In tour mondiale dopo la pubblicazione del nuovo
album e dell'autobiografia, Benny Golson è in Italia,
a Sanremo, dove tiene un concerto proprio il 16 agosto
per l'UnoJazzFestival.
(da la Repubblica - 13 agosto '16 - intervista di Giacomo Pellicciotti / Roma)
IL JAZZ DI GOLSON E LE MILLE VITE
DELL'ULTIMO MITO
C'è una foto in bianco nero che racconta meglio di tante altre l'età dell'oro del jazz.
E' stata scattata da Art Kane quasi 60 anni fa, il 12 agosto del 1958, alle 10 di matti-
na in una strada di Harlem, New York. Raffigura un bel pò di bambini e 57 giganti.
Giganti del jazz, da Charles Mingus a Thelonious Monk. E di quei miti della musica
mondiale ne restano in vita soltanto due: Sonny Rollins e Benny Golson. E proprio
Benny "Jazz Legend" Golson, ottantasette anni, è alle prese con la sua ennesima
nuova giovinezza: un disco appena uscito, Horizon Ahead, un'autobiografia, Whisper
Not, in cui ripercorre le sue tante vite da musicista. E un tour mondiale che arriva an-
che in Italia, il 16 agosto al Festival Unojazz di Sanremo. - Ottantasette anni, quindi.
Senza perdere un briciolo di energia, continuando a soffiare nel suo sax tenore con
quel vibrato ruvido che sa intenerirsi nelle ballads più romantiche. Durante la sua
lunga carriera, Golson ha incrociato tutti i più grandi, dal suo amico d'infanzia John
Coltrane - frequentavano la stessa classe - ai tanti altri con i quali ha condiviso la mu-
sica e il palco: Dizzy Gillespie, Clifford Brown, i Jazz Messengers di Art Blakey diven-
tandone il direttore musicale, Art Farmer con cui fondò un delizioso Jazztet. Tutti fuo-
riclasse da libri di storia che purtroppo oggi si possono ascoltare solo sui dischi.
Ma Benny Golson è ancora qui, un artista che ha composto jazz standards famosi
come Blues March, Stablemates, I remember Clifford, Whisper Not, Along came
Betty e Killer Joe, classici sui quali ancora oggi musicisti più giovani continuano
ad improvvisare. Lo abbiamo intercettato a New York, prima che riprendesse l'ae-
reo per il vecchio continente.
G. Pellicciotti - "Lei ha vissuto tutta la storia del jazz moderno del Novecento, dal be bop
di Charlie Parker al free di Coltrane e Ornette Coleman. Quali sono i musicisti che l'han-
no colpito di più, tra quelli che ha incontrato?"
"Art Blakey, non solo perchè era il più grande batterista con cui ho suonato, ma perchè
era una persona fantastica. Non certo un intellettuale, ma con il suo feeling sapeva rac-
contarti tutto a cuore aperto".
G. Pellicciotti - "Non dimentica John Coltrane?"
Eravamo come fratelli, ci vedevamo ogni giorno da giovani a Filadelfia, ogni giorno per
ragioni professionali e di studio, oltre che di amicizia. Poi anche a New York non ci sia-
mo persi di vista. Mi ricordo di una sera al Newport Festival quando lui sbalordì tutti
col suo sax soprano e un ipnotico My favourite things. Era fantastico. Quella stessa se-
ra suonai anch'io con Art Farmer e il nostro Jazztet. Fu una notte magica"
G. Pellicciotti - "E' vero che la musica fa restare giovani? Forse per questo lei continua a
fare tour in giro per il mondo"
Credo di sì, ma io continuo a suonare dal vivo perchè la musica è la cosa che amo di più
e adoro farla ascoltare anche agli altri. Questa è la ragione vera. Ho cominciato a nove
anni con un piano verticale che avevamo in casa. Mia madre dava lezioni di piano ed io
già pensavo di poter diventare un grande interprete di Chopin o Rachmaninov. Ma nel
mio quartiere si sentiva solo blues e, a quattordici anni, cambiai idea e passai al sasso-
fono. Niente pianoforte classico, ma scelsi il jazz e mia madre la prese come un orribi-
le tradimento. Fu così che Coltrane ed io cominciammo a vederci quotidianamente e a
studiare insieme, assorbendo gli stili di Lester Young, Don Byas e degli altri grandi sas-
sofonisti. Finchè nel 1945 arrivò in concerto a Filadelfia Charlie Parker, il pioniere del
be bop che cambiò le nostre vite per sempre.
G, Pellicciotti - "Lei ha partecipato anche al film "The Terminal", in cui interpreta il
jazzista del cui autografo va a caccia il protagonista Tom Hanks. Come lo hanno coinvolto
nel film e cosa ricorda di quell'esperienza?"
Un giorno mi ha chiamato Spielberg, dicendomi che mi seguiva fin dai giorni dell'uni-
versità e che il suo pezzo favorito era il mio I remember Clifford. E' stato un privile-
gio raro partecipare a quel grande film con un finale così romantico.
Lucianone
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