giovedì 7 agosto 2014

Società / attualità - Conflitti nel mondo, oggi: cancellare le identità degli altri

7 agosto '14 - giovedì           7th August / Thursday                        visione post - 6

L'irrazionalità dei conflitti
Così la pace diventa sempre più difficile

(da 'Corriere della Sera' - 5 agosto '14 - di Massimo Nava)
I conflitti che stanno insanguinando diversi angoli del pianeta (Iraq, Gaza, Siria, Libia,
Ucraina), oltre a quelli di cui le cronache riferiscono notizie ormai scarne  e  ripetitive
(Afghanistan, Nigeria, Malì, eccetera) hanno un dato comune che sconvolge le catego-
rie di analisi e rivela purtroppo una sostanziale impotenza della diplomazia a qualsiasi
livello. Si evidenzia e si denuncia a turno il silenzio dell'Europa, la paralisi dell'Onu, la
titubanza degli Usa e così via. Ma l'impotenza non è solo questione di veti, strategie e
interessi contrapposti: é anche determinata dalla natura del conflitto.
Al di là del contesto specifico e degli interessi economici in gioco, impliciti in ogni guer-
ra o guerriglia, il carattere religioso e/o relogioso/nazionalistico è il fattore scatenante
che rende sempre più ardua la ricerca di soluzioni accettabili da tutte le parti coinvolte. 
Di fronte all'irrazionalità di categorie dello spirito - la religione usata come una scimi-
tarra, la presunta superiorità di una razza, una identità nazionale che ritiene  di avere
diritti atavici - diventa quasi impossibile discutere di convivenza e tolleranza e quindi
di pace duratura, poichè in questo genere di scontri è cambiata la posta in gioco  e si
è modificata la logica, per quanto deprecabile, di una guerra. Non si combatte soltan-
to per una vittoria militare, peraltro difficilmente conseguibile in modo definitivo.  E
nemmeno per la speranza di costruire la pace dopo i lutti e le distruzioni. Si combatte
per la supremazia di un'identità culturale e religiosa, e quindi per l'annientamento di
un'altra in conflitto.  Annientamento che, quand'anche possibile  (come teorizzavano
i nazisti) è nella realtà previsto in un futuro indefinito. Per questo i conflitti di questo
tipo diventano endemici e ripetitivi.  Come  raggiungere  compromessi accettabili  e 
onorevoli quando non si tratta di ridisegnare un confine o garantire i diritti di una mi-
noranza o riaffermare una giurisdizione su risorse naturali, bensì di riportare alla ra-
gione un immaginario collettivo che prevede la scomparsa fisica del nemico, compre-
sa la popolazione non cambattente, donne e bambini inclusi?
La guerra di Gaza è la più emblematica conferma di questo genere di conflitti, essen-
do anche una sorta di rimozione delle esperienze precedenti, simili ma mai servite alla
costruzione di un compromesso. Israeliani e palestinesi lottano per la sopravvivenza e
rimandano a un indefinito futuro la vittoria impossibile. Hamas sogna la distruzione di
Israele.  E Israele pensa di guadagnare tempo occupando territori.  Israele alza muri.
Hamas costruisce tunnel.
Anche in Ucraina si combatte un conflitto identitario senza soluzione, salvo ip'otizzare
uno smembramento del Paese con conseguenze devastanti  sugli equilibri del Vecchio
Continente. In alternativa, si continua a combattere per un'ipotetica e  irrazionale su-
premazia di un'identità. In Libia e Siria non sono più in gioco la fine tragica di una dit-
tatura  o  la scomparsa auspicata di un'altra, nè la ricostruzione di nuove società  nel
cuore del Mediterraneo, ma la supremazia di tribù o di fazioni religiose. 
E' un disperante paradosso che nell'era della globalizzazione, della modernità tecnolo-
gica, della laicità persino esagerata, che a volte fa perdere di vista il senso ultimo del-
l'esistenza, il fattore religioso moltiplichi notizie di cristiani perseguitati, di minoranze
umiliate, di simboli religiosi distrutti, di un fondamentalismo islamico che pretende di
instaurare  antichi califfati, del sangue che scorre all'interno  dello stesso mondo ara-
bo/musulmano.    E' tragico che i valori di solidarietà e rispetto della persona umana
cui fanno generalmente riferimento tutte le religioni siano così diffusamente calpesta-
ti. Ed è drammatico constatare che in aree del mondo  in cui  il tasso di democrazia è
piuttosto basso, il consenso popolare di leader religiosi e carismatici sia forte  e cre-
scente. Non si tratta nemmeno più di convertire gli eretici. La parola d'ordine delle
guerre "moderne" è cancellazione. Un passo indietro, rispetto alle Crociate.
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All'interno delle storie delle tradizioni religiose, dalle guerre bibliche alle crociate e ai grandi

atti di martirio, la violenza aleggia come un'oscura presenza. I simboli più oscuri e misteriosi
della religione ne sono pervasi. Il potere che ha la religione di stimolare l'immaginazione ha
sempre avuto a che fare con immagini di morte.  Una delle domande che maggiormente osses-
sionano alcuni tra i più grandi studiosi della religione - tra cui Emile Durkheim, Marcel Mauss
e Sigmund Freud -  è perchè sia così. Perchè la religione sembra aver bisogno della violenza, 
e la violenza della religione, e perchè alcuni credenti accettano con tanta sicurezza un ordine 
divino di distruzione?
 ( da  "TERRORISTI IN NOME DI DIO - La violenza religiosa nel mondo"
          di Mark  Juergensmeyer)

Lucianone


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