21 aprile '13 - domenica 21st April / Sunday visioni post - 8
L' università non pecchi di anglofilia
(da la Repubblica/Milano - 12/04/2013 - L'opinione / Giorgio Lambertenghi
Deliliers)
Studiare medicina in inglese, solo in inglese.
E' la cosiddetta "anglicizzazione" dell'Università, che sta contaminando anche
la facoltà di Medicina dell'Università Statale sulla scia di Bocconi e Politecnico.
E' un allarme che è diventato tormentone da quasi dieci anni, da quando a Ravenna
l'Accademia degli Incamminati presentò "Il Manifesto agli Italiani per l'italiano",
cui aderirono numerosi esponenti della cultura. -
Non che si tratti di negare la necessità di un'imternazionalizzazione degli studi
universitari, di medicina come di ingegneria, economia o biologia. E' ovvio che
l'ottima conoscenza della lingua inglese debba far parte obbligatoriamente del-
la preparazione dei nuovi laureati in materie tecnico-scientifiche, e probabil-
mente anche dei laureati in scienze umanistiche, se vogliono affacciarsi sul
mondo. - Nel caso del medico, lo richiede l'aggiornamento stesso, basato sul-
la partecipazione a convegli e a seminari internazionali e sulla necessaria con-
sultazione della più qualificata òletteratura scientifica, che ormai è quasi total-
mente in inglese. Anche lo sviluppo di carriera, che augurabilmente porterà i
nuovi medici a fare esperienza all'estero, non può più prescindere dall'ottima
conoscenza dell'inglese.
Queste sono le premesse utili e ragionevoli che non devono però cancellare
la domanda di fondo: è davvero indispensabile che i corsi di laurea in medi-
cina e chirurgia vengano svolti in inglese? Ed è vero che i giovani stessi de-
siderano la "anglicizzazione" della facoltà di Medicina? Non bisogna farsi
fuorviare dal consistente numero di domande di ammissione (con test in in-
glese che servono da griglia di selezione) presentate in sola lingua inglese
che alcune facoltà di Medicina hanno aperto da qualche anno, affiancando-
li ai corsi in italiano. Non dobbiamo dimenticare infatti che presentare do-
manda per i corsi in inglese può funzionare da "piano B", in una situazione
di numero chiuso che non si riesce facilmente a varcare.
Ma i corsi di laurea in medicina svolti soltanto in inglese devono, a mio giu-
dizio, restare "paralleli" al normale insegnamento universitario in italiano,
e non devono sopprimerlo. Non si vede la necessità che la facoltà di Medi-
cina dell'Università Statale di Milano adotti anche la lingua inglese, e que-
sto per due motivi. il primo motivo è che la nostra lingua madre ha un'invi-
diabile ricchezza di espressione, che è di grande utilità e sarà fondamenta-
le nel rapporto medico-paziente. Il secondo motivo è che l a lingua italiana
è una salvaguardia per la discussione delle varie problematiche etiche che
attualmente tormentano il campo medico-scientifico , e che sono stretta-
mente vincolate alla nostra cultura greco-latina, cultura di grande apertura
mentale, tenuta in onore anche ad Oxford.
L'Università deve richiedere una reale conoscenza della lingua inglese, ma
non deve commettere l peccato di anglofilia. Non possiamo certo dimentica-
re che l'inglese è lingua egemone per ragioni politiche, e saremmo ingenui
a non considerarlo un dato di fatto. Tuttavia, come ha scritto Claudio Ma-
gris, un intellettuale di apertura europea che nessuno potrebbe tacciare di
provincialismo, "la proposta di rendere obbligatorio l'insegnamento univer-
sitario in inglese rivela una mentalità servile, un complesso di servi che
considerano degno di stima solo lo stile dei padroni".
Lucianone
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