sabato 9 giugno 2012

Cultura - Marc Augè: la dittatura del presente

9 giugno 2012  -  sabato        9th June / Saturday      visioni del post - 5


L'antropologo Marc Augè:
"Questo 'non tempo' ci impedisce di crescere"
L'antropologo francese analizza la situazione attuale e spiega
come si potrebbe uscirne nel corso di un'intervista con Marino
Niola (19 marzo 2012)

"La crisi della finanza ci ha rubato il futuro. Lo ha letteralmente
seppellito sotto le paure del presente. Tocca a noi riprendercelo".
A dirlo è Marc Augè, uno dei più celebri antropologi del mondo,
nel suo ultimo libro "Futuro" (Bollati Boringhieri). Misura ac-
curatamente le parole l'autore di "Non luoghi". Non ha la vee-
menza nè l'irruenza  del tribuno, eppure dietro la sua riflessione 
pacata si avverte  il rigore inflessibile dell'illuminista. Che lascia
al mondo una speranza: quella di essere salvati dalle donne.
Perchè per la maggior parte delle persone l'avvenire è diventato
un incubo più che una speranza?
Le cause sono molte, ma due mi sembrano decisive. L'accelerazione
impressa alle nostre esistenze dalle nuove tecnologie e la crisi del-
la finanza. Una miscela esplosiva che ha cambiato l'esperienza indi- 
viduale e colletiva del tempo. Facendo dilagare l'incertezza, rendendo
epidemico il timore di ciò che ci aspetta.
Trasformando insomma il futuro in un frutto avvelenato.
Intossicato da un'incertezza che accomuna tutti. I giovani temono
di non trovare un lavoro, di non poter progettare il loro avvenire e
si sentono bloccati in un eterno presente fatto di precarietsticà. I loro
padri invece hanno paura di perdere la pensione, l'assistenza socia-
le, di finire in miseria".
Il risultato è che la vita sembra impallata in un immobilismo
senza uscita. Senza progresso.
Senza più alcuna speranza di mobilità sociale. E' questa la dif-
ferenza con il passato. Mio nonno non aveva potuto studiare,
ma era un uomo intelligente e ha investito sulla formazione
dei suoi figli. Mio padre era un funzionario statale e ha voluto
che io diventassi un intellettuale, realizzando in me i suoi so-
gni. Questo è stato possibile grazie alla scuola pubblica e al-
l'istruzione di massa. Oggi non è più così.
Anche perchè ormai la scuola riproduce le ineguaglianze, le
conferma, non mira più a colmarle, a stemperarle.
Questo è vero per la scuola  come per tutti gli altri dispositivi
di formazione pubblica. E' il caso dell'abolizione del servizio
militare che ha ridotto le occasioni di incontro, di rimescola-
mento e di livellamento    delle diverse classi, appartenenze,
culture, ceti.     Così il corpo sociale è sempre più immobile,
ciascuno  chiuso  nei propri  quartieri, nelle proprie scuole,
nelle proprie famiglie, con una tendenza quasi castale, pre-
moderna.
Tipica di una società che ha abolito i riti di passaggio, le
tappe iniziatiche della vita, rendendo difficile costruirsi
un avvenire. Così di fatto stazioniamo tutti in un perpe-
tuo 'hic et nunc' (qui e adesso).
Effettivamente noi viviamo in una sorta  di ipertrofia del 
presente. Che è amplificata dai media, vecchi e nuovi. In
un certo senso il nostro tempo non è più lineare ma circo-
lare. Come quello delle società primitive, come quello del
mondo contadino. Fondati sull'alternanza delle stagioni.
E anche noi del resto viviamo di stagioni: sportive, scola-
stiche, politiche.
Un'esistenza ridotta a calendario. L'opposto del tempo 
storico, del progresso, del sol dell'avvenire.
E' il contrario di quello che si pensa comunemente della
civiltà tecnologica  che sarebbe  perennemente    protesa 
verso l'innovazione. Invece siamo prigionieri di una sor-
ta di eterno ritorno scandito non più dai rintocchi delle
campane, ma dai palinsesti televisivi e dai ritmi della fi-
nanza globale.    -   Viviamo più a lungo, ma iniziamo a 
vivere più tardi. Pensi alla rivoluzione francese. E' stata 
fatta da persone che avevano poco più di vent'anni: era-
no dei ragazzi ma cambiarono il corso della storia.
Paradossalmente la vita più breve costringeva tutti a
maturare più rapidamente.
Quindi la globalizzazione ha globalizzato anche il 
tempo?
Proprio così, oggi il tempo è diventato l'unità di misura di
tutto, anche dello spazio. Non parliamo più in termini di
distanza chilometrica ma di tempo di percorrenza. Tre ore
di volo. Due di alta velocità. Quattro di autostrada.
E i nostri riferimenti  sono globali, non più nazionali.
Città e non paesi. Si parla di New York, Mumbai, San
Paolo, Parigi L'insieme forma una nuova geografia e
un'inedita territorialità virtuale. -  In questo senso la
tecnologia e l'economia sono più veloci e potenti della
politica. E la mettono nell'angolo.
Continua... to be continued...

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