sabato 6 aprile 2013

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6 aprile '13 - sabato         6th April / Saturday

Politica / Italia
Franceschini: "Dialogo con Pdl per un governo
di transizione"
Il Pd Franceschini  -  "Ci piaccia o no, il capo della destra è ancora Berlusconi. È con lui che bisogna dialogare». In una intervista al Corriere della Sera, l'ex segretario del Pd Dario Franceschini dice «basta» ai complessi, «ora è arrivato il momento di dialogare con il Pdl». «Se si vuol dare un governo al Paese, in questa fase si debbono accettare forme di collaborazione». E spiega che serve «un esecutivo di transizione, che prenda le misure necessarie per dare ossigeno all'economia mentre in Parlamento si fanno le riforme istituzionali: Senato federale, con conseguente riduzione dei parlamentari, e legge elettorale».
Secondo Franceschini «neppure con i collegi uninominali uscirebbe una maggioranza assoluta» dalle elezioni. Quindi, dice al Corriere, «non resta che un'altra strada: uscire dall'incomunicabilità. E abbandonare questo complesso di superiorità, molto diffuso nel nostro schieramento, per cui pretendiamo di sceglierci l'avversario. Ci piaccia o no, gli italiani hanno stabilito che il capo della destra, una destra che ha preso praticamente i nostri stessi voti, è ancora Berlusconi. È con lui che bisogna dialogare».
Quanto alle elezioni del nuovo presidente della Repubblica, «il prossimo capo dello Stato deve essere in ogni caso una persona di garanzia eletta con una intesa più larga possibile. Per sua natura, non può essere eletto con un mandato. Deve essere libero fin dalla prima scelta: assegnare l'incarico di formare il nuovo governo». Per il Colle serve «una persona con un'esperienza politica e parlamentare. Non possiamo fare un'operazione di immagine, scegliere uno scienziato o un attore che piaccia ai blog o alla Rete. Il prossimo presidente dovrà difendere il ruolo del Parlamento che lo eleggerà, aiutandolo a ritornare per i cittadini da palazzo della casta a tempio della democrazia repubblicana»

E per il futuro del Pd «vedo con grande preoccupazione la leggerezza con cui si evocano scenari di scissione, da 'destra' o, se dovesse prevalere Renzi, da 'sinistra'. Siamo in una tale crisi istituzionale e sociale che ci manca pure questo. Con tutta la fatica che abbiamo fatto per costruirlo, il Pd... Ognuno si morda la lingua e si metta in testa che il Partito democratico deve restare unito e stringersi attorno a chiunque vinca le primarie, quando ci saranno», conclude Franceschini


Renziani attaccano l'Unità / Il direttore Sardo: "Noi aperti al confronto"
Il titolo di prima pagina dell'Unità:  'No di Renzi al governo Bersani' accende lo scontro nel Pd. Il quotidiano viene duramente censurato dai parlamentari più vicini al sindaco di Firenze, tanto che Matteo Richetti arriva a suggerire l'opportunità che il direttore Claudio Sardo si dimetta.

 

«Un titolo può piacere o meno. Ma suggerire le dimissioni di un direttore di giornale per un titolo che non si condivide, mi pare un infortunio - scrive in risposta a Richetti il direttore dell'Unità, Claudio Sardo -. Tanto più se la ragione è l’autonomia de l’Unità, che si presume ferita. Quanto al merito del titolo di oggi - “No di Renzi al governo Bersani” - continuo a pensare che sia una sintesi fedele dell’intervista di Renzi al Corriere della Sera. Renzi ha detto che, arrivati a questo punto, il Pd deve scegliere tra un accordo esplicito con il Pdl e le elezioni anticipate. L’ipotesi cancellata è proprio la proposta di Bersani: un governo di centrosinistra che affronti, provvedimento dopo provvedimento, i numeri critici in Senato; un secondo binario delle riforme la cui guida è affidata a chi sta fuori dal governo. Renzi ha anche criticato la tattica, non solo la strategia del segretario del Pd: "Qui si punta a prendere tempo e a eleggere un Capo dello Stato che ci dia più facilmente l’incarico di fare il nuovo governo". Sia chiaro: posizioni legittime e importanti, meritevoli di una discussione aperta nel Pd. Anzi, un’opportunità perché il confronto sia pubblico e trasparente. Nel mio articolo di oggi penso di aver discusso con grande rispetto questa opinione, che non condivido ma che, a mio giudizio, contiene elementi di verità che non possono essere liquidati in modo superficiale. L’Unità sarà aperta a questa discussione. Anzi, chi la legge sa che la discussione è già aperta, come dimostrano anche i commenti e gli articoli del giornale di oggi».
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Cinquestelle, trasparenza addio
Si va dallo streaming al buttafuori
Metamorfosi della truppa nata su Internet: asserragliati in un hotel come i notabili di Todo Modo, gli agenti in borghese contro i media.
Per essere quelli della trasparenza, non scherzano. Nella pur tormentata vita politica italiana di pullman pieni di parlamentari con destinazione ignota alla maggior parte dei passeggeri non se n’erano mai visti. Eppure questo è successo ieri mattina alle 9, a piazzale Flaminio, centro di Roma, dove gli onorevoli grillini erano stati convocati via mail per incontrare il Capo supremo in una destinazione top secret.

Firenze, l’Abruzzo, i Castelli? Fino a quando i pullman non partono, seguiti da stuoli di cronisti, ogni bus con un percorso diverso per depistare la «casta dei giornalisti», pochi sanno che la meta è un piccolo resort, La Quiete, a Tragliata, un borgo sulle colline a pochi chilometri dal mare di Fregene. La diretta dell’inseguimento, trasmessa da Tgcom 24, si colloca a metà tra quelle cronache di fuggiaschi made in Usa e una gita parrocchiale di Pasquetta con tanto di sosta all’autogrill.

Ma il bello viene all’arrivo alla Quiete, i cui edifici con i mattoncini a vista si trasformano in una sorta di “zona rossa”, con i parlamentari asserragliati, la polizia in borghese pronta ad allontanare anche con modi spicci i giornalisti (alcuni vengono identificati), fughe tra gli ulivi, appostamenti dietro le siepi, addirittura minacce di denunce.


Una giornata surreale, con Beppe attovagliato in una sala destinata ai matrimoni con i suoi in pellegrinaggio per una stretta di mano, e fuori decine di cronisti cui vengono passati panini attraverso le sbarre della cancellata dai gestori del resort, la famiglia Valente, stupiti da tanta ressa e imbarazzati per il trattamento riservato agli ospiti dei mass media: «Vi posso almeno offrire un amaro?». E quando qualcuno riesce ad avvicinarsi alle finestre inumidite dalla pioggia per udire il “verbo grillino”, ecco spuntare gli uomini comunicazione, quelli che si riempiono la bocca ogni minuto di “rete e trasparenza e democrazia orizzontale”, comportarsi come buttafuori da discoteca, e chiedere il rinforzo degli agenti: «Questa è una riunione privata, mandateli via!».

Attualità  - Cronaca  /  Italia
L'Aquila quattro anni dopo / "L'Italia non ci abbandoni"Non c’è la parola per dirlo, c’è la parola orfano, c’è la parola vedovo o vedova. Non c’è quella per dire la condizione di chi perde la figlia o il figlio. Forse per questo il 6 aprile è prima di tutto il ricordo delle ragazze e dei ragazzi, dei bambini vittime del sisma.

Degli aquilani e degli studenti di cui le istituzioni a cui erano affidati avrebbero dovuto prendersi cura. Renza Bucci avrebbe dovuto diventare nonna, il 6 aprile 2009, per il parto programmato della figlia. Ha perso sotto le macerie la figlia e la nipotina, la 309ma vittima, insieme al genero.

Renza non ha mancato una udienza di quello che sulla stampa è stato chiamato il «processo alla scienza», eppure il suo nome non è fra quelli del ricorso contro la Commissione grandi rischi, perché per lei non c’è compensazione possibile, c’è invece il bisogno di sapere. Renza, prima che il tempo si fermasse alle 3 e 32 del 6 aprile, lavorava come amministrativa all’università. Nel crescendo delle scosse a L’Aquila, ai dipendenti dell’università era fatto divieto di avere paura e uscire dalle sedi. Obbligo di ferie per i «paurosi».

L'Aquila non può finire così
Mobilitiamoci, c'è pure Settis» | FOTOGALLERY


MONDO / ESTERI  -  Siria
Blogger:  "Italiani in Siria stanno bene"
Sono un giornalista della Rai e tre free lance i quattro italiani in stato di fermo nel nord della Siria ad opera di un gruppo armato che resta al momento non meglio individuato. Si tratta di Amedeo Ricucci, giornalista Rai in forza alle reti, e in particolare impegnato nella realizzazione di servizi per il programma 'La Storia Siamo Noi' di Rai3 e del canale tematico; quindi di Andrea Vignali, freelance e videomaker che ha spesso collaborato con Unita.it, Elio Colavolpe e della italo-siriana Susan Dabous. Il giornalista del servizio pubblico lavorerebbe per lo più per le reti, in particolare per programmi di approfondimento, uno dei tre freelance, Andrea Vignali, è stato un collaboratore dell'Unità.

Secondo Aya Homsi, una attivista e blogger siriana che vive e studia a Bologna, animatrice di un gruppo su Facebook «Vogliamo la Siria libera», i quattro «stanno bene». Stando a quanto riferisce, i quattro sono trattenuti in attesa che dai documenti in loro possesso si accerti effettivamente che si tratta di giornalisti e quindi a quel punto verrebbero rilasciati o liberati (non è infatti chiaro in mani di chi siano, ndr).
In relazione alla vicenda, la Rai, in linea con l'invito al massimo riserbo formulato dall'Unità di crisi della Farnesina a tutela dei connazionali coinvolti , si appella alla sensibilità di tutti i giornalisti della carta stampata, delle radio delle televisioni e del web affinchè venga mantenuto un responsabile silenzio stampa. Notizie sommarie o imprecise potrebbero nuocere all'incolumità dei colleghi, nostra unica priorità. Lo comunica una nota di viale Mazzini.

Dietro le quinte sono in corso contatti costanti per garantirne il rilascio, ma fonti riservate vicine alla vicenda fanno notare come «casi del genere siano border-line», e dunque «i più delicati» da risolvere, in quanto suscettibili di precipitare in qualsiasi momento.

Per tale ragione le autorità mantengono il massimo riserbo, sollecitato fin dai primi istanti dell'emergenza. L'Unità di Crisi della Farnesina aveva subito annunciato di essersi «attivata» e di mantenere i collegamenti «con i familiari». L'area dove è avvenuto il rapimento è in larga parte controllata dai ribelli ma persistono anche sacche di resistenza da parte delle forze fedeli al regime di Bashar al-Assad. Lì i combattimenti sono frequenti e si contano già numerosi episodi in cui operatori dell'informazione, per lo più stranieri, sono stati vittime di rapimenti. L'Italia, al pari di quasi tutti gli altri Paesi terzi, ha da tempo sconsigliato ai propri connazionali di recarsi in territorio siriano, se non assolutamente indispensabile.
La Farnesina segue «sin dai primi momenti» gli sviluppi della vicenda e l'Unità di crisi «si è immediatamente attivata ed è in contatto con i familiari». La Farnesina precisa anche che «occorre mantenere il massimo riserbo» sulla vicenda e che «l'incolumità dei connazionali resta la priorità assoluta».

WEB E GIORNALISMO SUL CAMPO PER RACCONTARE
LA TRAGEDIA SIRIANA "COLLEGATI" CON GLI STUDENTI
«Silenzio, si muore».
È questo il progetto di giornalismo al quale sta lavorando in questi giorni in Siria Amedeo Ricucci, il giornalista Rai sequestrato con altri tre operatori dei media nel nord del Paese arabo. Un progetto di giornalismo che Ricucci - giornalista de 'La Storia Siamo Noì in onda su Rai3 e sul canale tematico - definisce «partecipativo», una novità per la Rai, da curare in una quindicina di giorni di permanenza in Siria, dall'1 al 15 aprile, e sfruttando al meglio le tecnologie digitali. Tenendosi, per quanto possibile, in continuo collegamento Skype con un gruppo di studenti di San Lazzaro di Savena. Dando vita a un web-doc.

Un gruppo già sperimentato con successo in occasione di «Siria 2.0» realizzato sempre per 'La Storia Siamo Noì e sempre nell'ambito di un giornalismo che è anche viaggio nella memoria e nell'attualità. Un programma - 'La Storia Siamo Noì - nato diversi anni fa grazie a Giovanni Minoli e che nel tempo si è sempre più consolidato e affermato per la forza della sua testimonianza e dei suoi racconti. Resoconti, reportage, che sono anche progetti. Come quello appunto che Ricucci sta seguendo ora. Nell'annunciarlo via blog, il giornalista di origine calabrese ha parlato di esigenza di ridare «senso e dignità» al lavoro giornalistico, «basta un pizzico di coraggio e la voglia di sperimentare, rimettendosi in gioco personalmente». Ed ecco quindi la Siria, «una tragedia infinita che si consuma nell'indifferenza delle cancellerie occidentali e dell'opinione pubblica internazionale».

Ricucci parla dell'indifferenza, «figlia anche della nostra incapacità di raccontare la tragedia sitriana, coinvolgendo di più e meglio il nostro pubblico, rendendolo partecipe di questa tragedia». Cosa che «si può fare, con le tecnologie che abbiamo a disposizione. Anzi, è una cosa che si deve fare, se si crede nel dovere della testimonianza e nel diritto all'informazione». E quello avviato non sarà - ha messo in guardia lo stesso Ricucci - un videogioco, ma un modo di «raccontare la guerra in maniera diversa e, spero, più coinvolgente», in questo viaggio in compagnia dei 20 studenti, viaggio a distanza ma al tempo stesso e in realtà con loro accanto grazie alla tecnologia.

Lucianone

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