23 maggio '15 - sabato 23rd May / Saturday visione post - 11
Una radicale trasformazione investe l'istituto materno. Si vive
meno per i propri figli e più per rivendicare piena autonomia
(da la Repubblica - 28 /02 /2015 - R2Cultura - di Massimo Recalcati)
Dalla mitologia del sacrificio alla ricerca della
libertà assoluta. Così cambia un'immagine secolare
Nella cultura patriarcale la madre era sintomaticamente destinata a sacrificarsi
per i suoi figli e per la sua famiglia, era la madre della disponibilità totale, dell'amo-
re senza limiti. I suoi grandi seni condensavano un destino: essere fatta per accudi-
re e nutrire la vita. Questa rappresentazione della maternità nascondeva spesso
un'ombra maligna: la madre del sacrificio era anche la madre che tratteneva i figli
presso di sè, che chiedeva loro, in cambio della propria abnegazione, una fedeltà
eterna. E' per questa ragione che Franco Fornari aveva a suo tempo suggerito che
i grandi regimi totalitari non fossero tanto delle aberrazioni del potere del padre,
ma ma un'"inondazione del codice materno", una sorta di maternage melanconico
e spaventoso.
La sicurezza e l'accudimento perpetuo in cambio della libertà. Sulla stessa linea di
pensiero Jacques Lacan aveva una volta descritto il desiderio della madre come la
bocca spalancata di un coccodrillo, insaziabile e pronta a divorare il suo frutto. Era
una rappresentazione che contrastava volutamente le versioni più idilliache e idea-
lizzate della madre. Quello che Lacan intendeva segnalare è che in ogni madre, an-
che in quella più amorevole, che nella struttura stessa del desiderio della madre,
troviamo una spinta cannibalica, (inconscia) ad incorporare il proprio figlio. E' l'ombra
scura del sacrificio materno che, nella cultura patriarcale, costituiva un binomio inos-
sidabile con la figura, altrettanto infernale, del padre-padrone, Era la patologia più
frequente del materno: trasfigurare la cura per la vita che cresce in una gabbia dora-
ta che non permetteva alcuna possibilità di separazione.
Il nostro tempo ci confronta con una radicale trasformazione di questa rappresenta-
zione della madre: nè bocca di coccodrillo nè ragnatela adesiva nè sacrificio masochi-
stico nè elogio della mortificazione di sè. Alla madre della abnegazione si è sostituita
una nuova figura della madre che potremmo definire "narcisistica". Si tratta di una
madre che non vive per i propri figli, ma che vuole rivendicare la propria assoluta li-
bertà e autonomia dai propri figli. L'ultimo capolavoro del giovanissimo e geniale re-
gista canadese Xavier Dolan titolato Mommy (2014) mostra il passaggio delicatissi-
mo tra l'una e l'altra di queste rappresentazioni della maternità. Per un verso la cop--
pia madre-figlio del film assomiglia alla coppia simbiotica tipica della patologia pa-
triarcale della maternità: non esiste un altro mondo al di fuori di essa, non esiste un
terzo, non esiste padre, non esistono uomini, non esiste nulla. E' una negazione che
il regista trasferisce abilmente in una opzione tecnica traumatica: le riprese a tre quar-
ti - l'assenza di fuori campo, come ha fatto notare recentemente Andrea Bellavita -
evidenziano un mondo che non conosce alterità, che non ha alcun "fuori" rispetto al
carattere profondamente incestuoso di questa coppia. Ma è l'atteggiamento finale
della madre che risulta inedito rispetto alla rappresentazione sacrificale del deside-
rio materno. Ella non trattiene il figlio problematico (la diagnosi psichiatrica lo clas-
sifica come "iperattivo", ma _ seppur c -ntraddittoriamente - vorrebbe liberarsene-
Il suo desiderio non è più quello rappresentato dalla madre-coccodrillo e dalla sua
spinta fagocitante, ma quello di risultare, come afferma in una battuta finale, "vin-
cente su tutta la linea"; per questo decide di affidare il figlio intrattabile ad una
Legge folle che prescrive il suo internamento forzato.
Continua... to be continued...
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