11 maggio '16 - mercoledì 11th May / Wednesday visione post - 20
Vent'anni dopo gli accordi di Dayton,
in libreria il racconto di W.L.Tochman
sui luoghi della guerra nella ex Jugoslavia.
(da la Repubblica - 10/12/2015 - Stefania Parmeggiani)
Bosnia, reportage dal paese
divenuto cimitero senza fine
Sono passati esattamente vent'anni dagli accordi di Dayton, quelli che misero fine
alla guerra in Bosnia-Erzegovina. Oggi il Paese è spezzato in due e secondo alcuni
la violenza è ancora lì, che cova sotto la cenere. Nelle strade non ci sono più giorna-
listi, ma basta uscire dalle città per incontrare gli antropologi forensi. Arrivati all'in-
domani del conflitto su incarico del Tribunale internazionale dell'Aja, non hanno an-
cora fatto le valigie. Pulizia etnica, campi di concentramento, esecuzioni di massa,
fosse comuni, riesumazioni, identificazioni. Il loro lavoro è essenziale: sono gli unici
che possono dare una risposta definitiva alle famiglie di chi è stato inghiottito dalla
guerra.,
Nel reportage letterario Come se mangiassi pietre, pubblicato in Italia da Keller editore
con la traduzione di Marzena Borejczuk, il giornalista Wojciech L. Tochman, direttore
dell'Istituto Polacco di Reportage, accompagna la dottoressa Ewa Klonowski nella ri-
cerca della verità. Al momento del loro incontro - siamo nel 2003 - questa donna dai
capelli bianchi e dagli occhi asciutti aveva già portato alla luce i resti di duemila per-
sone. Li aveva ripescati dai pozzi, tirati fuori dalle grotte, estratti da una discarica o
da una accozzaglia di ossa suine. Attraverso di lei Tochman racconta il dolore che
non finisce mai e le enormi difficoltà del lavoro forense: gli ultranazionalisti serbi
dopo la guerra hanno dissotterrato i corpi per riseppellirli altrove e sottrarsi così alla
giustizia internazionale. Fa anche qualcosa di più: racconta quello che succede quan-
do le armi non sparano e ci restituisce una riflessione universale sopra la perdita, la
vergogna e anche il perdono. Seguendo l'esempio di Ryszard Kapuscinski, esce dai
confini della cronaca per indagare i fatti con gli strumenti della letteratura.
La sua lingua è fredda e tagliente, descrive i luoghi dei massacri, le città abbandonate
dai musulmani e quelle occupate dai serbi senza alcun sensazionalismo. Il racconto si
muove tra due poli: quello che è successo durante la guerra e i suoi effetti sulle perso-
ne e sull'economia. Tochman visita anche la Repubblica Srpska e mostra come il con-
flitto sia stato devastante per tutti. - Il suo reportage si conclude a Potocari dove nel
luglio del 1995 i civili in fuga da Srebrenica avevano cercato rifugio nella base dei
caschi blu olandesi. Dopo tre anni i serbi avevano rotto l'assedio e si erano riversati
tra le case. Quella volta gli olandesi non mossero un dito per aiutare gli abitanti, i ser-
bi trascinarono via almeno ottomila tra uomini e ragazzi più alti di un metro e mezzo.
Il giornalista si siede sull'erba insieme ai sopravvissuti e ascolta il Rei-ul-Ulema, la
suprema autorità religiosa dei musulmani bosniaci, invocare Allah. Sta assistendo a
uno dei funerali collettivi che da allora ogni luglio dà sepoltura alle vittime identifi-
cate nell'anno precedente. Il cimitero - un rettangolo lungo un chilometro e largo tre-
cento metri - nel 2003 non era ancora completo. Non lo è neanche oggi: solo 6.200
vittime sono state identificate. Dalle fosse comuni continuano a venire riesumati ca-
daveri.
Lucianone
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