6 novembre '15 - venerdì 6th November / Friday visione post - 8
(da Corriere della Sera - 20/09/'15 - La Lettura / di Franco Farinelli)
Rimonta di una disciplina esiliata che Giulio Cesare capì benissimoo
Esiliata persino dagli Istituti tecnici nautici dal ministro Gelmini, a fatica la geografia
inizia ora a riguadagnare un pò di posto all'interno dell'ordinamento scolastico italiano,
dove i laureati in Scienze geografiche recuperano a stento il riconoscimento delle loro spe-
cifiche competenze didattiche. A fatica e a stento, il che risulta per molti aspetti paradossa-
le: da anni ion tutta Europa, e specie nel mondo anglosassone, le scienze sociali hanno regi-
strato un notevole risveglio proprio in virtù di quella che viene chiamata la "svolta spazia-
le", vale a dire la più o meno consapevole assunzione di temi e modelli analitici di marca
geografica.
Spazio è termine molto specifico, anche se da Kant (che era un geografo) in poi vale special-
mente come potentissima metafora: spazio deriva da stadio, la misura metrica lineare con
cui gli antichi greci calcolavano le distanze, addomesticavano la faccia della Terra altrimen-
ti sfuggente. La più precisa e fulminea illustrazione della natura di tale modello si deve a
Giulio Cesare, che dopo una grande vittoria sul re del Ponto, in Asia minore, si vuole abbia
pronunciato la frase che fin da piccoli una volta s'apprendeva: Veni, Vidi, Vici. Per compren-
dere bisogna invertire l'ordine delle azioni: ho vinto perchè ho ridotto la conoscenza alla vi-
sione, ma - prima ancora - perchè ho fatto in fretta. Operativamente lo spazio significa infat-
ti la riduzione del mondo a velocità, a tempo di percorrenza, modalità con cui gli antichi Ro-
mani si limitavano in sostanza a fare la guerra e a organizzare la circolazione delle informa-
zioni necessarie al governo del territorio. A esso si oppone la logica dei luoghi, per cui ogni
brano del volto della Terra mantiene la propria specificità, la propria irriducibilità nei con-
fronti degli altri, insomma le proprie qualità. Al contrario, la logica dello spazio, che è quan-
titativa, è quella dell'equivalenza generale delle parti, della loro reciproca interscambiabilità
e fungibilità: è insomma la stessa del mercato, che infatti non esisterebbe nella forma che og-
gi conosciamo senza la moderna riduzione del mondo in termini spaziali, senza la colonizza-
zione spaziale di tutti gli ambiti della riproduzione della vita sociale. Senza insomma la tra-
sformazione di quel che nel Seicento s'inizia a chiamare globo terracqueo in un'unica gigan-
tesca mappa. Ciò è vero fuor di metafora, e proprio al servizio di tale trasformazione nasce
la figura del geografo moderno, che appare nel Quattrocento come cosmografo, diventa di
fatto cartografo nei due secoli successivi e soltanto tra Otto e Novecento si deposita nella at-
tuale forma accademica, compiuta l'opera della costruzione dello Stato nazionale centraliz-
zato il cui modello è, appunto, una carta geografica.- Basti al riguardo far caso al fatto che
il moderno territorio statale deve necessariamente obbedire, idealmente, alle tre caratteri-
stiche che nella geometria classica distinguono la natura geometrica dell'estensione: la con-
tinuità (esso deve essere tutto di un pezzo), l'omogeneità (deve essere popolato da persone
che condividono la stessa cultura e la stessa religione), l'isotropismo (tutte le sue parti deb-
bono essere funzionalmente orientate nella stessa direzione, quella segnata dalla capitale).
Fin dall'inizio della modernità, insomma, il compito della geografia è rimasto lo stesso,
quello di rendere conto della relazione tra luoghi e spazio, della ragione e della natura
delle connessioni tra il globale e il locale.
Continua... to be continued...
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