ora, e suonano le campane della chiesa, e poco più in là la sinagoga,
e la scuola islamica, tutto a pochi metri, tutto mescolato insieme. Sarajevo è rimasta
una città aperta, nonostante tutto. Con il fiume e le colline così vicine, da cui solo 20
anni fa i cecchini sparavano sulle persone, nella strada dove ora c'è il McDonald's,
e soprattutto c'è il monumento ai bambini morti durante la guerra.
Ci sono i loro nomi, le date di nascita e di morte, uno accanto all'altro, bambini nati
nel 1992 e morti nel 1994, ragazzini di 12 anni colpiti in nome di un'immenza insen-
satezza che fatico a spiegare ai miei figli. Loro leggono quei nomi, gridano: "Era co-
me me!", non possono credere che sia accaduto davvero. lì dove adesso loro saltella-
no e corrono e chiedono souvenir e guardano gli altri bambini in bicicletta, identici
a loro, con la stessa bellissima voglia di abbracciare il mondo e fidarsi di tutto.
Milleseicento bambini morti in mezzo alle 12 mila persone rimaste uccise nei quat-
tro anni dell'inferno di Sarajevo, quattro anni così vicini che hanno lasciato sui pa-
lazzi i buchi delle bombe, le rose di Sarajevo le chiamano, e sui ponti le lapidi degli
studenti uccisi, e il ricordo di quando i tram sulle rotaie passavano lentissimi, qua-
si fermi per proteggere le persone che stavano lì dietro, che cercavano di portare a
casa un pò d'acqua, o di andare a rassicurare i parenti. Dove le bellissime ragazze
bosniache adesso siedono nei bar, ci sono i segni sul pavimento di quel che è acca-
duto, c'è il rumore del passato che si mescola a quello delle risate e della voglia di
vivere. "E perchè nessuno veniva a salvarli?", chiedono i miei figli mentre conta-
no i palazzi rattoppati. Non so rispondere. C'è un altro monumento, un uomo di
bronzo in piedi che urla con le mani intorno alla bocca, sembra che gridi aiuto.
E' rivolto verso l'Europa. Com'è possibile che abbiamo permesso, muti, che per
quattro anni quei bambini non avessero il pane, le medicine, la libertà? Com'è
possibile che ci abituiamo così in fretta al massacro? Sarajevo ce l'ha fatta, con
i segni addosso, negli occhi e nel cuore. Noi dobbiamo riuscire a non diventare
mai più ciechi e sordi, indifferenti alle grida di aiuto, così vicine a noi.
COMMENTO personale
Continua... to be continued...
DI TUTTO e di PIU Ambiente / Appuntamenti / Arte / / Cibo-cucina / Commenti / Cultura / Curiosità-comicità / Dossier / Economia-Finanza / Fotografia / Inchiesta / Intervista / Istruzione / Lavoro / Lettere / Libri / Medicina / Motori / Musica / Natura / Opinione del Giovedì / Personaggi / Psicologia / Reportage / Riflessioni-Idee / Salute / Scienze / Società-Politica / Spettacoli (cinema/tv) / Sport / Stampa-giornali / Storie / Tecnologia-Internet / Ultime notizie / Viaggi
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento